Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27539 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. I, 28/10/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34697/2018 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Guido Reni n. 2, presso lo

studio dell’Avvocato Giorgio Vianello Accorretti, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Raffaele Silipo giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore

fallimentare Dott. R.P., domiciliata in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’Avvocato Salvatore Iannotta giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di

Catanzaro, Procura della Repubblica di Crotone presso il Tribunale

di Crotone;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1674/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 27/9/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/9/2019 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Crotone dichiarava il fallimento della società (OMISSIS) s.r.l. una volta constatate, in via preliminare, la regolarità della notifica della richiesta di fallimento e la sussistenza della legittimazione attiva del Pubblico Ministero istante e dopo aver registrato, nel merito, la sussistenza di una condizione di insolvenza, tenuto conto della grave esposizione debitoria maturata dalla società e dell’omesso deposito dei bilanci a partire dal 2015.

2. A seguito del reclamo presentato da (OMISSIS) s.r.l. la Corte d’Appello di Catanzaro: i) riteneva che l’iter del procedimento notificatorio previsto dalla L. Fall., art. 15, comma 3, fosse stato pienamente rispettato, in quanto alla data in cui era stata tentata la notifica telematica la società debitrice non disponeva più di un indirizzo di posta elettronica certificata, di modo che il P.M. ricorrente aveva proceduto in maniera del tutto legittima alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza presso la sede legale della compagine; ii) reputava che il successivo tentativo di notifica fosse stato correttamente compiuto presso la sede risultante dal registro delle imprese, in ossequio al disposto della L. Fall., art. 15, comma 3, a prescindere dal fatto che lo stabile non fosse ormai da tempo nella materiale disponibilità della compagine debitrice; iii) riteneva che la notitia decoctionis fosse stata acquisita dal Pubblico Ministero nell’esercizio delle sue attività istituzionali, sulla base della lettura degli atti iscritti a modello 45 e all’esito delle indagini investigative delegate alla Guardia di Finanza, circostanze che legittimavano la presentazione della richiesta di fallimento L. Fall., ex art. 7; iv) osservava che il valore complessivo del patrimonio immobiliare della società non escludeva il suo stato di insolvenza, tenuto conto che il compendio era stato interamente staggito – e dunque non risultava di facile commerciabilità – e posto in vendita a un prezzo d’asta inferiore al complessivo ammontare dei debiti contratti da (OMISSIS) s.r.l..

Sulla base di simili argomenti la corte distrettuale, con sentenza del 27 settembre 2018, rigettava il reclamo presentato da (OMISSIS) s.r.l..

3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.r.l..

Gli intimati Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crotone e Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro non hanno svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 267 del 1942, art. 15, D.P.R. n. 68 del 2005, artt. 1, 6 e 8, D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 45, D.M. 2 novembre 2005, D.M. n. 44 del 2011, artt. 13, 4, 6 e 16, art. 4 del provvedimento del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del 16/4/2014, come modificato dal provvedimento del 28/12/2015, artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e della nota integrativa n. 12 del 5/10/2015 dell’Agenzia per l’Italia digitale: la corte distrettuale avrebbe ravvisato la ritualità dell’iter del procedimento notificatorio valorizzando il contenuto della comunicazione postuma della cancelleria fallimentare del Tribunale di Crotone in violazione di questa congerie di norme, poichè nè l’informativa postuma, nè le schermate video ad essa allegate integravano una rituale e completa ricevuta di accettazione rilasciata dal gestore di posta certificata del Ministero della Giustizia contenente i dati di certificazione di cui al D.P.R. n. 68 del 2015, artt. 1 e 6, i quali soli avrebbero potuto comprovare, tramite la produzione dell’avviso di accettazione e di quello di mancata consegna, l’avvenuta attivazione e il tentativo di notifica della richiesta di fallimento.

La peculiarità delle caratteristiche dei messaggi gestiti dai sistemi di posta elettronica certificata impediva infatti che eventuali elementi annotativi potessero implementare l’efficacia di documenti non caratterizzati dalla tipicità legalmente prevista; di conseguenza la valutazione da parte del collegio del reclamo di schermate video di cancelleria prive dei dati di certificazione contrastava con il disposto dell’art. 116 c.p.c. e con il principio secondo cui la prova derivante da un documento tipicamente previsto dalla legge per dimostrare il verificarsi di un certo fatto non poteva essere surrogata altrimenti.

