Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2755 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. I, 05/02/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 05/02/2021), n.2755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8278/2019 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’avv. STEFANIA SANTILLI, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3866/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/12/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G., nella persona del Sostituto Dott.ssa RITA SANLORENZO,

la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. SUSANNA LALLINI, in sostituzione dell’avv. STEFANIA

SANTILLI, per parte ricorrente, la quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. ILIA MASSARELLI, per parte resistente, la quale ha

concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 12.7.2017 il Tribunale di Milano respingeva il ricorso proposto da S.S. contro il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di rigetto della sua domanda di riconoscimento della tutela, internazionale e umanitaria.

Con la sentenza impugnata, n. 3866/2018, la Corte di Appello di Milano rigettava l’impugnazione della decisione reiettiva di primo grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il Sadjo affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

Il ricorso, originariamente chiamato nell’adunanza camerale della prima sezione civile di questa Corte del 13.2.2020, è stato rinviato all’udienza pubblica con ordinanza interlocutoria n. 8172/2020.

In prossimità dell’udienza pubblica la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso occorre affrontare la questione portata all’attenzione del Collegio con l’ordinanza interlocutoria, relativa all’applicabilità, o meno, dell’istituto della sospensione feriale dei termini processuali ai giudizi in materia di protezione internazionale.

In particolare, nell’ordinanza interlocutoria si evidenzia che il ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, depositata il 27.7.2018, è stato proposto il 27.2.2019, ovverosia sette mesi dopo la pubblicazione. Ne deriva che il ricorso può essere considerato tempestivo soltanto nel caso in cui sia applicabile alla presente controversia l’istituto della sospensione feriale dei termini processuali di cui alla L. n. 742 del 1969, art. 1.

L’art. 3 della legge da ultimo richiamata esclude l’applicabilità dell’istituto della sospensione “alle cause ed ai procedimenti indicati nell’art. 92 ord. giud.30 gennaio 1941, n. 12, nonchè alle controversie previste dagli artt. 429 e 459 c.p.c.”.

L’art. 92 ord. giud., a sua volta, prevede che “Durante il periodo feriale dei magistrati le corti di appello ed i tribunali trattano le cause civili relative ad alimenti, alla materia corporativa, ai procedimenti cautelari, ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di sfratto e di opposizione all’esecuzione, nonchè quelle relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti, ed in genere quelle rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti.

In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal presidente in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile, e per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del collegio, egualmente non impugnabile”.

L’ordinanza interlocutoria muove dalla considerazione che questa Corte ha affermato che, nell’ambito delle controversie urgenti, rientrano non soltanto quelle espressamente previste dalla norma o dichiarate tali dal capo dell’ufficio giudiziario, ma anche le cause che sono tali “per natura”, in quanto “intrinsecamente caratterizzate dal requisito dell’urgenza” (ad esempio, relativamente alla fase sommaria delle cause di sfratto e dei giudizi possessori). Da tale premessa, si afferma che, in materia di protezione internazionale, sia stato “… lo stesso legislatore a dichiarare urgenti, con clausola generale ed astratta, le controversie…” con una “… norma che, inserita nel contesto della disciplina del processo e delle impugnazioni, appare difficilmente interpretabile in senso riduttivo, quale norma rivolta unicamente all’organizzazione interna degli uffici giudiziari”.

L’ordinanza interlocutoria dà poi atto che questa Corte ha ritenuto “L’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini, disposta dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 14, per le controversie in materia di protezione internazionale non opera in relazione ai ricorsi proposti avverso le decisioni delle Commissioni territoriali depositate in data anteriore al 17.8.2017, essendo la vigenza della nuova disciplina legislativa processuale differita a tale data” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 16420 del 21/06/2018, Rv. 649789), ma dubita che detto precedente si confronti con la giurisprudenza dianzi menzionata in tema di sospensione feriale dei termini processuali.

