Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27540 del 11/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/10/2021, (ud. 30/09/2021, dep. 11/10/2021), n.27540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11276/2015 R.G. proposto da:

Travertini Caucci s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Ludovisi, n. 35,

presso lo studio dell’Avv. Massimo Lauro, rappresentata e difesa, in

virtù di procura a margine del presente atto, dall’Avv. David

Bacecci, unitamente all’Avv. Daniele Grimaldi;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 6282/22/2014, depositata il 22 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30 settembre

2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava sia l’appello principale della società Travertini Caucci s.p.a. sia l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma (n. 210/59/2012), che aveva accolto solo in parte il ricorso proposto dalla società contribuente. In particolare, per quel che ancora qui rileva, la Commissione provinciale aveva ritenuto che rientrasse fra i componenti positivi del reddito della società la somma di Euro 298.790,00, in quanto i finanziamenti dei soci in entrata corrispondevano ai pagamenti in uscita effettuati dalla società in favore della TP travertino s.r.l., a decurtazione del debito, non essendo stata acquisita una prova idonea a dimostrare l’effettiva movimentazione di denaro nell’ambito delle singole operazioni di pagamento eseguite ed era anche mancante la documentazione di supporto agli esborsi effettuati. Il giudice d’appello, sempre per quel che ancora qui rileva, rigettando l’appello principale della società, osservava che l’importo complessivo di Euro 298.790,00, quale movimentazione di denaro in uscita dalla società contribuente Travertini Caucci s.p.a. ed in entrata nella società TP Travertino s.r.l., a decurtazione del debito iscritto, con ripetute registrazioni nel libro giornale, era sprovvisto di elementi probatori. Infatti, esaminata la “documentazione prodotta”, come osservato dal giudice di prime cure, non era stata fornita nessuna causale specifica e dettagliata al fine di individuare l’effettiva movimentazione di denaro nell’ambito delle singole operazioni di pagamento eseguite ed era mancante la documentazione di supporto agli esborsi effettuati per ogni singola operazione di pagamento per l’acquisto dei beni dei servizi. Non era sufficiente, a tale scopo, richiamare la regolarità delle notazioni contabili. Il giudice d’appello rigettava, invece, il gravame incidentale l’Agenzia delle entrate.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società. 3.L’Agenzia delle entrate deposita “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1″. L’Agenzia ha depositato anche memoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate, pur non avendo notificato il controricorso, ha però ritualmente depositato una memoria.

Invero, per questa Corte, in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380-bis.1 c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente, trovando in tali casi applicazione l’art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione (Cass., sez. 2, 14 maggio 2019, n. 12803).

1.1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., comma 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza o del procedimento ovvero in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. In particolare, il giudice d’appello ha totalmente omesso l’esame dei documenti decisivi e, in particolare, non ha esaminato i documenti prodotti soltanto in sede di gravame, attestanti i versamenti eseguiti dalla società contribuente in favore della TP Travertino s.r.l., come corrispettivo per il pagamento del canone di affitto di azienda e dell’acquisto di beni strumentali. L’Agenzia delle entrate non ha mai contestato i versamenti in denaro contante eseguiti dei soci della Travertini Caucci s.p.a. a titolo di finanziamento soci a tasso zero, ma esclusivamente gli esborsi successivi in favore della TP Travertino s.r.l. in liquidazione, ad estinzione del debito contratto nei suoi confronti. Nel corso del giudizio di prime cure, la società contribuente aveva prodotto il contratto d’affitto d’azienda del (OMISSIS), la fattura di vendita di beni strumentali alla TP Travertino s.r.l., per la somma di Euro 130.000,00, oltre a n. 10 fatture emesse nell’anno 2004 dalla TP Travertino s.r.l. a carico della Travertini Caucci S.p.A., per il corrispettivo dovuto per l’affitto d’azienda concluso tra le parti, ed ai conti di mastro relativi al fornitore TP Travertino s.r.l.. Successivamente, solo in sede di gravame, la contribuente ha prodotto n. 25 quietanze di pagamento rilasciate dalla TP Travertino s.r.l. in liquidazione alla Travertini Caucci s.p.a. per le somme da questa dovute e, quindi, per l’estinzione del debito a carico della contribuente. Sempre in sede di appello la contribuente ha prodotto l’estratto autenticato del libro di contabilità della Travertini Caucci S.p.A., con le diverse annotazioni in ordine alle varie operazioni, corrispondenti alle quietanze di pagamento. I pagamenti non potevano essere riferiti ad una specifica fattura per il singolo canone d’affitto dovuto, essendo intervenuto un accordo di rateizzazione del debito tra le parti che prevedeva la corresponsione di pari importo (Euro 12.000,00 oppure Euro 12.400,00) sino all’estinzione completa del debito maturato.

