Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27543 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9157/2015 proposto da:

FIBI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 76, presso lo

studio dell’avvocato MARCO SELVAGGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SILVIA REPETTO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO,

ANTONINO SGROI;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA NORD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 519/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/12/2014 R.G.N. 412/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che Fibi S.r.l. ha proposto opposizione all’avviso di addebito, notificatole il 7 giugno 2012, relativo a crediti di natura previdenziale in favore dell’I.N.P.S., oltre a somme aggiuntive, per l’importo di Euro 19.750,16;

– che tale avviso era conseguente al verbale di accertamento in data 25 marzo 2011, con il quale era stata ritenuta errata la qualificazione giuridica attribuita ai rapporti di lavoro tra la società e alcuni collaboratori a progetto operanti all’interno dei locali della stessa adibiti a centro benessere, centro estetico e palestra;

– che l’opposizione è stata respinta dall’adito Tribunale di Genova, sul rilievo che nella istanza di dilazione di pagamento, sottoscritta dal legale rappresentante della società, il debito contributivo era stato oggetto di esplicito e incondizionato riconoscimento;

– che con sentenza n. 519/2014, depositata il 5 dicembre 2014, la Corte di appello di Genova, esclusa la sussistenza di un riconoscimento di debito, ha comunque respinto il gravame della società;

– che la Corte ha ribadito, in primo luogo, il proprio precedente orientamento, per il quale sarebbe necessaria, ai fini della legittimità dei contratti, un’effettiva corrispondenza tra il contenuto del progetto e la prestazione del collaboratore, con la conseguenza che l’ipotesi in cui l’attività svolta in concreto sia difforme dal progetto è del tutto assimilabile alla mancanza del medesimo e che, anche in tale ipotesi, è da considerarsi operante il meccanismo di conversione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1: in sostanza, ha ritenuto operante l’automatica trasformazione del rapporto in lavoro subordinato ove l’attività prestata non sia riconducibile al progetto/programma così come descritto nel contratto, a prescindere dalle caratteristiche della stessa in termini di subordinazione o di lavoro autonomo;

– che la Corte di appello ha poi accertato come alcune delle attività (quelle di cui ai punti 4 e 6) previste nel progetto relativo alle collaborazioni di M., C. e O. non fossero state realmente svolte; mentre, quanto alla collaborazione di Mo.Lo., ha rilevato come l’attività, che la stessa doveva prestare, non fosse inquadrabile nello schema legislativo del lavoro a progetto, prevedendosi in questo caso lo svolgimento di una tipica attività di istruttore di palestre “del tutto compatibile con la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato”, il progetto non fosse “funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale” e fosse altresì emersa la sua “sottoposizione alle direttive” di un dipendente della società ( G.W.) preposto alla gestione e al coordinamento dei vari corsi;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con cinque motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito l’I.N.P.S. con controricorso;

– che S.C.C.I. – Società di cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S. S.p.A. ed Equitalia Nord S.p.A. sono rimaste intimate;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 e degli artt. 2,3,4,35,41,42,76,101 e 104 Cost., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto operante l’automatica trasformazione in rapporto di lavoro subordinato qualora l’attività svolta non sia riconducibile al progetto o programma individuato nel contratto, a prescindere dalla effettiva natura (subordinata o autonoma) della stessa, in tal modo non considerando che l’art. 69, comma 2, nel disciplinare la fattispecie in cui esista un contratto a progetto formalmente valido e rispondente ai requisiti di legge, ma la cui esecuzione sia difforme dal modello legale (e, quindi, la mancanza di riconducibilità dell’attività svolta al progetto), espressamente prevede che il giudice debba verificare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, trasformandolo, in caso di accertamento positivo, nel corrispondente tipo negoziale di fatto realizzatosi tra le parti;