Il Collegio condivide il principio affermato da quest’ultima pronuncia, peraltro conforme a precedente decisione, con la quale si era affermato che “In tema di riconoscimento della protezione internazionale, la disciplina introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017, si applica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del citato Decreto, alle controversie instaurate successivamente al 18.8.2017; conseguentemente, per la proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello pubblicate anteriormente a quella data si applica la precedente disciplina, anche riguardo alla sospensione dei termini durante il periodo feriale” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18295 del 11/07/2018, Rv. 649649; in seguito confermata da Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16420 del 21/06/2018, Rv. 649789, cit. e da Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22304 del 05/09/2019, Rv. 655323).

Non appaiono, invece, condivisibili gli argomenti spesi, a contrario, nell’ordinanza interlocutoria.

In particolare, occorre in primo luogo evidenziare che la giurisprudenza formatasi in relazione alle fasi sommarie dei giudizi di sfratto e possessori appare giustificata dalla natura sostanzialmente cautelare dei predetti, nonchè dal fatto che in materia possessoria – sia espressamente prevista la decisione “senza dilazione” (art. 1168 c.c., u.c.).

Sotto altro profilo, non è secondario rilevare che nessuno dei diversi interventi legislativi che nel tempo hanno riguardato la disciplina dei giudizi di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria (ed in particolare, nè il D.Lgs. n. 251 del 2007, nè il D.Lgs. n. 25 del 2008, nè il D.Lgs. n. 150 del 2011, nè il D.Lgs. n. 142 del 2015) ha mai previsto un richiamo all’art. 92 ord. giud., nè derogare alla regola generale della sospensione feriale dei termini processuali, avente – tra l’altro – la non trascurabile funzione di tutelare il diritto alle ferie, tanto dei giudici che degli avvocati. Solo con il D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni in L. n. 46 del 2017, è stata introdotta una disposizione che espressamente esclude l’applicazione della sospensione feriale alle controversie in tema di protezione internazionali: il che costituisce un argomento a contrario di sicura rilevanza.

Neppure è condivisibile l’argomento, anch’esso speso nell’ordinanza interlocutoria, secondo cui il legislatore avrebbe previsto con il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, nel testo anteriore all’abrogazione operata dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni in L. n. 46 del 2017, una clausola generale che affermava la natura urgente delle controversie in materia di protezione internazionale.

Da un lato, infatti, occorre tener conto che le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale attengono ai diritti fondamentali dell’individuo, e segnatamente al riconoscimento di uno status della persona. Di fronte alla rilevanza dell’esigenza di assicurare adeguata protezione a detti diritti fondamentali dell’individuo, le eventuali esigenze organizzative degli uffici non possono che risultare recessive.

Occorre peraltro una norma esplicita che preveda l’esclusione dell’applicabilità dell’istituto della sospensione feriale dei termini processuali, norma che – in concreto – è stata introdotta soltanto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 14, norma – quest’ultima – introdotta nell’ordinamento per effetto dell’art. 6 del già richiamato D.L. n. 13 del 2017, che ha previsto espressamente, all’art. 21, comma 1, l’applicabilità della nuova disposizione “… alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Alle cause e ai procedimenti giudiziari introdotti anteriormente alla scadenza del termine di cui al periodo precedente si continuano ad applicare le disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto”.

Dall’altro lato, occorre considerare che, nel sistema delineato dal richiamato del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, oggi abrogato, l’esigenza di celerità riconosciuta alla trattazione dei giudizi in materia di protezione internazionale era assicurata dall’espressa previsione, al comma 9, di un termine massimo di durata del giudizio, tanto in relazione alla fase di merito che a quella di legittimità. In questo senso, a fronte del termine suindicato era stata prevista, al comma 4, la generale efficacia sospensiva del ricorso, salvi i casi indicati dalla disposizione in esame.

In tale contesto, la disposizione di chiusura, contenuta dell’art. 19, comma 10, secondo cui “La controversia è trattata in ogni grado in via di urgenza” dev’essere interpretata come norma a carattere organizzativo, rivolta ai capi degli uffici giudiziari ed ai singoli giudici incaricati della decisione dei ricorsi in materia di protezione internazionale, nell’ambito della pianificazione dei ruoli. Non a caso, il suo tenore letterale differisce in modo sostanziale dall’art. 92 ord. giud., posto che essa non fa alcun riferimento al “grave pregiudizio alle parti” che la ritardata trattazione del giudizio potrebbe causare; concetto, quest’ultimo, su cui si impernia, invece, la clausola finale dell’art. 92 ord. giud., comma 1.

