Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27544 del 21/11/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. 3 Num. 27544 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: PELLECCHIA ANTONELLA

ORDINANZA

sul ricorso 20796-2014 proposto da:
D’URSO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA ANCILLA MARIGHETTO 94 (TEL. 06.35497195), presso
lo studio dell’avvocato ALESSIO PICA, rappresentato e

difeso dagli avvocati STEFANO PELLEGRINO, ROBERTO
PELLEGRINO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA 01585570581, in persona
dell’istitore avv. VINCENZO SICA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CARLO

POMA

4, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO GELLI, che la rappresenta
e difende giusta procura a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 21/11/2017

- controricorrente

avverso la sentenza n. 3209/2013 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 26/09/2017 dal Consigliere Dott.

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
ALBERTO CARDINO che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso;

9

ANTONELLA PELLECCHIA;

Rilevato che:
1. Nel 2001, Antonio D’Urso convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale
di Roma, Ferrovie dello Stato S.p.a., per sentirla condannare al
risarcimento dei danni subiti nel 1998 allorché, mentre attraversava i
binari nella stazione di Castelmaggiore (Bo), priva di sottopassaggi, era
stato investito di striscio da un sopraggiungente treno, di cui non si era

Si costituì la società convenuta contestando le pretese attoree.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18537/2006, rigettò la
domanda, ritenendo che il sinistro fosse stato determinato in via
esclusiva da fatto o colpa dello stesso attore, che con gravissima
imprudenza aveva intrapreso l’attraversamento del binario senza essersi
previamente accertato che non sopraggiungesse altro convoglio.
2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di
Roma, con la sentenza n. 3209 del 31 maggio 2013.
La Corte di Appello, diversamente dal giudice di primo grado, ha
ritenuto che le Ferrovie dello Stato fossero responsabili del
determinismo dell’evento, sia ai sensi dell’art. 2050 c.c. (poiché la
situazione di fatto era connotata da pericolosità per via della mancanza
di un sottopassaggio e della visuale del binario coperta da altro treno in
partenza), sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., emergendo dagli atti la prova
positiva della mancanza di adeguata vigil anza da parte del personale
addetto.
Tuttavia, la Corte ha ritenuto che nella causazione del fatto abbia inciso
il comportamento colposo del D’Urso, che non aveva prestato
attenzione al rischio dell’attraversamento, violando anche l’art. 17 del
D.P.R. 753/1980 in base al quale gli utenti delle ferrovie devono usare
le precauzioni necessarie e vigilare sulla propria sicurezza e incolumità.

3

avveduto perché coperto dal treno in partenza nella direzione opposta.

Di conseguenza, la Corte, ai sensi degli artt. 1227 e 2056 c.c., ha
ritenuto di valutare nella percentuale del 50% il fatto colposo della
vittima.
La Corte di Appello ha poi ritenuto che la quantificazione dei postumi
permanenti delle lesioni effettuata dal consulente tecnico di ufficio nella
misura del 22%, e non contestata specificamente dalla convenuta, sia

subito dal D’Urso, in considerazione della “ipervalutazione del danno
funzionale”, alla luce “delle tabelle medico legali per la valutazione del
danno biologico”, nonché della relazione tecnica di parte allegata
dall’attore, nella quale i postumi permanenti erano stimati nella
percentuale più contenuta del 15%.
Per la concreta liquidazione dei danni non patrimoniali, la Corte
romana ha utilizzato le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma,
accrescendo l’importo risultante dalle stesse di una percentuale adeguata
a compensare anche le sofferenze psicologiche patite dal soggetto.
Secondo la Corte territoriale, infatti, il richiamo che la giurisprudenza di
legittimità fa alle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano risponde in
realtà all’esigenza di una liquidazione onnicomprensiva del danno non
patrimoniale.
Relativamente al danno patrimoniale, per quel che qui ancora rileva, la
Corte di Appello ha respinto la domanda relativamente al lucro cessante
affermando che, dalla documentazione in atti, non emerge chiaramente
quale sia stata la situazione reddituale del D’Urso dopo il declassamento
subito a causa del sinistro e se tale situazione abbia comportato un
detrimento patrimoniale, né quando sia avvenuto il congedo.
Infine, la Corte ha rigettato anche la domanda volta ad ottenere il
danno da perdita di chance, per non aver potuto il D’Urso conseguire la
qualifica di specializzato che il genio Ferrovieri rilascia a coloro che
completano la ferma volontaria triennale e che avrebbe dato la
4

