Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2755 del 06/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2755 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 16076-2010 proposto da:
FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA EX CASSA DI
RISPARMIO DI TORINO BANCA – CRT S.P.A., già FONDO
PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA CASSA DI RISPARMIO DI
TORINO

80063850012,

in

persona del lpgale

rappresentante pro tempore, elettivamente domicìllato
2013
3282

in ROMA, VIA A BERTOLONI 44, presso lo studio
dell’avvocato PERSIANI MATTIA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BERTOLA MAURIZIO,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 06/02/2014

contro

ROLFO LORENZA C.F. RLFLNZ49P47L948D, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DT CASSAZIONE,

rappresentata

e difesa

dall’avvocato IACOVIELLO MICHELE, giu3ta delega in
atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 739/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 09/06/2009 R.G.N. 1237/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato MAIO VALERIO per delega PERSIANI
MATTIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Udienza 19.11.2013, causa n. 24
R.G.

n. 16076/2010

Con la sentenza impugnata del 9.6.2009, la Corte
d’appello di Torino confermava la statuizione di primo
grado di condanna del Fondo Pensioni per il Personale
della Cassa di Risparmio di To ino ad erogare a Rolfo
Lorenza, cessata dal servizio i 31.12.1993 la differenza
della pensione integrativa tra quanto erogato e la
maggior somma spettante con l’inclusione della indennità
di vacanza contrattuale. La Corte adita osservava che il
CCNL del 19.12.94 prevedeva la indennità di vacanza
contrattuale anche per il personale cessato dal servizio
nel 1993, ma ne escludeva il computo ai fini del
trattamento di previdenza e quiescenza, salvo diversa
previsione dello Statuto; che lo Statuto del Fondo,
approvato con D.P.R. n. 469 del 1973, aveva incluso nella
retribuzione pensionabile “gli importi dovuti per
contratti o accordi aventi effetto retroattivo (art. 31,
n. 12) e “qualunque altra indennità corrisposta con
carattere continuativo (art. 31, n. 11); che era
controversa tra le parti proprio l’applicazione del
predetto Statuto, poiché il Fondo sosteneva che era
invece applicabile quello successivo, approvato il 26
maggio 1994, sottoposto a referendum tra gli iscritti e
decorrente dal primo gennaio 1993, il quale non
riproduceva le previsioni di cui ai citati n.n. 11 e 12,
art. 31, per cui nella pensione integrativa non doveva
essere computata l’indennità di vacanza contrattuale. La
Corte territoriale rilevava che il fondo esonerativo
dell’AGO, cui erano stati iscritti i dipendenti degli
istituti di credito, aveva mutato la sua natura giuridica
ad opera del D.Lgs. n. 357 del 1990, il quale aveva
disposto la iscrizione dei medesimi dipendenti all’AGO,
presso una gestione speciale dell’Inps, e la soppressione
e la contestuale trasformazione del fondo esonerativo in
fondo integrativo, prescrivendo altresì che le
modificazioni statutarie del nuovo fondo integrativo
dovessero essere sottoposte all’approvazione del
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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Ministero del Lavoro (D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 5,
comma 5). Osservava la Corte adita che il nuovo Statuto
del Fondo del 1994 non era mai stato approvato dal
Ministero del lavoro ed escludeva poi che detta
approvazione fosse stata abolita dalla legislazione
successiva in materia di previdenza complementare. Era
vero infatti che anche per i fondi integrativi ex
esonerativi, come quello in causa, era stata prevista
l’inclusione nell’albo delle forme di previdenza
complementare già esistenti, ai sensi del D.Lgs. n. 124
del 1993, art. 18, successivamente modificato dalla L. n.
335 del 1995, art. 14, ed era vero altresì che, ancora
successivamente, la L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 40
(con l’aggiunta del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18,
comma 6 bis) aveva eliminato la necessità di qualunque
previa autorizzazione alle modifiche statutarie dei fondi
di previdenza complementare, ma detta disposizione affermava la Corte – riguardava solo i fondi di
previdenza complementare già esistenti alla data di
entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, non già
quelli in esame, i quali erano passati da esonerativi ad
integrativi. La prova che il fondo di cui è causa era
diverso da quelli effettivamente complementari era anche
dimostrato dal fatto che un vero fondo di previdenza
complementare era stato poi istituito con l’accordo tra
la Banca e le 00.SS. del 24 novembre 1993. In ogni caso,
soggiungevano i Giudici d’appello, anche a ritenere che
l’abolizione di ogni approvazione delle modifiche
statutarie di cui alla L. n. 449 del 1997, citato art.
59, comma 40, riguardasse anche i fondi ex esonerativi,
detta abolizione non poteva che operare a partire
dall’entrata in vigore della legge di abolizione, ossia
dal primo gennaio 1998 e quindi non poteva incidere sulla
posizione del pensionato attore in giudizio, che era
cessato dal servizio in epoca ben precedente. Da ciò
discendeva l’operatività delle previsioni statutarie del
1973 e quindi il diritto alla inclusione, nella pensione
integrativa, della indennità di vacanza contrattuale.
Nessuna incidenza aveva poi l’accordo sindacale del 24
novembre 1993. Questo, infatti, era intervenuto per
mantenere ferme le disposizioni statutarie del 1973 in
relazione al ragguaglio della pensione integrativa alla
retribuzione dell’ultimo anno, in deroga al peggioramento
disposto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 9 (retribuzione
media degli ultimi cinque anni), senza toccare però la