1.2. Il primo motivo è fondato.

1.3. Invero, premessa l’inammissibilità del motivo in relazione alla dedotta violazione del principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c., comma 1, (Cass., sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940, trattandosi di apprezzamento nel merito, insindacabile in sede di legittimità), oltre che della loro valutazione, ex art. 116 c.p.c., comma 1, (Cass., sez. 3, 17 giugno 2013, n. 15107; Cass., sez. L, 19 giugno 2014, n. 13960, per cui l’erroneo esercizio del prudente apprezzamento della prova va dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la sentenza della Commissione tributaria regionale è stata depositata in data 22 ottobre 2014, sicché trova applicazione il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come declinato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012.

Inoltre, poiché l’appello è stato depositato in data 10 dicembre 2012, dovrebbe applicarsi anche l’inammissibilità del vizio di motivazione nel caso di doppia decisione conforme nel merito. Tuttavia, l’art. 348-ter c.p.c., in vigore per i procedimenti in cui l’atto di appello presentato con ricorso, sia stato depositato a decorrere dall’11 settembre 2012 (nella specie il deposito dell’atto di appello è avvenuto il 10 dicembre 2012), prevede l’inammissibilità del vizio di motivazione, in caso di doppia decisione conforme nel merito, quando le ragioni delle decisioni siano inerenti alle medesime questioni di fatto. Le motivazioni delle due sentenze sono sostanzialmente sovrapponibili. Il giudice di prime cure ha affermato che “non risultava, però, acquisita una prova idonea a dimostrare l’effettiva movimentazione di denaro esplicativa delle singole operazioni di pagamento eseguite nonché una documentazione di supporto degli esborsi che sarebbero stati effettuati”. La Commissione tributaria regionale, allo stesso modo, ha ritenuto che “esaminata la documentazione prodotta, si rileva, come ha correttamente indicato il giudice di prima istanza, che non è stata fornita nessuna causale specifica e dettagliata al fine di individuare l’effettiva movimentazione di denaro nell’ambito di singole operazioni di pagamento eseguite ed è mancante la documentazione di supporto agli esborsi effettuati per ogni singola operazione di pagamento per l’acquisto dei beni e dei servizi”.

In realtà, invece, nella specie, i documenti decisivi, costituiti da n. 25 quietanze di pagamento rilasciate dalla TP Travertino s.r.l. in liquidazione alla Travertini Caucci s.p.a., relative alle somme erogate per l’estinzione del debito nei confronti della T.P. Travertini, costituito dal pagamento del canone di affitto di azienda e del corrispettivo dell’acquisto di alcuni beni, oltre che dall’estratto autentico del libro di contabilità della Travertini Caucci, con riferimento a tutte le annotazioni relative ai predetti pagamenti, sono stati prodotti dalla società contribuente esclusivamente nel giudizio di appello; sicché il giudice di prime cure, pur avendo rigettato il ricorso della contribuente, limitatamente a questa ripresa fiscale, oggetto della presente controversia, non ha fondato la sua decisione sulle “stesse ragioni”, “inerenti alle questioni di fatto”. La Commissione provinciale, dunque, ha deciso su un materiale probatorio deficitario, ben diverso dal corredo probatorio prodotto in sede di appello dalla società contribuente.

L’art. 348-ter c.p.c., infatti, prevede, al comma 5, che “la disposizione di cui al comma 4, si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348-bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma decisione di primo grado”.