adeguata a compensare sia il danno funzionale che quello estetico

possibilità di partecipare con titolo preferenziale ai concorsi per
l’assunzione da parte delle ferrovie.
La Corte ha infatti osservato, da un lato, che l’attore non ha provato
quanto sostenuto sul titolo preferenziale per la partecipazione a
concorsi derivante dalla qualifica che avrebbe conseguito all’esito della
ferma volontaria, dall’altro, che la circostanza che il sinistro sia

permette di fornire supporto concreto alla fondatezza delle aspirazioni,
che devono essere fondate su elementi atti a far ritenere non del tutto
aleatorie le aspettative.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione, illustrato da
memoria, Antonio D’Urso, sulla base di sci motivi.

3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la Rete Ferroviaria
Italiana S.p.a. (già Ferrovie dello Stato S.p.a.).

3.2.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte

concludendo per il rigetto del ricorso.

Considerato che:

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo
della illogicità manifesta e contraddittorietà circa i punti decisivi della
controversia e, in particolare, in relazione all’applicazione dell’art. 17
DPR 753/1980 e degli artt. 1227, 2050 e 2056 c.c.”.
La sentenza impugnata sarebbe illogica per aver ritenuto, da un lato,
che il comportamento tenuto dalle Ferrovie dello Stato abbia violato
l’art. 2050 c.c., dall’altro che la condotta del D’Urso abbia violato il
principio sancito dall’art. 17, comma 3, D.P.R. 753/1980.
L’applicazione di quest’ultima norma, infatti, comporta l’esclusione del
diritto al risarcimento dell’utente che viola una delle norme di
comportamento contemplate dalla norma stessa.

5

avvenuto il primo giorno di ammissione alla ferma volontaria non

Inoltre, dall’istruttoria sarebbero emerse solo le gravi omissioni da parte
del personale delle Ferrovie dello Stato e nulla a carico del ricorrente.
D’altra parte, l’art. 17 DPR 753/1980 sarebbe una norma residuale,
applicabile solo in caso di sinistri dipendenti dagli stessi utenti e non
quando tali sinistri derivino dal mancato rispetto delle norme
comportamentali da parte dei dipendenti delle ferrovie.

censure promiscue e multiple.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente
affermato che, “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la
mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei,
facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dai numeri 3 e 5 del
primo comma dell’art. 360 c.p.c., non essendo consentita la
prospettazione di questione sotto profili incompatibili quali quelli della
violazione o falsa applicazione di norma di legge e del vizio di
motivazione” (cfr., da ultimo, Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-11-2016, n.
23889).
In ogni caso, il motivo è infondato.
In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per
l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. (indipendentemente dal
punto, oggetto di contrasto in dottrina, se detta norma sia costruita
come ipotesi di presunzione di colpa o – invece – di presunzione di
responsabilità) risiede nell’intervento di un fattore esterno, il caso
fortuito, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato
recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità.
Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è
idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del
danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso
colposo ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c. – espressione del
principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile
6

Il motivo è inammissibile, poiché risulta articolato nello svolgimento di

quello che ciascuno procura a se stesso – con conseguente diminuzione
del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all’incidenza della
colpa del danneggiato (Cass. civ. Sez. III, 08-05-2003, n. 6988).
A tali principi la corte di merito si è sostanzialmente attenuta laddove,
con valutazione di merito evidentemente non reiterabile in questa sede
ed infondatamente censurata sotto il profilo del vizio di motivazione,

