Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27546 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 27546 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: FANTICINI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso 28255-2014 proposto da:
ROCCO ANNA, elettivamente

domiciliata in ROMA,

V.BALDO DEGLI UBALDI 66,

presso

lo

studio

dell’avvocato SIMONA RINALDI GALLICANI, rappresentata
e difesa dall’avvocato GIANFRANCO MOBILIO giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
2017
1804

BASSO VINCENZA, BASSO IOLANDA, BASSO ANGIOLA, BASSO
MICHELE, SENATORE MARIA ESTERINA , SENATORE CARMELA,
SENATORE GIOVANNA, SENATORE ANTONIO, BASSO GIOVANNI,
BASSO ANIELLO, BASSO ANNA, BASSO OLGA, BASSO
GIUSEPPE;

1

Data pubblicazione: 21/11/2017

- intimati –

Nonché da:
MEMOLI MARIA LUISA , elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA TIMAVO, 3, presso lo studio dell’avvocato
MATTEO RAMPIONI, rappresentata e difesa dall’avvocato

del controricorso e ricorso incidentale;;
– ricorrente incidentale contro

BASSO GIUSEPPE, BASSO OLGA,

BASSO ANNA,

BASSO

ANIELLO, BASSO GIOVANNI, SENATORE ANTONIO, SENATORE
GIOVANNA, SENATORE CARMELA, SENATORE MARIA ESTERINA ,
BASSO MICHELE, BASSO ANGIOLA, BASSO IOLANDA, ROCCO
ANNA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 214/2014 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 03/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 26/09/2017 dal Consigliere Dott.
GIOVANNI FANTICINI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
ALBERTO CARDINO che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale
e rigetto del ricorso incidentale;

2

GIULIANA RAFFAELLA SCARPETTA giusta procura a margine

RILEVATO CHE:

Anna Rocco conveniva innanzi al Tribunale di Salerno Maria

Rocco, Vincenza Basso e Saverio Senatore affermando che la
ricostruzione di un fabbricato sito in Cappelle Superiore era stata
realizzata con opere in variante risultate a proprio danno, poiché si

in una proprietà esclusiva una parte dell’androne; domandava, previo
accertamento della difformità delle varianti rispetto al progetto
originario, l’adozione di provvedimenti di riduzione in pristino e, in
subordine, il risarcimento dei danni cagionati dai convenuti;

Vincenza Basso, costituendosi, assumeva in via prioritaria la

propria carenza di legittimazione passiva affermando di non essere
proprietaria di alcuna quota del fabbricato;

Maria Rocco e Saverio Senatore eccepivano che la proprietà

dell’attrice non era interessata dalle opere realizzate;
– il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 396 dell’il febbraio
2002, rigettava la domanda nei confronti di Vincenza Basso, per
carenza di legittimazione passiva, e quella rivolta verso Maria Rocco e
Saverio Senatore;

Anna Rocco proponeva appello avverso la predetta sentenza

nei confronti di Maria Rocco, di Vincenza Basso e degli eredi di
Saverio Senatore (nelle more deceduto);

la Corte d’appello di Salerno, con la sentenza n. 214 del 3

aprile 2014, riformava la decisione di primo grado dichiarando la
legittimazione passiva di Vincenza Basso e condannando gli appellati,
in solido tra loro, «al risarcimento dei danni provocati all’appellante
per le difformità apportate in suo pregiudizio nella ricostruzione del
fabbricato … che liquida in via equitativa in C 3.000,00 all’attualità,
oltre interessi nella misura legale a far tempo dalla domanda sino
all’effettivo soddisfo»; le spese di lite erano poste a carico degli
appellati in via solidale;

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era ristretto il corridoio, impedito l’accesso ai locali dell’attrice, inclusa

-

Anna Rocco domanda la cassazione della menzionata

decisione con ricorso basato su quattro motivi;

resiste con controricorso Maria Luisa Memoli, nella sua qualità

di curatore della scomparsa Vincenza Basso, che a sua volta propone
ricorso incidentale affidato ad un unico motivo;

380-bis.1 cod. proc. cív. e ha chiesto l’accoglimento del primo motivo
del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale;

la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod.

proc. civ.
CONSIDERATO CHE:

1. Col primo motivo si deduce «violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. e delle regole del giusto processo, in relazione
all’art 360 n. 3) c.p.c.» perché la Corte d’appello, dopo aver accertato
la difformità delle costruzioni realizzate rispetto al progetto originario,
avrebbe accolto la domanda risarcitoria proposta in via soltanto
subordinata, anziché emettere i provvedimenti di riduzione in pristino
invocati in via principale; la ricorrente afferma che la Corte di merito
«perviene a giustificare il mancato ordine di abbattimento e di
ripristino per effetto dell’eccessiva durata del giudizio» (in un’altra
parte dell’illustrazione del motivo si sostiene che «l’accoglimento della
domanda subordinata … è stato determinato dal consolidamento di
una situazione quale conseguenza – grave – della eccessiva durata
del giudizio»).
2.

Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

Nel giudizio di cassazione, il requisito di contenuto-forma
previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, n. 3), cod.
proc. civ. deve essere assolto necessariamente con il ricorso e non
può essere ricavato da altri atti e nemmeno dalla sentenza impugnata
(Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 18623 del 22/09/2016, Rv. 64261701; Cass., Sez. U., Sentenza n. 11308 del 22/05/2014, Rv. 630843-

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= U Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte ex art.

01); e ancora, il ricorso per cassazione è inammissibile ove dalla sua
lettura non sia possibile desumere una sufficiente conoscenza del
“fatto”, sostanziale e processuale, al fine di comprendere il significato
e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, come
nell’ipotesi in cui non vengano adeguatamente riportate né la ratio

che sostenevano le rispettive posizioni delle parti nel giudizio di
merito. (Cass., Sez.

L.,

Sentenza n. 2831 del 05/02/2009, Rv.

606521-01).
In particolare, nell’esposizione del fatto il ricorrente è tenuto ad
illustrare in maniera sintetica ma esaustiva le vicende di fatto che
sono oggetto della controversi e ad agevolare la comprensione delle
motivazioni della sentenza impugnata, nonché a dimostrare,
mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, in qual
modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione
censurata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norm
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite
dalla giurisprudenza di legittimità.
Conseguentemente, una carente prospettazione del fatto o della
motivazione della sentenza (che è l’oggetto dell’impugnazione e,
logicamente, costituisce il punto di partenza per sviluppare critiche al
provvedimento stesso) impedisce alla Corte di legittimità di formulare
qualsivoglia giudizio sulle censure.
Nel ricorso l’odierna ricorrente ha prospettato un errore
d’interpretazione del giudice di appello (che avrebbe accolto la
domanda subordinata solo per evitare un ulteriore allungamento dei
tempi del processo) senza adeguatamente illustrare – e, inoltre,
senza cogliere – la ratio decidendi della sentenza di secondo grado.
Difatti, solo dalla lettura della sentenza (e, quindi, aliunde) è
possibile rilevare che la Corte d’appello ha provveduto al risarcimento
dei danni per equivalente (domanda «in via gradata» che, per

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decidendi della pronuncia del giudice, né le ragioni di fatto e di diritto

espressa affermazione della ricorrente, era stata ribadita, seppure in
subordine, anche con l’atto di appello), anziché in forma specifica
(domanda principale) facendo applicazione dell’art. 2058, comma 2,
cod. civ. (norma nemmeno menzionata nell’illustrazione del motivo)
e, in particolare, considerando l’eccessiva onerosità delle opere di

Col ricorso, comunque difettoso sotto il profilo formale, non è
stata sottoposta al vaglio di legittimità la

ratio decidendi della

sentenza – e, cioè, la ritenuta applicabilità dell’art. 2058, comma 2,
cod. civ. alla tutela dei diritti reali (la questione è stata introdotta
soltanto – e inammissibilmente – nella memoria ex art. 380-bis.1
cod. proc. civ.) – ma è stata invece prospettata una censura ad una
motivazione di cui non c’è traccia (e che, proprio per questa ragione,
non poteva essere riportata nell’atto introduttivo).
3.

Col secondo motivo si censura la sentenza della Corte

territoriale per avere falsamente applicato (art. 360 n. 3 cod. proc.
civ.) l’art. 2058 cod. civ. impiegando un criterio risarcitorio che ha
attribuito all’attrice un importo equivalente alla differenza di valore
tra il bene nel suo stato originario e l’immobile modificato.
4.

Il motivo è infondato.

Oltre a quanto già rilevato in ordine alla mancanza di una chiara
esposizione dei fatti di causa, si osserva che la Corte territoriale ha
considerato, quale criterio per la liquidazione del risarcimento per
equivalente, la «valutazione della differenza tra il valore del bene
nello stato in cui si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito ed il
valore del bene leso».
La ricorrente propone, quale criterio alternativo più vantaggioso,
la conversione «in una somma di denaro corrispondente alle spese
per il ripristino e non certo in una ridotta» (pag. 12 del ricorso),
dovendosi considerare l’illecito arricchimento – insito nella mancata

6

ripristino.

pronuncia di una condanna alla riparazione in forma specifica – delle
parti danneggianti (pag. 7 della memoria).
Il giudice di merito si è attenuto al principio indennitario e alla
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «la differenza fra la
“riparazione in forma specifica” ed il risarcimento per “equivalente”

costi occorrenti per la riparazione, e, nel secondo, è riferita alla
differenza fra il bene integro (e cioè nel suo stato originario) ed il
bene leso o danneggiato» (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5993 del
03/07/1997, Rv. 505706-01; analogamente, Cass., Sez. 6-3,
Ordinanza n. 24718 del 04/11/2013, Rv. 628749-01, e Cass., Sez. 3,
Sentenza n. 21012 del 12/10/2010, Rv. 614575-01).
5.