Dalle considerazioni che precedono discende che, nel sistema anteriore alla scadenza del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017, l’istituto della sospensione feriale dei termini non era stato espressamente escluso dal legislatore. Di conseguenza, si deve confermare la sua applicabilità alle controversie in materia di protezione internazionale introdotte con domanda giudiziale presentata sino alla data del 18 agosto 2017.

Dal che deriva che, nel caso di specie, il ricorso è stato tempestivamente proposto.

Passando all’esame dei motivi proposti dal ricorrente, con il primo di essi si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 della Convenzione E.D.U., dei parametri normativi previsti per la valutazione della storia personale e dell’obbligo di cooperazione istruttoria, nonchè il vizio della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe ritenuto in modo apodittico la non credibilità del ricorrente, senza procedere alla valutazione del suo racconto nel rispetto degli indici previsti dal legislatore e senza tener conto del contesto di violenza generalizzata e di riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del richiamato art. 14, lett. c).

La censura è inammissibile.

Il ricorrente aveva riferito di esser stato arrestato e detenuto ingiustamente per due mesi, senza processo, per aver cagionato lesioni ad uno zio, con il quale era sorto un dissidio relativo alla gestione del bestiame che il S. aveva ricevuto in eredità alla morte del genitore. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto, a fronte delle varie incongruenze palesatesi nelle versioni rese, prima in sede amministrativa, e poi giudiziaria. In particolare, la Corte milanese dava atto che il ricorrente aveva fornito, nelle due sedi di cui sopra, diverse generalità, date di nascita e momenti di ingresso in Italia, nonchè differenti versioni circa le modalità di evasione dal carcere (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Questo decisivo passaggio della motivazione del provvedimento impugnato non è attinto in alcun modo dalla censura in esame, che richiama soltanto i principi in tema di valutazione della storia personale ed il contesto esistente in Mali, Paese di origine del S..

Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, la sentenza impugnata richiama le C.O.I. consultate per escludere l’esistenza di una situazione di instabilità diffusa (cfr. pag. 9); il ricorrente, nel contrapporre a quelle indicate dalla Corte di Appello altre fonti informative, non indica in modo specifico i motivi per i quali queste ultime sarebbero superate, e smentite, dalle prime. In proposito, merita di essere ribadito il principio per cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Il motivo, dunque, è inammissibile, sia perchè estremamente generico, sia perchè non idoneo a confrontarsi con la ratio della ritenuta non credibilità della storia, sia perchè esso si risolve, nella parte relativa alla contestazione delle C.O.I. utilizzate dal giudice di merito, in una istanza di riesame del giudizio di fatto, estranea alla natura e ai fini del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il secondo motivo, invece, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32; artt. 10 e 111 Cost.; artt. 132,112 e 156 c.p.c.; nonchè la violazione del dovere di collaborazione istruttoria ed il vizio della motivazione; il tutto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria, senza procedere ad una valutazione comparativa della situazione del richiedente, in Italia e nel Paese di origine. Ad avviso del richiedente, nell’ambito di detto giudizio la Corte distrettuale avrebbe dovuto tener conto delle risultanze delle fonti informative disponibili sul Mali, le quali evidenziavano un contesto di oggettiva e generale insicurezza del Paese, tali da esporre il S., in caso di rimpatrio, al rischio di subire una lesione nella sfera ineludibile dei suoi diritti fondamentali.

La censura è inammissibile.

La Corte di Appello ha infatti svolto il giudizio comparativo previsto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471) dando atto che il S. non era in grado di esprimersi in italiano, non aveva trovato un lavoro e non aveva dimostrato un adeguato grado di integrazione in Italia (cfr. pag. 11 della sentenza). Tale decisivo passaggio della motivazione non è attinto specificamente dalla censura in esame, con la quale il ricorrente non deduce di aver allegato, nel corso del giudizio di merito, alcun elemento di integrazione nel contesto socioeconomico italiano.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenendo conto in assenza di controricorso della sola fase di discussione. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 300 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

 

 

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