retribuzione pensionabile, perché le parti avevano
convenuto a tal fine di pervenire ad una concorde
ristesura dello Statuto del fondo, ponendo come principio
solo l’inclusione dell’indennità di rischio e delle
indennità ad personam. Avverso detta sentenza il Fondo
soccombente ricorre con sette motivi; resiste la parte
intimata con controricorso. Le parti hanno depositato
memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.

l) Con il primo mezzo, si denunzia la violazione del
D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. l, 16, 17 e 18 e della L.
n. 449 del 1997, art. 59, comma 40 in relazione anche
all’art. 12 preleggi, per avere escluso la efficacia
dello Statuto del 1994, ritenendo necessaria
l’approvazione ministeriale. Erroneamente la sentenza
impugnata avrebbe negato che esso Fondo ricorrente,
essendo ex esonerativo, rientrasse tra le forme di
previdenza complementare già esistenti, contemplate dal
D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18. Dovendo invece essere
incluso nel predetto art. 18, era quindi applicabile la
disposizione che aveva eliminato la necessità
dell’approvazione ministeriale. 2) Con il secondo motivo,
denunziando violazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art.
18, comma 6 bis, dell’art. 1362 cod. civ. e dell’accordo
sindacale del 24 novembre 1993, nonché dello Statuto del’
1994, il Fondo si duole ancora che i Giudici d’appell
abbiano negato la sua inclusione nelle forme di
previdenza complementare, sul rilievo che solo con
l’accordo sindacale indicato era stata introdotta la
previdenza complementare. Ribatte il ricorrente che detto
accordo sindacale riguardava la previdenza complementare
dei dipendenti assunti successivamente al primo gennaio
1991, il che quindi non smentiva la natura di fondo
complementare o integrativo di esso ricorrente, che era
riservato a diversa categoria di personale, ossia a
coloro che erano già in servizio alla data del 31
dicembre 1990, allorché vi era stata appunto la
trasformazione da esonerativo a integrativo ad opera del
D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 2. 3) Con il terzo mezzo,
denunziando difetto di motivazione, si reiterano le
argomentazioni già svolte, e cioè che non sarebbe
corretto dedurre, dalla programmata istituzione di una
forma di previdenza complementare (quella riservata agli
3