A fronte della deduzione dell’insussistenza della prova legale dell’attivazione della procedura di notificazione telematica, con la conseguente invalidità dell’intero procedimento di notificazione, la corte distrettuale avrebbe poi offerto una motivazione meramente apparente, presupponendo il verificarsi di un fatto controverso (vale a dire il tentativo di notifica telematica) senza illustrare l’iter logico seguito per arrivare a un simile risultato e omettendo di considerare che la mancanza dell’indirizzo p.e.c. di (OMISSIS) s.r.l. non escludeva l’inesistenza della notifica telematica necessaria perchè si potesse passare alla successiva fase del procedimento notificatorio.

4.2 Il motivo è infondato.

La corte distrettuale non ha affermato, rispetto alla notificazione da effettuarsi in forma telematica, che la certificazione di cancelleria acquisita valeva a integrare la prova dell’intervenuta notifica, ma ha tratto da tale documento la dimostrazione che “alla data in cui è stata tentata la notifica la società fallita non disponeva più di un indirizzo di posta elettronica certificata, che era stato cancellato dal Giudice del Registro delle Imprese di Crotone” e ha conseguentemente constatato “l’impossibilità di procedere alla notificazione a mezzo pec”, ritenendo che questa circostanza legittimasse il passaggio alla notificazione presso la sede legale.

La statuizione va esente da censure.

Di una simile impossibilità infatti (piuttosto che dell’esito della notifica), stando alla giurisprudenza di questa Corte, ben può essere data attestazione da parte del cancelliere (Cass. 8014/2017), poichè l’art. 15, comma 3, non prevede particolari modalità al riguardo, nè richiede la specifica allegazione del messaggio ritrasmesso dal gestore della posta elettronica certificata attestante l’esito negativo dell’invio.

E in caso di accertata impossibilità di procedere alla notifica a mezzo di posta elettronica certificata perchè l’imprenditore non dispone di questo indirizzo la notifica dell’istanza di fallimento può essere effettuata direttamente presso la sua sede risultante dal registro delle imprese, in modo da far gravare sull’imprenditore le conseguenze negative derivanti dal mancato rispetto degli obblighi di dotarsi di indirizzo p.e.c. e di tenerlo operativo e assicurare così le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale, senza necessità di eseguire un atto inutile per la tutela del diritto di difesa dell’imprenditore.

5.1 I secondo motivo di ricorso assume l’intervenuta violazione dell’art. 24 Cost., L. Fall., art. 15 e art. 151 c.p.c.: la corte distrettuale, ritenendo di nessun rilievo il fatto che (OMISSIS) s.r.l. avesse perso contatto con la propria sede sin dal 20 giugno 2017, in conseguenza dell’ordinanza con cui il giudice delle esecuzioni immobiliari aveva autorizzato l’immissione in possesso degli immobili pignorati da parte del custode giudiziario, avrebbe valorizzato, al fine di verificare l’esattezza dell’iter di notificazione della richiesta di fallimento, una notifica la cui correttezza era solo formale, dato che la società non avrebbe mai potuto ricevere la notifica dell’atto a lei destinato; la necessità di garantire il contraddittorio avrebbe invece imposto di stabilire che alla procedura prevista dalla L. Fall., art. 15 si aggiungesse una notifica effettuata ai sensi dell’art. 138 c.p.c. al legale rappresentante della società presso la sua residenza.

5.2 Il motivo non è fondato.

In tesi di parte ricorrente la perdita di disponibilità della sede legale, nota tanto al giudice quanto al P.M. richiedente, avrebbe imposto una attività supplementare rispetto al normale iter notificatorio, di modo che il deposito presso la casa comunale sarebbe stato possibile solo a seguito del vano tentativo di effettuare la notifica al legale rappresentante della società debitrice ai sensi dell’art. 138 c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte è però ferma nel ritenere che la norma abbia introdotto in materia una disciplina speciale, del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti del processo, sicchè va escluso che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e segg. o 145 c.p.c. (a seconda che l’impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società (si vedano in questo senso Cass. n. 16864/2018, Cass. n. 6378/2018, Cass. n. 5080/2018, Cass. n. 602/2017 e Cass. n. 17946/2016).

Questo carattere speciale, sotto il profilo della sua maggiore semplicità rispetto al corrispondente regime ordinario codicistico, per la notificazione del ricorso di fallimento intende positivizzare e rafforzare il principio secondo cui il Tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare, a tal fine, ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorchè la situazione di irreperibilità di questi debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o a una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (cfr. Cass. n. 602/2017, Cass. n. 23728/2017 e Cass. n. 6836/2018).

