Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27542 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 27542 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: MOSCARINI ANNA

ORDINANZA

sul ricorso 11650-2015 proposto da:
REGIONE UMBRIA , in persona della
tempore Dott.ssa CATIUSCIA MARINI

Presidente proelettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso lo
studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, rappresentata
e difesa dall’avvocato PAOLA MANUALI giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente
contro

2017
1664

DI VITO CATIA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 2465/2014 del TRIBUNALE di
PERUGIA, depositata il 04/11/2014;

Data pubblicazione: 21/11/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. ANNA

MOSCARINI;

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FATTI DI CAUSA
La Regione Umbria ricorre avverso la sentenza del Tribunale di
Perugia, depositata in data 04/11/2014 che, in accoglimento
dell’appello proposto da Catia Di Vito avverso la sentenza del Giudice
di Pace di Foligno, l’ha condannata al risarcimento dei danni subìti

imprevedibile comparsa di una lepre selvatica sulla strada, per
l’importo, sia per i danni del mezzo sia per i danni alla persona,
(trauma distorsivo del rachide cervicale) di C 2.855,43 oltre interessi
legali e spese del grado.
Mentre il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda,
ritenendo che la convenuta non versasse in colpa, e che fosse carente
la prova dello stato dei luoghi, il giudice d’appello, considerata la CTU
medico-legale svolta in primo grado, ha accolto l’appello ritenendo
che la Regione non avesse provveduto ad adottare misure preventive
atte a scongiurare i pericoli creati dalla fauna selvatica, quali
picchetti, barriere, idonea segnaletica o limiti di velocità (110 km
orari sul tratto di strada luogo dell’incidente) sì da configurare, dato
per provato il nesso di causalità, la responsabilità della Regione ai
sensi dell’art. 2043 c.c.
Il giudice d’appello ha ritenuto applicabile la legge n. 978/77
secondo la quale la fauna selvatica appartiene alla categoria dei beni
patrimoniali indisponibili dello Stato e, sulla base della giurisprudenza
consolidata di questa Corte, ha affermato che il danno, procurato
dalla selvaggina, deve essere risarcito quando, pur’essendo lo stato di
libertà della stessa incompatibile con l’obbligo di custodia, non siano
stati adottati precauzioni e accorgimenti del caso, con particolare
riguardo alla doverosa informativa circa i pericoli per auto e pedoni
circolanti in zone a contatto con detti animali (Cass., 3 n. 23095 del
16/11/2010).

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dalla Di Vito a seguito dell’incidente causato dall’improvvisa ed

Ciò premesso, il giudice di appello ha condannato la Regione
Umbria al risarcimento dei danni oltre alle spese del grado.
Avverso detta sentenza la Regione Umbria propone ricorso per
cassazione affidato a due motivi.
La Di Vito non si è costituita in giudizio.

Con il primo motivo denuncia l’illegittimità della sentenza ex
art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. – Error in procedendo. Violazione degli artt.
183 e 345 c.p.c.
Censura la sentenza nella parte in cui avrebbe basato
l’accertamento della responsabilità della Regione sul fatto che la zona
del sinistro fosse prospiciente il Parco del Subasio laddove, invece,
solo una stretta contiguità avrebbe potuto giustificare l’adozione di
cautele da parte della Regione.
Ad avviso della ricorrente, l’allegazione dell’indicata contiguità
sarebbe stata introdotta per la prima volta in appello di guisa che il
giudice di appello avrebbe errato nel non rilevare d’ufficio
l’inammissibilità dell’allegazione del fatto, ai sensi degli artt. 183 e
345 c.p.c. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, se avesse
acclarato l’inammissibilità dell’allegazione, il giudice di appello
avrebbe confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la
domanda attorea per carenza di prova in ordine allo stato dei luoghi,
ai sensi degli artt. 2043 e 2697 c.c.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto la
sentenza ha accertato la responsabilità della Regione, non in base
all’argomento della contiguità della strada rispetto al parco, ma in
relazione a plurimi comportamenti omissivi integranti i presupposti
della responsabilità ex art. 2043 c.c.
Si legge infatti nella sentenza impugnata (p. 3) che la Polizia
Stradale aveva informato dell’assenza di indicazioni circa la possibile
presenza di selvaggina e che la convenuta non aveva dato prova di