Col terzo motivo si deduce – richiamando gli artt. 112 e 116

cod. proc. civ. e 2058 cod. civ. (in relazione all’art. 360 n. 3 cod.
proc. civ.) – che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare
elementi risultanti dall’istruttoria e fatti notori provvedendo
arbitrariamente ad una liquidazione equitativa dei danni.
6.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Nel denunciare la violazione dell’art. 2058

(rectius, art 2056)

cod. civ. l’odierna ricorrente ha omesso di riportare le ragioni esposte
dalla Corte di merito sulla necessità di procedere alla liquidazione
equitativa e sugli elementi considerati per la determinazione del
quantum e ha dedotto che il giudice dell’appello avrebbe «del tutto
omesso di considerare le ulteriori violazioni operate in suo danno»
(successivamente elencate).
Peraltro, proprio dalla prospettazione di risultanze processuali
asseritamente non esaminate e sottoposte a questa Corte si evince
che la ricorrente – con una censura, apparente, di violazione di legge
– mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di
merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio
di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito: ciò

7

consiste nel fatto che, nel primo, la somma dovuta è calcolata sui

costituisce un ulteriore motivo di inammissibilità del motivo (Cass.,
Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).
7.

Il quarto e ultimo motivo attiene ad una pretesa violazione

(art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) dei parametri per la liquidazione delle
spese, asseritamente avvenuta senza considerare l’entrata in vigore

inferiore ai minimi tariffari del d.m. Giustizia del 20 luglio 2012, n.
140.
8.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Il d.m. Giustizia del 10 marzo 2014, n. 55 – a norma dell’art. 29
dello stesso decreto – è entrato in vigore il giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 2 aprile
2014.
Ai sensi dell’art. 28 «le disposizioni di cui al presente decreto si
applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore»
(quindi, dopo il 3 aprile).
I nuovi parametri, perciò, non potevano trovare applicazione
nell’appello de quo, conclusosi con decisione adottata il 28 marzo
2014 e pubblicata il 3 aprile 2014.
Per quanto riguarda l’altra censura (violazione dei minimi tariffari
del d.m. Giustizia del 20 luglio 2012, n. 140), si osserva che la
ricorrente censura l’individuazione del valore della controversia
(evidentemente – e correttamente – riferito dalla Corte d’appello
all’ammontare dei danni liquidati e, cioè, al decisum; v. Cass., Sez. 2,
Sentenza n. 226 del 05/01/2011, Rv. 616127-01) in maniera
generica e contraddittoria, dato che proprio la parte arriva a
identificare univocamente sia lo scaglione («valore fino a Euro
25.000»), sia il criterio impiegato dal giudice di merito per
individuarlo.
La stessa Anna Rocco asserisce che «il parametro minimo relativo
al valore del giudizio fino ad C 25.000,00 troverebbe “capienza” nella

8

del d.m. Giustizia del 10 marzo 2014, n. 55 e, comunque, in misura

liquidazione giudiziale» effettuata dal giudice dell’appello, per poi
sostenere che «le numerose difese scritte, la complessità delle
vicende trattate in una alla varietà delle posizioni processuali e
vicende di merito» avrebbero giustificato «una liquidazione del
compenso ai massimi indicati».

specificati gli importi asseritamente liquidati in modo errato e/o le
singole spese dedotte come omesse) e non consona alla prospettata
violazione dei minimi tariffari – non può essere denunziata in sede di
legittimità, poiché la liquidazione delle spese processuali rientra nei
poteri discrezionali del giudice del merito, mentre il ricorso per
cassazione può concernere solo violazioni del criterio della
soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali,
con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo
da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori
indagini (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14542 del 04/07/2011, Rv.
618601-01; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 24635 del 19/11/2014, Rv.
633262-01).
9. Il controricorso contenente il ricorso incidentale di Maria Luisa
Memoli, nella sua qualità di curatore della scomparsa Vincenza Basso,
non risulta notificato alla ricorrente Anna Rocco; non si tratta di
notificazione nulla o non andata a buon fine, bensì radicalmente
inesistente, dato che il nominativo della ricorrente non risulta
nemmeno indicato tra i destinatari dell’atto nella relata di notifica.
Peraltro, l’atto è privo di una rubrica contenente l’indicazione delle
norme asseritamente violate, manca la specificazione della
collocazione dei motivi tra quelli elencati dall’art. 360 cod. proc. civ. e
sono cumulate senza distinzioni censure (soprattutto su questioni di
fatto) riguardanti la riconosciuta legittimazione passiva di Vincenza
Basso, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze processuali,
l’interpretazione dei verbali delle assemblee condominiali in cui erano

9

La doglianza – comunque genericamente formulata (non essendo

state approvate le varianti e la mancata considerazione di elementi
logici idonei a respingere l’appello.
Per le suesposte ragioni il controricorso e il ricorso incidentale
sono inammissibili.
10. Non occorre provvedere sulle spese: il ricorso principale è

e l’intimata non ha svolto attività difensiva depositando memoria ex
art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
11. Sussistono, però, i presupposti ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte della
ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i
rispettivi atti, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso;
dichiara inammissibili il controricorso e il ricorso incidentale;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i
rispettivi atti, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione

stato rigettato; controricorso e ricorso incidentale sono inammissibili

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