MOTIVI DELLA DECISIONE

4

assunti dopo il primo gennaio 1991), l’inesistenza di una
forma complementare precedente (quella appunto
riguardante il personale in servizio alla data del 31
dicembre 1990). 4) Con il quarto mezzo, denunziando
violazione delle medesime disposizioni, si critica la
sentenza per avere affermato che la abolizione della
approvazione ministeriale dello Statuto del 1994, ad
opera della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 40, era
ininfluente nei confronti dell’attuale contro ricorrente
perché non potrebbe che decorrere dal primo gennaio 1998,
mentre il lavoratore era cessato dal servizio in epoca
ben anteriore. Sostiene di contro il ricorrente che
l’approvazione ministeriale costituirebbe solo una
condizione di operatività dell’atto e non già un
requisito di validità, per cui opera retroattivamente, a
decorrere dalla sua conclusione. La sopravvenuta
impossibilità della approvazione, ad opera della citata
disposizione del 1997, determinerebbe la piena
applicazione e l’efficacia temporale dello Statuto del
1994, essendo ormai di per sè completo.
5) Con il quinto mezzo si lamenta violazione del D.Lgs.
n. 503 del 1992, artt. 2, 3, 6, 7 e 9 e dell’art. 1362
cod. civ. perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla
sentenza impugnata, l’accordo del 24 novembre 1993 non
avrebbe immediatamente ripristinato il sistema più
favorevole di liquidazione della pensione sulla base
dell’ultimo mese di servizio, in deroga alla norma
peggiorativa di cui all’art. 9 del D.Lgs. che commisurava
la pensione alla retribuzione degli ultimi cinque anni,
ma con l’accordo medesimo le parti avrebbero solo
pattuito di introdurre la regola più favorevole nel nuovo
Statuto. 6)Con il sesto motivo si denunzia ancora
violazione delle medesime disposizioni, per avere
affermato che l’accordo aziendale del 24 novembre 1993
aveva ripristinato il sistema di calcolo di cui al
precedente Statuto del 1973, senza però considerare che
l’art. 4 decimo capoverso dell’accordo medesimo, aveva
escluso il computo, nella pensione integrativa, della
richiesta indennità di vacanza contrattuale. 7) Con il
settimo motivo, denunziando la contraddittorietà della
sentenza, si reiterano nella sostanza le censure di cui
al motivo precedente: sarebbe contraddittorio affermare
il carattere vincolante dell’accordo del 24 novembre 1993
nella parte in cui ripristina il regime più favorevole di
commisurazione della pensione integrativa alla

I primi quattro motivi di ricorso meritano accoglimento e
determinano l’assorbimento degli altri. Il Collegio
richiama il precedente specifico di questa Corte che con
sentenza n. 1468/2012 ha esaminato esaurientemente tutti
i problemi giuridici connessi alla vicenda fornendo
un’ampia e complessa motivazione che si condivide in toto
e alla quale non si ritiene necessario aggiungere
integrazioni di sorta posto che i motivi del presente
ricorso sono identici a quelli proposti nella
controversia già risolta da questa Corte:
” la causa verte sulla seguente questione: se la pensione
integrativa, erogata dal Fondo attuale ricorrente, a un
dipendente cessato dal servizio il 31 dicembre 1993,
debba o no essere comprensiva dell’indennità di vacanza
contrattuale. Questa era stata introdotta dal CCNL del
19.12.94, il quale ne disponeva la esclusione dal calcolo
della pensione integrativa, ma faceva però salva una
diversa disposizione dello Statuto del Fondo, e la
riserva era ovvia, giacché il sistema di calcolo di dette
pensioni non poteva che essere dettato dallo Statuto, che
ne è la normativa regolatrice esclusiva. Da ciò
l’ulteriore questione, centrale nel giudizio, di quale
fosse lo Statuto da applicare, essendovi sul punto
contrasto tra le parti: per il Fondo ricorrente, in caso
di cessazione al 31 dicembre 1993, doveva applicarsi lo
Statuto del 26 maggio 1994, le cui disposizioni
decorrevano dal primo gennaio 1993. Poiché detto Statuto
pacificamente escludeva dal computo della pensione
integrativa la indennità di vacanza contrattuale (così
infatti ha ritenuto la sentenza impugnata, e sul punto
non ci sono censure), l’attuale ricorrente insisteva per
la infondatezza della pretesa. Diversa era la tesi del
pensionato, il quale, eccependo l’inefficacia dello
Statuto del 1994, perché non aveva ricevuto la prescritta
approvazione ministeriale, sosteneva doversi applicare il
precedente Statuto del 1973, il quale comprendeva invece
nella pensione integrativa “gli importi dovuti per
contratti o accordi aventi effetto retroattivo (art. 31,
n. 12) e “qualunque altra indennità corrisposta con
5