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RAGIONI DELLA DECISIONE

aver adottato accorgimenti preventivi, quali per esempio un adeguato
limite di velocità (in quel tratto di 110 km/h). Nulla si dice in ordine
alla contiguità del tratto stradale con il Parco del Subasio se non che
tale argomento fu speso dall’appellante. Non vi è alcuna
decidendi

ratio

dell’impugnata sentenza che abbia fatto propria la

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di
richiedere, a pena di inammissibilità, che i motivi di ricorso abbiano
caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione
impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del
capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di ragioni che
illustrino in modo intellegibile ed esauriente le dedotte violazioni di
norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass.,
3, n. 20652 del 25/09/2009). Ha altresì statuito l’inammissibilità del
ricorso nel quale non venga precisato se, in sede di appello, era stata
articolata censura in ordine ad un aspetto della decisione che non
risulti trattato nella sentenza impugnata (Cass., 3, n.13259 del
6/6/2006).
E’ evidente che la sentenza impugnata non soddisfa alcuna delle
condizioni richieste da questa Corte per la specificità, la completezza
e riferibilità dei motivi, né risulta che la questione avesse formato
oggetto di motivo d’appello né, soprattutto, che la sentenza
impugnata abbia fatto propria, quale principale ratio decídendí, la
questione della contiguità della strada con il Parco del Subasio.
Il motivo è dunque inammissibile.
Con il secondo motivo denuncia l’illegittimità della sentenza ex
art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione:
degli artt. 2043 e 2697 cod. civ.; della L. 157/1992, ed in particolare
degli artt. 1 e 3, 9 c. 1, 10, 19 c. 2, dell’art. 14 della L. n. 142/1990
(ora art. 19 D.Lgs. 267/2000); della L.R. Umbria n. 17/05/1994 n. 14
e ss.mm .ii., ed in particolare; degli artt. 3-5, 28 c. 2; degli artt. 11

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circostanza denunziata quale “nuova” con il primo motivo di ricorso.

comma 3 lett. a) e comma 4 della L. 06/12/1991 n. 394; degli artt. 7,
8, 15 comma 1 lett. A) e B), 25 comma 1 lett. A) della L.R. Umbria n.
03/03/1995 n. 9 e ss.mm .ii.; degli artt. 14 e 37 del D.Lgs. n.
285/1992 (Codice della Strada).
Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la

accertare, sulla base delle norme indicate in epigrafe, la
legittimazione passiva dello Stato, e per esso dell’Anas, ente
concessionario, ovvero della Provincia, titolare di funzioni
amministrative sulla fauna selvatica, proprie e delegate, ovvero della
Comunità Montana dei Monti Martani e del Subasio.
La legittimazione passiva avrebbe dovuto radicarsi nello Stato
in quanto proprietario della strada, ovvero nel concessionario Anas ai
sensi degli artt. 14 e 37 co. 1 del Codice della strada, ovvero nella
Provincia cui compete l’esercizio delle funzioni amministrative, in
ordine alla caccia e alla protezione della fauna selvatica, sia quale
competenza attribuita espressamente dall’art. 14 L. n. 142/1990, sia
quale competenza delegata dalla Regione ai sensi dell’art. 28 co. 2
L.R. n. 14/1994.
Il motivo è inammissibile in quanto la questione è sostanziale,
afferendo all’imputazione della responsabilità, e la stessa non risulta
essere stata posta nei gradi di merito, come del resto implicitamente
confermato dalla stessa ricorrente che non ha dedotto di averla posta
in quella sede. La Regione risulta essersi sempre difesa nel merito,
senza negare la propria legittimazione sostanziale, sicchè la questione
è nuova ed in quanto tale inammissibilmente introdotta nel giudizio di
Cassazione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti,
qualora una determinata questione giuridica – che implichi un
accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella
sentenza impugnata né indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il
ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine

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legittimazione passiva della Regione, mentre avrebbe dovuto

di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura,
ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione
innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto
difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo
alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale

2, n. 8206 del 22/4/2016).
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, non vi è
da provvedere sulle spese in quanto la Di Vito non si è difesa nel
giudizio di Cassazione; occorre, invece, provvedere al raddoppio del
contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile, nulla per le spese. Ai sensi
dell’art. 13 co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il giorno 19/7/2017
Il P esidente

asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass.,

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