danneggiato — colpevole perché violativo delle elementari regole di
prudenza, prima ancora che dell’art. 17 del DPR 753/1980 — avesse
inciso in misura paritaria nella produzione dell’evento dannoso.
Inoltre il motivo manca di specificità, perché la colpa della vittima è
stata fondata sull’accertamento di merito circa il suo incauto
comportamento.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo
della mera apparenza della motivazione — illogicità della stessa circa
punti decisivi della controversia — in relazione agli artt. 116 c.p.c., 2697,
1227, 2056 c.c. in merito alla valutazione del materiale probatorio”.
La Corte di Roma avrebbe fornito una motivazione solo apparente in
ordine alla ritenuta sussistenza del concorso di colpa del danneggiato,
non avendo indicato gli elementi probatori da cui sarebbe emersa la

mancanza di attenzione del mede3imo danneggiato nell’attravergamento
d el
Inoltre, l’onere della prova circa il concorso di colpa e l’evitabilità del
danno con la diligenza dovuta è a carico del danneggiante, che non
l’avrebbe fornita.
Il motivo è inammissibile per le ragioni indicate nel motivo precedente
in ordine alla mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazioni
eterogenei.
D’altra parte, il motivo risulta pure infondato.
7

ha ritenuto che nella produzione dell’evento il comportamento del

La Corte d’appello ha rilevato d’ufficio la sussistenza della colpa della
vittima nella causazione del danno (disciplinato dall’art. 1227 c.c.,
comma 1), e non già la sussistenza della colpa della vittima
nell’aggravamento del danno (disciplinato dall’art. 1227 c.c., comma 2).
Ed è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che il concorso di
colpa della vittima di cui all’art. 1227 c.c., comma 1 costituisce oggetto

2017, n. 9355).
Per il resto le suddette censure, per quanto in parte prospettate anche
come violazione di legge, in effetti mirano ad introdurre un diverso
apprezzamento del fatto, rispetto a quello effettuato dal giudice di
merito, risolvendosi in una diversa lettura delle risultanze processuali,
effettuata dalla ricorrente, che non può trovare ingresso in questa sede
di legittimità
Non sussiste infatti il lamentato vizio motivazionale, in quanto la
sentenza impugnata, riportandosi agli elementi, incontestati, emersi
dall’istruttoria ha ritenuto che il sinistro fosse da ascrivere anche alla
condotta del D’Urso, che aveva attraversato il binario nonostante la
visuale di questo fosse parzialmente coperta dal treno da cui era disceso
in partenza. Ciò a prescindere anche dal fatto che l’affermazione circa il
comportamento processuale di controparte è apodittica (manca di
autosufficienza) e l’attribuzione di pari responsabilità è legittimamente
scaturita dall’accertamento del fatto
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 3, la “motivazione apparente e/o irriducibile contraddittorietà
circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, ovvero in merito all’avvenuta adozione per la liquidazione del
danno di tabelle medico legali diverse da quelle elaborate dal Tribunale
di Milano”.

8

di una questione rilevabile d’ufficio (ex multis, Cass. civ. Sez. III, 12-04-

Secondo la giurisprudenza di legittimità, sarebbe censurabile per
violazione di legge la sentenza di merito che non applica le tabelle
elaborate dal Tribunale di Milano.
D’altra parte, il solo fatto di aver ritenuto necessario apportare un
incremento alla quantificazione del danno ottenuta applicando le tabelle
del Tribunale di Roma renderebbe evidente che tali tabelle non sono