In questa prospettiva interpretativa il tenore della L. Fall., art. 15, comma 3, (come sostituito dal D.L. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 221 del 2012), nella parte in cui prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c., risulta coerente con il disposto degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto (come già affermato dalle sentenze n. 146/2016 e n. 162/2017 della Corte costituzionale) la diversità delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina: l’art. 145 c.p.c. infatti è esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la disposizione in parola si propone di coniugare la stessa finalità di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, degli obblighi, previsti per legge, di munirsi di un indirizzo di p.e.c. e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa (Cass. n. 26333/2016).

6.1 Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. Fall., artt. 6 e 7, artt. 69,112,115 e 116 c.p.c., art. 55 c.p.p. e art. 2907 c.c.: la corte distrettuale avrebbe erroneamente ravvisato la legittimazione del P.M., malgrado la sua iniziativa fosse stata originata dalla lettura degli atti relativi a un procedimento iscritto a modello 45 e dunque al di fuori del novero delle ipotesi previste dalla L. Fall., art. 7, n. 1.

Nè sarebbero valse a supportare la richiesta del P.M. – a dire del ricorrente – le indagini investigative da questi delegate alla Guardia di Finanza, dato che le stesse costituivano non degli atti di indagine preliminare delegati alla polizia giudiziaria, bensì una arbitraria iniziativa preclusa al magistrato inquirente, in quanto il loro compimento presupponeva, prima che venissero disposte, una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.

6.2 Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

6.2.1 Questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. n. 20400/2017) che la ratio della L. Fall., art. 7, una volta venuto meno il potere del Tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è chiaramente nel senso di estendere la legittimazione del P.M. alla presentazione della richiesta in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis; e tale soluzione interpretativa trova conforto sia nella previsione della L. Fall., art. 7, comma 1, n. 2, che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, sia nella relazione allo schema di D.Lgs. di riforma delle procedure concorsuali, che fa riferimento a qualsiasi notitia decoctionis emersa nel corso di un procedimento penale (cfr. Cass. n. 10679/2014, Cass. n. 23391/2016 e Cass. 8977/2016).

Il riferimento contenuto nella L. Fall., art. 7, n. 1) al riscontro della notitia decoctionis “nel corso di un procedimento penale” non deve perciò essere interpretato in senso riduttivo, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo o di terzi (Cass. n. 8977/2016).

Una conferma in questo senso viene dal tenore della L. Fall., art. 7, n. 1 che, nel separare in termini alternativi la notizia appresa nel corso di un procedimento penale dai casi elencati nella seconda parte della norma, consentendo di ravvisare nella fuga, irreperibilità, latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali, trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo altrettante ipotesi di legittimazione che possono anche essere esterne a un procedimento penale, attribuisce la legittimazione al P.M. in ipotesi in cui la notitia decoctionis viene conosciuta non necessariamente nell’ambito di un procedimento penale, ma anche nel corso dello svolgimento delle proprie attività istituzionali, siano esse di direzione dell’investigazione o di ricezione di informazioni (Cass. 8903/2017).

Se l’iniziativa del P.M. dipende non dalla preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati, bensì dalla conoscenza di circostanze apprese nell’ambito dello svolgimento dei compiti istituzionali affidati al magistrato requirente, non può essere posto in dubbio che la notitia decoctionis possa essere ricavata dal magistrato inquirente anche dalla lettura degli atti a lui trasmessi ed iscritti a modello 45 perchè privi di rilevanza penale, dato che una simile attività rientra nei compiti istituzionali attribuitigli e può quindi costituire una fonte di informazione utile a legittimare l’iniziativa volta alla dichiarazione di insolvenza.

6.2.2 Non assume alcuna decisività poi la contestazione della legittimità delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza prima di una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato e comunque al di fuori di un procedimento penale nei confronti i terzi.

La lettura degli atti iscritti a modello 45 aveva infatti – stando all’accertamento della corte distrettuale – offerto al P.M. indizi dell’esistenza di uno stato di insolvenza che già di per sè legittimavano la richiesta di fallimento.

Le indagini in parola, svolte in via prudenziale e aggiuntiva a conferma degli indizi già raccolti (dato che rientrava nei compiti del giudice di merito la verifica della fondatezza degli stessi), non hanno avuto influenza determinante sulla legittimazione del P.M., risultando così priva di decisività ogni contestazione in merito alla loro legittimità.