1.4. Costituisce dato pacifico tra le parti che i finanziamenti sono stati effettivamente erogati dai soci per la somma di Euro 298.790,00 (in caso di contestazione la società avrebbe dovuto fornire la prova della effettività del finanziamento come da Cass., sez. 5, 27 aprile 2018, n. 10228; Cass., sez. 5, 27 ottobre 2017, n. 25578; Cass., sez. 5, 19 giugno 2015, n. 12764; Cass., sez. 5, 7 giugno 2017, n. 14066). Infatti, come emerge dal contenuto dell’avviso di accertamento, ritualmente trascritto, nei suoi stralci essenziali, nel ricorso per cassazione emerge che i finanziamenti sono stati effettivamente eseguiti, ma mancava la prova dei pagamenti effettuati alla TP Travertino, per le prestazioni da essa rese (affitto di azienda quale affittante e cedente di alcuni beni). Si legge, infatti, nell’avviso di accertamento: “Omessa dichiarazione di componenti positive di reddito pari ad Euro 298.790,00. Dall’esame del libro giornale, i militari verificatori hanno rilevato alcune movimentazioni di cassa contante sia in entrata che in uscita: a fronte di finanziamenti dei soci in entrata, per complessivi Euro 298.790,00, corrispondevano uscite per pagamenti effettuati alla società TP Travertino s.r.l., in diminuzione del debito iscritto nei confronti del medesimo fornitore”. Nel ricorso per cassazione si evidenzia che “dal PVC della Guardia di Finanza 27 marzo 2007 e dal conseguente avviso di accertamento dell’ufficio 10 giugno 2010 non venivano contestati i versamenti in denaro contante eseguiti dei soci della Travertini Caucci s.p.a. a titolo di finanziamento soci a tasso zero ma, esclusivamente, i conseguenti esborsi in favore della TP Travertino s.r.l. in liquidazione ad estinzione del debito contratto nei suoi confronti” (cfr. pagina 11 del ricorso per cassazione, sempre nel ricorso per cassazione, con riferimento alla mancata contestazione in ordine all’erogazione dei finanziamenti dei soci, si evidenzia che “la ricorrente aveva dedotto l’effettivo esborso della somma che, invece, l’Ufficio riteneva entrata nella società, ma destinata a finalità diverse dall’attività di impresa e, quindi, componente positiva di reddito” (cfr. pagina 25 del ricorso per cassazione).

1.5. Il fatto controverso e decisivo per il giudizio, dunque, era costituito dalla sussistenza o meno di elementi di prova idonei a dimostrare che la società contribuente avesse effettuato i pagamenti in favore della TP Travertino. Con riferimento a tale aspetto, il giudice d’appello, nella motivazione, ha omesso di valutare i documenti prodotti in sede di appello, che sono di sicuro decisivi ai fini della soluzione della controversia in esame ed impongono una rivalutazione delle prove da parte del giudice del rinvio.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. In particolare, nel processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 27 marzo 2007 si riportava che i beni (denaro contante dell’attivo circolante), pari ad Euro 298.790,00, erano stati destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività dell’impresa e, quindi, dovevano ritenersi come componenti positivi di reddito, ai sensi del D.P.R. n. 917 1986, art. 86, comma 1. Tale assunto era stato poi ribadito dall’Ufficio sia nell’avviso di accertamento del 10 giugno 2010, sia nelle controdeduzioni nelle fasi di merito. Tuttavia, la società aveva già nel ricorso introduttivo e, successivamente, con l’atto di appello eccepito la totale inconferenza della normativa richiamata, prevista per le plusvalenze patrimoniali dei beni relativi all’impresa, ma totalmente estranea alla fattispecie in esame. Era, infatti, impossibile procedere alla costituzione di plusvalenza nel caso di un bene costituito dal danaro, come emergeva dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 3, ossia mediante la differenza tra il valore normale del bene ed il costo non ammortizzato. Non si comprende, dunque, come tali versamenti da parte del socio, destinati al pagamento di un debito sociale, fossero stati trasformati in una componente positiva di reddito, con riferimento al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1. Tra l’altro, ove si trattasse di plusvalenza, non potrebbe essere oggetto di ripresa fiscale l’intera somma di Euro 298.790,00, ma solo la minore somma determinata dalla plusvalenza, costituita da tale complessivo versamento, con conseguente riduzione del reddito dichiarato e della imposta evasa.

2.1. Il secondo motivo è anch’esso fondato.

2.2. L’avviso di accertamento si è basato sulla circostanza che i finanziamenti, effettivamente erogati dai soci e quindi pervenuti nelle casse della società, non fossero stati poi destinati al pagamento dei debiti effettivamente contratti anch’essi con la società TP Travertino, e quindi fossero stati destinati a finalità diverse ed estranee all’attività societaria.

Si legge, infatti, nello stralcio dell’avviso di accertamento riportato nel ricorso per cassazione che “si ritiene pertanto che i beni (denaro contante dell’attivo circolante) pari ad Euro 298.790,00, siano stati destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività di impresa e quindi configuranti componenti positivi ai sensi del Tuirn. 917 del 1986, art. 86, comma 1. (Pagine da 11 a 14 del PVC)”.

2.2. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, prevede sul punto che “le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nell’art. 85, comma 1, concorrono a formare il reddito: a) se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso; b) se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni; c) se i beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”.

Inoltre, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 3, stabilisce che “nell’ipotesi di cui al comma 1, lett. c), la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni”.