retribuzione dell’ultimo anno (invece che alla media del
quinquennio precedente) ed il carattere non vincolante
delle restati clausole sulla determinazione della
retribuzione pensionabile, escludente la indennità di
vacanza contrattuale.

6

carattere continuativo (art. 31, n. 11), con conseguente
suo diritto alla inclusione, nella pensione integrativa,
della indennità di vacanza contrattuale. Occorre quindi
decidere se lo Statuto del 1994, invocato dal Fondo
regoli o no la pensione integrativa dell’attuale
controricorrente, avendo riguardo alla complessa
normativa che sul punto si è succeduta. Com’è noto, con
la L. 30 luglio 1990, n. 218 e con il D.Lgs. 20 novembre
1990, n. 357, è stato profondamente modificato il sistema
assicurativo dei dipendenti bancari: il fondo
“esonerativo” dell’AGO cui costoro erano iscritti, si è
trasformato in fondo “integrativo”, ossia anche questo
personale è stato iscritto all’AGO, mantenendo però la
tutela del vecchio fondo, il quale “integra” la pensione
erogata dall’AGO, per garantire un migliore trattamento
complessivo. A detto fondo integrativo sono stati
iscritti i dipendenti in servizio alla data del 31
dicembre 1990 e non coloro che sarebbero stati assunti da
data successiva, lo prevede espressamente il citato
D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 2, si trattava quindi di un
fondo ad esaurimento. Il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 5,
comma 5 del medesimo prescriveva che le modifiche dello
Statuto fossero assoggettate all’approvazione del
Ministero del Lavoro, ed è pacifico che lo Statuto del
1994, non abbia mai ricevuto detta approvazione (pur
ritenuta necessaria dalla giurisprudenza di questa Corte,
cfr. Cass. 8687/99). Occorre però verificare se, a
seguito delle modifiche legislative, detta disposizione
sia stata abrogata e quindi se sia stata abolita
l’approvazione ministeriale, nonché gli effetti che ne
derivano. Vi è da rilevare che alla data di approvazione
del nuovo Statuto, 26 maggio 1994, era incerto se le
modifiche statutarie dei fondi ex esonerativi dovessero
ancora essere assoggettate all’approvazione del Ministero
del Lavoro, come prescritto dal D.Lgs. n. 357 del 1990,
art. 5, comma 5, oppure il regime delle approvazioni
fosse stato modificato perché detti fondi dovevano
rientrare nell’alveo della previdenza complementare,
introdotta nell’ordinamento dal D.Lgs. n. 124 del 1993, e
precisamente nelle forme pensionistiche istituite prima
dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo,
perché, in caso positivo, il regime delle approvazioni
sarebbe stato diverso, giacché la vigilanza e quindi
l’approvazione degli Statuti è rimessa ad una Commissione
(peraltro istituita presso lo stesso Ministero del