7.1 I quarto motivo di ricorso censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti oggetto di discussione fra le parti e il carattere apparente della motivazione resa sulle circostanze che avrebbero potuto determinare il rilancio economico della società: la corte distrettuale, nel negare – con motivazione apparente – alcun rilievo al valore del patrimonio immobiliare della reclamante, avrebbe pretermesso l’esame di uno specifico fatto storico, costituito dalla circostanza per cui il valore dei beni assoggettati a pignoramento dalla banca creditrice risultava di gran lunga superiore tanto alla somma precettata dal creditore bancario, quanto al valore dell’ipoteca accesa su una porzione del compendio; nel contempo il collegio del reclamo avrebbe offerto una motivazione meramente apparente in ordine alla capacità dell’impresa di far fronte alla propria esposizione debitoria, omettendo di valutare sia il denunciato carattere abusivo della procedura di pignoramento avviata dal creditore bancario, sia le potenzialità di rilancio economico derivanti dal marchio (OMISSIS), in ragione della sua forza attrattiva nell’ambito del settore turistico calabrese.

6.2 I motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.

6.2.1 La doglianza relativa alla mancata valutazione, in termini adeguati, del valore venale del compendio immobiliare staggito – che in tesi di parte ricorrente sarebbe stato sufficiente, anche tramite la vendita di uno solo dei lotti da cui era composto, a coprire l’intera esposizione debitoria -, oltre a non risultare coerente con il contenuto del provvedimento impugnato (che, a pag. 9, lo ha espressamente preso in esame, escludendone la rilevanza ai fini di negare la condizione di insolvenza), non riveste alcuna decisività.

Il giudice di merito infatti ha constatato che il prezzo base d’asta dell’intero complesso aziendale (mobiliare e immobiliare) all’ultimo esperimento di vendita risultava di importo inferiore al complessivo ammontare dei debiti annoverati da (OMISSIS) s.r.l..

Il precedente valore di stima degli immobili non rivestiva quindi alcuna importanza ai fini della valutazione della sussistenza della condizione di insolvenza, in quanto lo stesso non aveva trovato corrispondenza in alcuna manifestazione di interesse in sede di vendita forzata e si era rivelato così, alla prova dei fatti, inadeguato rispetto alla disponibilità all’acquisto del mercato.

6.2.2 Parimenti non decisiva appare la circostanza relativa al carattere abusivo della procedura esecutiva immobiliare avviata dal creditore bancario.

Infatti, una volta registrati la genericità degli argomenti spesi della società debitrice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da Banca Mediocredito Italiano s.p.a. e l’ammontare della complessiva esposizione debitoria, l’avvio di una procedura esecutiva immobiliare in termini eccedenti alle necessità di tutela del creditore poteva essere addotto nella relativa sede giudiziaria per sollecitare una riduzione del pignoramento, ma non aveva alcuna influenza diretta sulla verifica dell’esistenza di una effettiva situazione di insolvenza della società, che doveva essere apprezzata in sè dal giudice di merito, a prescindere dalle ragioni che l’avevano causata.

In vero ai fini dell’accertamento del ricorrere di uno stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento (che si realizza in presenza di una situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento della relativa attività), resta irrilevante ogni indagine sull’imputabilità o meno all’imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa (Cass., Sez. U., 115/2001).

Un conto quindi è l’insolvenza, da chiunque determinata, quale situazione da accertare nel suo oggettivo ricorrere ai fini della dichiarazione di insolvenza, un conto invece è la responsabilità del creditore nella determinazione di un simile stato, passibile, ove accertata, di danni, ma priva di rilievo ai fini della constatazione dello stato di insolvenza.

6.2.3 Per quanto attiene la mancata valutazione del marchio (OMISSIS) e le potenzialità di rilancio ad esso collegate, il profilo di doglianza si limita a individuare il fatto storico che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente nonchè il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass., Sez. U., n. 8053/2014).

Il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato.

6.2.4 Infine nessuna apparenza della motivazione può essere fondatamente predicata rispetto agli argomenti offerti sull’esistenza di una condizione di insolvenza.

La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132 c.p.c., n. 4, costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione.

La motivazione ha perciò carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., n. 22232/2016).

Nel caso di specie la corte territoriale ha fornito una chiara ed inequivoca spiegazione delle ragioni poste a base della propria decisione, affermando, rispetto alla condizione di insolvenza, che la società non era in grado di soddisfare regolarmente l’entità delle obbligazioni accertate, sia perchè il compendio immobiliare di sua proprietà non era di immediato realizzo per una somma sufficiente a coprire l’intera esposizione debitoria, sia perchè con la vendita del medesimo l’impresa sarebbe rimasta inoperante.

Le critiche rivolte a questi argomenti prescindono dal reale contenuto della sentenza impugnata e dalle ragioni chiaramente illustrate al suo interno e intendono avvalorare una diversa valutazione della congerie istruttoria che, invece, sfugge al sindacato di questa Corte.

La doglianza non può quindi che essere rigettata, dato che nella sentenza impugnata una motivazione esiste ed è ben comprensibile.

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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