– che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, artt. 1362 c.c. e segg. e art. 1325 c.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè vizio di omesso esame di fatto decisivo e oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5) e nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia erroneamente individuato l’oggetto del contratto, quanto alle collaborazioni di M., C. ed O., attribuendo al progetto un’estensione maggiore di quella pattuita e di conseguenza rinvenendo nel mancato espletamento di attività, in realtà non previste in contratto, la prova della non riconducibilità dell’attività svolta al progetto medesimo;

– che con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione delle stesse norme e dell’art. 2094 c.c., nonchè vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata in relazione al contratto di Mo., in particolare rilevando che il contenuto del relativo progetto era stato adeguatamente specificato e che esso non riguardava, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, un’attività tipica dell’istruttore di palestra, come tale, e per ciò solo, possibile oggetto di un rapporto di lavoro subordinato;

– che con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, art. 2094 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, la società ricorrente si duole dell’attribuzione al G. di un ruolo di superiore gerarchico nei confronti di tutti i collaboratori a progetto, sebbene le stesse dichiarazioni di questi ultimi acquisite in sede ispettiva ne delineassero la figura come quella di un mero coordinatore e fosse emerso che ciascuno dei collaboratori godeva di un ampio grado di autonomia e libertà nella gestione del proprio progetto;

– che con il quinto e ultimo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, artt. 112,115 e 116 c.p.c. e artt. 2697,2699 e 2700 c.c., nonchè vizio di motivazione, la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto di fondare la propria decisione esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese agli ispettori I.N.P.S. dai quattro collaboratori e, pertanto, in assenza di contraddittorio;

osservato:

che è fondato, e deve essere accolto, il primo motivo di ricorso, per ciò che attiene ai contratti di collaborazione a progetto di M., C. e O.;

– che, infatti, la Corte territoriale non si è uniformata al principio di diritto, per il quale

“In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti” (Cass. n. 12820/2016; conforme n. 17127/2016 e, fra le più recenti, n. 17707/2020);

– che nell’accoglimento del primo motivo di ricorso restano assorbiti il secondo e, nelle parti riferibili alle posizioni M., C. e O., il quarto e il quinto;

– che deve invece essere respinto il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente con il quarto e il quinto, là dove le censure dedotte riguardano anche la posizione Mo.;

– che al riguardo si deve rilevare che la sentenza impugnata, sottolineando come il progetto non risultasse “funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale, di cui non si fa alcun cenno nel progetto stesso” (cfr. p. 20), ha esattamente applicato il principio, per il quale la nozione di specifico progetto, di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, deve ritenersi consistere “in un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore; la norma in esame non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, non essendo desumibile tale nozione restrittiva nè dall’art. 61 cit., nell’originaria formulazione, nè dalla complessiva regolamentazione della fattispecie dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003 e successive modifiche” (Cass. n. 24379/2017);

– che, inoltre, l’assenza del progetto di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, ricorre “sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorchè il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia” (Cass. n. 8142/2017);

– che è, pertanto, corretta, sulla scorta di tali sole premesse, la conclusione cui è giunta la Corte territoriale con riguardo alla posizione in esame, fermo restando l’ulteriore accertamento relativo all’avvenuta sottoposizione della collaboratrice alle direttive del datore di lavoro, per il tramite di un dipendente dello stesso: accertamento che, ponendo in rilievo l’esercizio del potere direttivo come espressione tipica della subordinazione nei rapporti di lavoro, si sottrae alla critica di violazione o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e che costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile nella presente sede di legittimità, ove sorretto da idonea motivazione;

ritenuto:

conclusivamente che – accolto il primo motivo; assorbiti il secondo e, nei sensi di cui in motivazione, il quarto e il quinto; rigettato nel resto il ricorso – l’impugnata sentenza n. 519/2014 della Corte di appello di Genova deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio – alla medesima Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a riesame delle collaborazioni M., C. e O., si atterrà al principio di diritto di cui a Cass. n. 12820/2016, sopra richiamato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e, nei sensi di cui in motivazione, il quarto e il quinto; rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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