Lavoro), ai sensi del citato D.Lgs. n. 124 del 1993,
artt. 16 e 17, L’esistenza di questa incertezza è
testimoniata dal parere richiesto al Consiglio di Stato
dell’il gennaio 1995 (cui si fa riferimento sia in
ricorso, sia in controricorso), il quale prospettò
l’esigenza di un intervento legislativo ad hoc per
chiarire quale fosse il regime applicabile ai fondi ex
esonerativi. L’auspicato intervento legislativo seguì ad
opera della L. n. 335 del 1995, che, all’art. 14 (nel
sostituire il testo del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 17)
ha espressamente contemplato “i fondi di cui al D.Lgs. n.
357 del 1990, art. 2”, per cui si deve sicuramente
concludere che la normativa in tema di previdenza
complementare, ivi compresa quella concernente la
vigilanza e l’approvazione degli statuti, si applica
anche ai fondi “ex esonerativi” dei dipendenti bancari,
qual è quello di cui è causa. In tal senso si è anche
pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n.
393 del 2000. 10.4. È poi errato quanto si rileva nella
sentenza impugnata, per cui l’attuale ricorrente non
poteva avere natura di fondo di previdenza complementare,
rientrante nell’ambito del D.Lgs. n. 124 del 1993, perché
un vero fondo di previdenza complementare era stato
istituito solo dall’accordo tra la Banca e le 00.55. del
24 novembre 1993.L’argomentazione è errata perché
l’accordo sindacale richiamato in sentenza riguardava la
previdenza complementare dei dipendenti assunti
successivamente al primo gennaio 1991, mentre si tratta
in causa del fondo integrativo di cui al D.Lgs. n. 357
del 1990, art. 2, che era riservato a coloro che erano
già in servizio alla data del 31 dicembre 1990,
conseguente alla trasformazione dal fondo medesimo da
esonerativo a integrativo. Ne discende che, rientrando il
Fondo ricorrente nell’ambito della previdenza
complementare, a partire dalla entrata in vigore della L.
n. 335 del 1995, l’approvazione dello Statuto non
competeva più al Ministero del Lavoro, ma alla
Commissione di cui il D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 17 e
18, come modificati dalla L. n. 335 del 1995, art. 14. Ha
quindi errato la sentenza impugnata nell’affermare la
perdurante necessità dell’approvazione dello Statuto del
1994 ad opera del Ministero del Lavoro e quindi, in
mancanza, la sua inefficacia a regolare la pensione della
parte controricorrente. Va però ulteriormente considerato
che neppure la Commissione sembra avere mai provveduto
7

all’approvazione dello Statuto del 1994. Il Fondo
ricorrente invoca però una successiva disposizione che,
secondo la sua tesi, avrebbe eliminato la necessità della
approvazione, e da ciò conseguirebbe la piena efficacia
dello Statuto indicato. Si tratta della L. 27 dicembre
1997, n. 449, art. 59, comma 40, con cui si inserisce, al
D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 6 bis, il quale,
dopo avere disposto che le forme di previdenza
complementare preesistenti devono essere iscritte in una
sezione speciale dell’albo, tenuto dalla Commissione, e
dopo avere disposto che l’attività di vigilanza sarebbe
stata espletata da parte della Commissione secondo “piani
di attività differenziati temporalmente…” prevede,
nell’ultima parte “Alle modifiche statutarie relative
alle forme pensionistiche di cui al comma
1
deliberate prima della iscrizione nella sezione
speciale dell’albo dei fondi pensione disposta dalla
Commissione, non si applicano l’art. 17, comma 2, lett.
b), o comunque altre procedure di autorizzazione”.
Pertanto le modificazione degli statuti, se deliberate
prima della iscrizione nell’albo, non sono soggette ne’
alla approvazione della Commissione, come pur prevedeva
il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 17, comma 2 lett. b), ne’
ad
alcun
altra
autorizzazione.
La
ratio
della 0)1
disposizione appare chiara: si tratta di una norma
transitoria finalizzata a conferire finalmente efficacia
alle modifiche statutarie che i fondi di previdenza
complementare avevano deliberato, anche in tempi remoti,
e che erano rimaste prive del provvedimento di
approvazione,
e quindi inefficaci,
a causa delle
vicissitudini normative conseguenti alla introduzione
della previdenza complementare, che aveva modificato il
regime delle approvazioni (donde la situazione di
incertezza che aveva indotto a chiedere il parere del
Consiglio di Stato), trasferendole dal Ministero del
Lavoro alla Commissione di nuova istituzione, la quale,
peraltro non avrebbe potuto provvedere tempestivamente,
essendo appunto previsti, per l’attività di vigilanza sui
fondi già iscritti, “piani di attività differenziati
temporalmente…”. Quanto alla efficacia nel tempo della
abolizione di detta autorizzazione, questione trattata
con il quarto motivo, ha errato la Corte territoriale
nell’affermare che detta abolizione operava solo dalla
data di entrata in vigore della L. n. 449 del 1997 e
quindi dal primo gennaio 1998, di talché non poteva
8

9

valere nei confronti della parte contro ricorrente,
cessata dal servizio in epoca ben precedente. In primo
luogo va considerato che l’esistenza giuridica dello
statuto coincide con l’emanazione di,– – esso, giacché- il
visto o l’approvazione dell’autorità tutoria non attiene
alla sua formazione, ma è un requisito di esecutorietà
che opera ex tunc, rendendo cioè l’atto produttivo di
effetti sin dalla data della sua emanazione (cfr. tra le
tante Cass. 4490/99). Va considerato altresì che, ne’ nel
D.Lgs. n. 357 del 1990, ne’ nella normativa sulla
previdenza complementare è reperibile alcuna disposizione
prescrittiva del termine entro il quale lo statuto doveva
e deve essere approvato dall’autorità tutoria. Se dunque
l’approvazione dello Statuto costituiva una condizione a
cui era subordinata l’efficacia dell’atto, per cui – una
volta data l’approvazione – gli effetti sicuramente
retroagivano all’epoca della sua emanazione, lo stesso
esito non può non verificarsi nel caso di eliminazione
dell’approvazione: una volta eliminato l’elemento che ne
condizionava l’efficacia, non vi è più nulla che
impedisca il pieno dispiegamento di tutti i suoi effetti,
ivi compresa la data di decorrenza ivi indicata, e che
quindi lo statuto del 1994 debba regolare, come da sua
espressa previsione, contribuzioni e pensioni a partire
dal primo gennaio 1993, incidendo così sulla posizione
dell’attuale parte controcorrente. Peraltro non è
possibile ritenere che la abolizione dell’approvazione
operi ex nunc, come ritiene la sentenza impugnata, e
quindi si riferisca solo alle modifiche statutarie
intervenute dopo l’entrata in vigore della legge, se si
considera che, secondo il tenore letterale della norma,
detta abolizione opera esclusivamente per le modifiche
statutarie intervenute “prima” dell’iscrizione all’albo e
sicuramente prima dell’entrata in vigore della legge,
ossia in data anteriore al primo gennaio 1998. La
eliminazione della approvazione, peraltro attraverso
l’uso di una formula perentoria, ” comunque altre
procedure ai autorizzazione…”, fa sì che nulla più
impedisce l’efficacia delle modificazioni, per come tali
erano state deliberate, ossia con la originaria
decorrenza del primo gennaio 1993 ” ( cfr. cass. n.
1468/2012). Gli altri motivi da 5 a 7 che vertono
sull’interpretazione dell’accordo del 24 novembre 1993,
essendo ormai accertata la efficacia dello Statuto del
1994 e quindi la esclusione della indennità di vacanza

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata
e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui al
ricorso introduttivo. Compensa le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
19.11.2013.

contrattuale dalla pensione integrativa non debbono
essere esaminati essendo chiaramente assorbiti
dall’accoglimento dei primi 4. Conseguentemente va
cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi
accolti; non essendovi necessità di ulteriori
accertamenti all’esito dei principi affermati, la causa
va decisa nel merito con il rigetto della domanda di cui
al ricorso introduttivo. La novità delle questioni
giustifica la compensazione delle spese dell’intero
giudizio, posto che al momento del depositi> del ricorso
non era ancora stata pubblicata la decisione di questa
Corte del 2012.

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