2.3. Da tali elementi emerge che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, che costituisce una norma di chiusura di carattere antielusivo volta ad impedire lo spostamento di massa imponibile dall’area della imposizione naturale (quella della società che possiede i beni) a soggetti terzi (Cass., sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15753), attiene necessariamente ai beni dell’impresa e non può riferirsi al denaro contante. Infatti, nell’ambito del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, i beni suscettibili di generare plusvalenze sono quelli diversi dai beni indicati nel medesimo D.P.R., art. 85, comma 1, ovvero diversi da quelli che concorrono a formare i ricavi (i beni-merce). Pertanto, rientrano tra i beni che possono dare luogo alle plusvalenze quelli non destinati a dar luogo a ricavi, e ciò sia che si tratti di beni strumentali che di beni meramente patrimoniali. I beni appartenenti all’impresa suscettibili di generare plusvalenze sono dunque i seguenti: le immobilizzazioni immateriali (diritti di brevetto industriale, diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, concessioni e licenze); le immobilizzazioni materiali strumentali (terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature, mobili e arredi); le immobilizzazioni materiali non strumentali per l’esercizio dell’impresa; partecipazioni, strumenti finanziari obbligazioni ed altri titoli.

Pertanto, le plusvalenze patrimoniali si riferiscono ad una componente del reddito di impresa che si differenzia nettamente dei ricavi, in quanto sono relative a beni diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa, che sono produttivi invece di ricavi.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, non attiene, allora, al denaro contante, anche per l’evidente difficoltà (rectius impossibilità) di calcolare la plusvalenza; quest’ultima, infatti, ai sensi del citato D.P.R., art. 86, comma 2, è costituita, per le ipotesi di cui alle lettere a) e b), “dalla differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato”. Inoltre, quanto all’ipotesi di cui al citato art. 86, lett. c), la plusvalenza “e’ costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni”.

L’ipotesi di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, lett. c), concerne le plusvalenze connesse ai beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio di impresa. Per la dottrina, la rilevanza fiscale attribuita a tale destinazione trova, dunque, giustificazione in esigenze di cautela fiscale, cioè nella necessità di impedire che, mediante tale destinazione, una parte dei beni venga sottratta alla formazione del reddito di impresa e al pagamento delle imposte dovute.

Se, dunque, la società contribuente non riuscisse a dimostrare che i finanziamenti ricevuti realmente dei soci siano stati destinati al pagamento del debito contratto con la TP Travertino, non sarebbe comunque applicabile il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, lett. c), che riguarda invece esclusivamente i “beni” che vengano assegnati ai soci o siano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, non rientrando in tale fattispecie il denaro contante, anche per l’impossibilità, in tal caso, di procedere al calcolo della plusvalenza tassabile.

Nella memoria depositata l’Agenzia delle entrate ha dedotto che, in realtà, il denaro può costituire la plusvalenza di cui al D.P.R., art. 86, comma 1, lett. c), in quanto rientrante tra i “beni relativi all’impresa” destinati a “finalità estranee all’esercizio dell’impresa”, essendo annoverabile nell’attivo circolante dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c. (lettera C del contenuto dello stato patrimoniale). In particolare, l’attivo circolante ricomprende le “disponibilità liquide” (voce IV), facendo riferimento a depositi bancari e postali, assegni, denaro e valori in cassa. Tali “beni”, se ceduti, darebbero origine a “componenti positive di reddito”. La difesa della Agenzia non è pertinente, in quanto, come detto, la plusvalenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, lett. c, fa riferimento ai “beni relativi all’impresa”, che possono, comunque, dare luogo ad un ammortamento, con conseguente deducibilità nel passivo del conto economico. La plusvalenza di cui al comma 1, lett. c), è costituita, ai sensi del citato art. 86, comma 3, “dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni”, facendo intendere che vanno considerati solo i beni che possono dare luogo ad ammortamento, tra i quali non è annoverabile il denaro. Ne’ per il denaro è possibile fare riferimento al “valore normale”.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso originario della contribuente.

4.Trattandosi di questione di diritto di particolare importanza deve enunciarsi il seguente principio di diritto: “In tema di redditi di impresa, nell’ipotesi in cui la società abbia effettivamente ricevuto finanziamenti dai soci, con il versamento di denaro contante, l’eventuale utilizzo delle somme per finalità estranee all’esercizio dell’impresa non può costituire plusvalenza, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 1, lett. c), attenendo tale norma solo alle plusvalenze generate dai beni relativi all’impresa, strumentali o meramente patrimoniali, con esclusione dei beni-merce e del denaro, anche per l’impossibilità in tale ultimo caso di procedere al calcolo della plusvalenza tassabile, non essendo ipotizzabile alcun ammortamento”.

5.Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della Agenzia delle entrate, e si liquidano come da dispositivo. Vanno interamente compensate le spese dei gradi di merito, sussistendone giusti motivi.

PQM

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.

Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della società delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre Iva e Cpa, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15%.

Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

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