Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27539 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 02/12/2020), n.27539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2695/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, (AREA

LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE), presso lo studio

dell’Avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, rappresentata e difesa

dall’avvocato DAVIDE ESPOSITO;

– ricorrente –

contro

M.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA ZAMPIERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 547/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/11/2015 R.G.N. 1129/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato ANNAMARIA URSINO;

udito l’Avvocato NICOLA ZAMPIERI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte territoriale di Venezia, con sentenza pubblicata in data 24.11.2015, ha respinto l’appello interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti di M.M., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dal lavoratore – perito TLC ramo elettronico, dipendente della società dal 1985 -, volto ad ottenere l’inquadramento superiore nella categoria Q2, ora A2, e la condanna della parte datoriale alla corresponsione delle differenze retributive a far data dal 29.9.2002, successiva al compimento della prescrizione del credito del lavoratore.

La Corte di Appello, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha sottolineato che “la società, a fronte della critica alla valutazione della prova da parte del primo giudice” non ha prospettato “specifiche deduzioni in ordine alle ragioni per cui la prova debba essere letta in altri termini rispetto a quelli valorizzati” in primo grado; che, “al contrario, alla luce del successivo rilievo circa gli elementi caratterizzanti l’esercizio di mansioni corrispondenti al superiore inquadramento, le dichiarazioni dei testi sono eloquenti quanto alla sussistenza dell’elemento differenziatore tra l’area operativa e l’area quadri, costituito dal livello di specializzazione e preparazione professionale richiesto (media o parziale per l’area operativa), dalla ampiezza dell’autonomia (operativo/esecutiva in un caso e di iniziativa nell’ambito delle direttive generali, nel secondo), dalla responsabilità per le direttive ricevute ed il conseguimento del risultato, nonchè dalla collaborazione con i responsabili di struttura di superiore livello (queste ultime previste solo per i quadri), “Non potendo invece ritenersi requisito indispensabile per l’appartenenza all’area Quadri l’esercizio di attività di direzione di unità organizzative di media importanza, stante l’alternatività che si desume dal tenore letterale della declaratoria generale di area””.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane S.p.A. articolando sei motivi, cui ha resistito il M. con controricorso.

Entrambe le parti hanno comunicato memorie.

La causa, inizialmente fissata all’adunanza camerale del 16.5.2019, è stata rinviata a nuovo ruolo – e, successivamente, fissata alla pubblica udienza del 13.11.2019 -, avendo il Collegio ritenuto che non sussistessero i presupposti per la trattazione della stessa in Camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione sollevata da Poste Italiane S.p.A. nella Memoria di costituzione di nuovo difensore, circa la tardività del controricorso per mancato rispetto dei termini di notifica, in quanto il ricorso è stato notificato il 18.1.2016 e ricevuto il giorno successivo (19.1.2016), mentre il controricorso è stato notificato il 29.2.2016 (il 28.2.2016 era domenica), quindi entro i quaranta giorni normativamente prescritti (artt. 369,370 c.p.c., in combinato disposto; arg. anche, da ultimo, da Cass., SS.UU. n. 7454/2020).

Ciò premesso, occorre procedere all’esame dei mezzi di impugnazione articolati dalla società ricorrente.

1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè i giudici di merito avrebbero omesso di esaminare anche le mansioni svolte dal lavoratore nel periodo anteriore al 1997, in relazione al quale il patrocinio delle Poste aveva eccepito il decorso della prescrizione decennale.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2103 c.c., in quanto la Corte di merito, nel riconoscere il diritto al superiore inquadramento, avrebbe omesso ogni raffronto tra le mansioni svolte dal M. dal (OMISSIS) – ritenute riconducibili all’area quadri di 2 livello – e le mansioni precedentemente espletate dal lavoratore e, dunque, non avrebbe accertato il presupposto della superiorità delle nuove mansioni rispetto a quelle originarie. Pertanto, secondo la prospettazione della parte ricorrente, i giudici di secondo grado avrebbero omesso il procedimento logico-giuridico c.d. trifasico, ritenuto necessario, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte, per il corretto inquadramento del lavoratore; non avrebbero, cioè, accertato quali attività lavorative svolgesse in concreto il dipendente, non avrebbero proceduto all’individuazione delle qualifiche previste dal CCNL e non avrebbero operato il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali individuate nella seconda; ed infine, non avrebbero considerato che le mansioni svolte dal M., di realizzazione della nuova rete informatica della società, di gestione del network e di partecipazione alla realizzazione del progetto ATM (Automatic Teller Machine, comunemente chiamato Bancomat) “non appaiono in alcun modo riconducibili alla declaratoria dell’Area Quadri di secondo livello”.

3. Con il terzo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, perchè nella sentenza impugnata non si considera che le mansioni ritenute ascrivibili all’area quadri di 2 livello, altro non sarebbero che “la naturale prosecuzione delle mansioni tecniche che il M. già svolgeva in ragione della qualifica di perito inserito nella VI categoria, poi confluite nell’area operativa di cui all’art. 43 CCNL 1994”, risultando, “quindi, del tutto equivalenti a queste ultime”.

4. Con il quarto motivo di assume, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 43 e 44 del CCNL 26.11.1994 per i dipendenti di Poste Italiane S.p.A., dell’Accordo Collettivo Integrativo 23.11.1995 e dell’Allegato 1 al CCNL 11.1.2001, dell’art. 21 del CCNL 2003 e del CCNL 2007, nonchè della L. n. 797 del 1981, art. 3 e del D.M. 5 agosto 1982, n. 4584, all. 1, artt. 1362-1365 c.c., in relazione all’art. 2103 c.c., ed in particolare, si lamenta che i giudici di seconda istanza avrebbero fatto errata applicazione delle norme collettive contenute nel citato Accordo, integrativo del CCNL 26.11.1994, ripreso dal successivo CCNL 11.1.2001, avendo ritenuto che “A parte il grado di autonomia emerso, doveva riconoscersi ex art. 44 CCNL – alla luce anche del Contratto integrativo del 1995 – che si trattava di attività tecnico-professionale specializzata, come tale sufficiente per la qualifica riconosciuta (un “elevato contenuto” era richiesto per l’inquadramento nel primo livello)”, senza considerare che, con il primo CCNL di diritto privato per il personale di Poste Italiane S.p.A., stipulato il 26.11.1994 – e che, a parere della società ricorrente, resta dunque la fonte principale per la disciplina dell’inquadramento del personale di Poste Italiane S.p.A. -, le ex otto categorie professionali del pregresso ordinamento del personale di Poste contemplate nella L. n. 797 del 1981 e nel D.M. n. 4584 del 1982, sono state ricompattate in sole quattro nuove Aree funzionali di inquadramento: Area di base; Area Operativa; Area Quadri di secondo livello (Q2); Area Quadri di primo livello (Q1). Pertanto, secondo la prospettazione della parte ricorrente, l’Accordo Integrativo avrebbe “compattato”, ai fini della confluenza nell’Area Operativa, le mansioni rientranti nelle categorie VI, V e IV; della qual cosa, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto.

5. Con il quinto motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione degli artt. 115,116 c.p.c. e art. 2697 c.c. e si assume che i giudici di seconda istanza non abbiano correttamente interpretato le risultanze istruttorie, non potendosi, secondo la società ricorrente, evincere dalle stesse che l’attività del M. sia stata connotata da significativi e rilevanti ambiti di discrezionalità ed autonomia decisionale; assunzione di responsabilità particolari, diverse da quelle proprie della qualifica di appartenenza del lavoratore; conoscenza di tecniche particolari per le quali è necessaria una notevole preparazione professionale.

6. Con il sesto motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia, concernente il diritto alla conservazione del posto da parte dei dipendenti postali, avendo i giudici di appello “totalmente omesso di pronunciarsi in merito alla problematica relativa all’ipotizzata violazione dell’art. 2103 c.c., in danno dei dipendenti aziendali aventi diritto alla conservazione dei posti di Q2 all’epoca disponibili”.

1.1. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità una “omessa pronunzia” – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi, queste, che non ricorrono nella fattispecie, poichè la Corte di merito, come di seguito meglio precisato, è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio attraverso la valutazione complessiva delle mansioni svolte dal M. sin dal momento della sua assunzione (1.10.1985) presso la datrice di lavoro (v., in particolare, pagg. 4-9 della sentenza impugnata, nelle quali viene fatto espressamente riferimento alle stesse).

2.2; 3.3; 4.4. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo (il terzo, peraltro, affetto anche da profili di inammissibilità, perchè contiene la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonchè di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre all’invocazione di non meglio precisati errores in procedendo, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione: cfr. al riguardo, tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008, 9470/2008) – da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione – non sono fondati. Ed invero, i giudici di seconda istanza sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità, uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone di tre fasi (c.d. procedimento trifasico: cfr., ex plurimis, Cass. nn. 32326/2018; 20114/2017; 17163/2016; 8589/2015): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi. E, sulla scorta degli elementi probatori emersi in prima istanza – in base ai quali il giudice di primo grado ha riconosciuto lo svolgimento, di fatto, da parte del M., di mansioni riconducibili all’Area quadri di II livello, dal 1997, ed ha, per l’effetto, dichiarato il diritto dello stesso, da tale epoca, all’inquadramento nella suddetta Area, con conseguente condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturate dal 29.9.2002 (essendo intervenuta la prescrizione quinquennale relativamente a quelle maturate prima di tale data), oltre accessori come per legge -, la Corte di Appello, facendo proprio il ragionamento del primo giudice, ha motivatamente respinto il gravame interposto dalla società (la quale ultima ha, peraltro, ammesso che, fino al 1996, il dipendente è stato applicato presso la Sala Trasmissioni della Centrale Telex di (OMISSIS) e, a partire dal 1997, previo superamento di apposita procedura concorsuale, ha partecipato al processo di informatizzazione delle Poste ed ai progetti di tracciatura delle raccomandate ed al Service Support per apparati ATM: v. pag. 7 della sentenza impugnata).

E’, altresì, da rilevare che il primo giudice, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, aveva confrontato, altresì, le declaratorie contrattuali, analizzate, comunque, anche nella sentenza di appello, relative all’Area Operativa (art. 43 del CCNL 26.11.1994) ed all’Area Quadri di II livello (art. 44 dello stesso CCNL), nella sua articolazione nei due settori operativo-gestionale ed operativo-tecnico prevista nell’Accordo Integrativo del 1995 (applicabile al caso di specie ratione temporis, poichè il ricorrente ha richiesto il superiore inquadramento a partire da quell’epoca: cfr., tra le molte, Cass. n. 420/2012), individuandone il discrimen, consistente nella sussistenza del requisito di specializzazione dell’attività tecnica di manutenzione rispetto all’attività di mera manutenzione propria dell’area operativa, nonchè di preparazione professionale richiesto (solo media o parziale per l’area operativa), di ampiezza dell’autonomia, di responsabilità per le direttive ricevute ed il conseguimento del risultato, di collaborazione con i responsabili di struttura di superiore livello (queste ultime previste, appunto, solo per i quadri). Inoltre, “Ai sensi dell’art. 44 CCNL, interpretato alla luce del Contratto integrativo del 1995, il discrimine tra l’area operativa e l’area quadri per il settore tecnico”, cui il lavoratore apparteneva, “era costituito dall’affidamento di attività tecnica specializzata” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 8177/2013; 6970/2013), che i giudici di merito hanno reputato che fosse certamente riscontrabile nei compiti affidati al M. per gli incarichi allo stesso assegnati presso il Polo Tecnologico, che comportavano elevata capacità e preparazione professionale superiore a quella media o parziale competenza professionale propria dell’area operativa (v. pagg. 15-17 della sentenza impugnata).

Ed è noto che l’accertamento della natura delle mansioni svolte, in concreto, dal lavoratore attiene ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, ove sia sorretto, come nel caso di specie, da motivazione corretta dal punto di vista logico-giuridico (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 12564/2014; 27197/2011; 28284/2009).

Infine, è da sottolineare che, rettamente, i giudici di merito hanno considerato del tutto irrilevanti, con riferimento alla fattispecie, le declaratorie contenute nel D.M. 5 agosto 1982, dovendosi, all’evidenza, valutare la correttezza dell’inquadramento del lavoratore di cui si tratta in base alle disposizioni vigenti all’epoca in cui sono state svolte le mansioni in relazione alle quali il medesimo ha richiesto l’inquadramento nel livello superiore.

5.5. il quinto motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto è ius receptum che la valutazione delle risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. nn. 21486/2011; 17915/2010); nella specie, si rileva che non sono state riportate le dichiarazioni rese dai testi escussi, che si assumono erroneamente interpretate dalla Corte di merito; e ciò, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con la conseguenza che questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); a fronte di ciò, va, altresì, ancora ribadito che i giudici di seconda istanza hanno compiutamente ed analiticamente esaminato tutte le risultanze istruttorie (v. pagg. 8-10 della sentenza impugnata) poste a fondamento della decisione oggetto del presente giudizio.

6.6. Il sesto motivo non può essere accolto, perchè attiene ad una censura riguardo alla quale la parte ricorrente non specifica se sia stata proposta nei gradi di merito e, dunque, appare nuova nel presente giudizio. Pertanto è altresì superfluo soffermarsi sul fatto che il medesimo sarebbe stato comunque inammissibile per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, applicabile, ratione temporis, al caso di specie poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 24.11.2015.

Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

7. Le spese – liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del procuratore del M., avv. Nicola Zampieri, dichiaratosi antistatario – seguono la soccombenza.

8. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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