secondo cui il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale.
L’applicazione delle tabelle di Roma, anziché di quelle di Milano
avrebbe comportato un divario, inpeius, della valutazione del danno.
Inoltre la sentenza sarebbe obiettivamente incomprensibile nella parte
in cui, facendo applicazione delle tabelle romane, non illustra i criteri
indicati nelle medesime tabelle, né fornisce spiegazioni dei calcoli svolti,
impendendo così di verificarne la correttezza.
Il motivo è infondato.
Secondo i principi di questa Corte (Cfr. da ultimo Cass. n. 12288/2016;
Cass. n. 12408/2011), in tema di liquidazione del danno alla persona e
con riferimento ai criteri di cui alle cd. Tabelle milanesi, non soddisfa
l’onere di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il
ricorso per cassazione che si limiti a riportare le somme di denaro
pretese dal ricorrente a titolo risarcitorio in forza delle citate tabelle,
senza fare specifica indicazione delle stesse tra i documenti posti a
fondamento del ricorso, come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n.
4), ed omettendo di indicare puntualmente con quale atto processuale
sono state prodotte nel giudizio di merito ed il luogo del processo in cui
risultano reperibili milanesi (Etr. Cass. n. 17678/16). Rimane escluso,
infatti, per la stessa conformazione del giudizio di legittimità che la
Corte, con riferimento alle menzionate tabelle, possa far ricorso al
notorio o debba procedere alla loro ricerca di sua propria iniziativa.

9

conformi con l’orientamento della suddetta giurisprudenza di legittimità

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 5, della “motivazione apparente e/o irriducibile
contraddittorietà circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti, ovvero in merito al criterio per la
quantificazione del danno”.
Il Giudice di secondo grado avrebbe fondato il proprio parere circa la

il danno funzionale che quello estetico, discostandosi dalle risultanze
della ctu espletata in primo grado, su “tabelle medico legali per la
valutazione del danno biologico” senza identificare le tabelle richiamate
e senza dare conto di cosa emergerebbe da tali tabelle.
Inoltre, sarebbe illogica la sentenza impugnata per aver posto a
fondamento della propria decisione un documento di parte, formato al
di fuori del processo, anziché la ctu espletata in primo grado, i cui
risultati non sono mai stati contestati.
Il motivo è infondato.
Il giudice del merito ha dato piena contezza del criterio di valutazione
del danno estetico. Inoltre il motivo incontra il limite posto da Cass. S.
U. n. 8053-8054/2014.

4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 5, la “motivazione apparente e/o illogicità manifesta ovvero
contraddittorietà manifesta della stessa circa un fatto decisivo del
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero in merito
al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante”.
Sarebbe fatto notorio che il declassamento in ambito militare determina
l’acquisizione della qualifica di soldato semplice e che un soldato
semplice, all’epoca dei fatti percepiva Lire 5.0000 al giorno.
Ciò avrebbe dispensato il D’Urso da fornire la prova delle suddette
circostanze.

10

adeguatezza della percentuale di invalidità permanente a compensare sia

4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 5, la “motivazione apparente e/o illogicità manifesta della
stessa circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ovvero in merito al danno da perdita di chance.
Costituirebbero fatti notori anche il fatto che il genio Ferrovieri
rilasciava la qualifica di specializzato a coloro che completavano la

per la partecipazione a concorsi riservati.
Inoltre, considerato che il Reggimento genio ferrovieri è un corpo
dell’esercito altamente specializzato, per far parte del quale occorre
partecipare ad un severo concorso, già nel momento in cui l’odierno
ricorrente aveva partecipato a tale concorso e nel successivo
arruolamento avevano preso concretezza le aspirazioni del ricorrente.
Il quinto ed il sesto motivo di ricorso possono essere trattati
congiuntamente e devono essere disattesi.
Il ricorso al fatto notorio ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, attiene
all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito;
pertanto, l’esercizio sia positivo, sia negativo, del potere di fare ricorso
al notorio non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto
ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo,
invece, censurabile solamente la positiva assunzione, a base della
decisione, di un’inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto
generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd.
notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una
collettività di persone di media cultura.
In tale nozione, evidentemente, non rientrano lo stipendio percepito da
un soldato semplice in un dato periodo temporale, ovvero la
circostanza che il conseguimento di una certificazione presso un corpo
dell’esercito dia titoli preferenziali per l’accesso a concorsi presso enti

11

ferma triennale e che tale specializzazione costituiva titolo preferenziale

privati. Ciò senza considerare che il ricorrente in realtà richiede un
nuovo accertamento di merito.

5.

In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese seguono la

soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in
favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che
liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art.
13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 26 settembre 2016.
Il P idenie,
r

li Funzio.tu.: u

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA