Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27534 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. II, 02/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24155/2019 proposto da:

C.D.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEL CASALE STROZZI, 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA

BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

12/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

C.D.C. – cittadino della (OMISSIS) – ebbe a proporre avanti il Tribunale di Venezia ricorso avverso la decisione della Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona sez. Treviso che aveva rigettato la sua istanza di ottenimento della protezione.

Il richiedente asilo ebbe a rappresentare d’aver abbandonato il suo Paese poichè, a seguito di relazione con giovane cristiana, s’era convertito dalla fede mussulmana a quella cristiana e, in conseguenza, i suoi famigliari avevano iniziato a perseguitarlo con violenze somatiche e minacce.

Il Tribunale lagunare ebbe a rigettare la domanda del richiedente in relazione a tutti gli istituti previsti dalla normativa in tema di protezione internazionale, ritenendo non credibile la versione fornita dal richiedente asilo; non sussistente in Costa d’Avorio, nella zona in cui il D. abitava, una situazione socio-politica connota da violenza diffusa e non sussistente situazione di vulnerabilità ovvero elementi d’integrazione atti a sostenere l’accoglimento dell’istanza di concessione della protezione umanitaria.

Il D. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale serenissimo articolato su cinque motivi.

Il Ministero degli Interni resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da C.D.C. s’appalesa siccome inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce vizio di nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, ex art. 360 c.p.c., n. 4, con relazione alla ritenuta non credibilità del suo racconto circa le ragioni dell’espatrio.

Con la seconda ragione di doglianza il D. lamenta violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, poichè il Collegio marciano ha violato i canoni di legge a disciplina della valutazione delle sue dichiarazioni ed omesso d’azionare l’istituto della collaborazione istruttoria per ricercare conferma alle stesse.

Con la terza doglianza il ricorrente rileva omesso esame di fatto decisivo e travisamento della prova sempre in relazione alla questione della credibilità della versione da lui fornita a supporto delle ragioni fondanti il suo espatrio.

Il ricorrente tratta unitariamente le questioni sollevate con i vizi dianzi illustrati ed, anzitutto, osserva come il Tribunale marciano non abbia seriamente esaminato gli indici di sua credibilità intrinseca, anche alla luce della documentazione dimessa, con passaggi di motivazione meramente apparente.

In dettaglio, poi, il ricorrente lamenta come i Giudici di prime cure non abbiano esaminato la documentazione da lui dimessa, sin dall’audizione avanti la Commissione, a conforto delle sue affermazioni circa la conversione alla religione cristiana ed apprezzato la documentata esistenza in Costa d’Avorio di gruppi di islamici radicali dediti alla violenza contro i mussulmani convertiti al cristianesimo.

Quindi il D. rileva come il Collegio marciano ebbe a malamente ritenere il suo narrato viziato per genericità ed illogicità, poichè invece egli aveva ben dettagliato le modalità dell’aggressioni subite e gli autori delle stesse ed, inoltre, non v’era alcuna illogicità nel suo racconto circa le modalità con le quali riuscì a liberarsi e fuggire dai parenti aggressori.

Ancora, il ricorrente lamenta omesso esame di fatto rilevante e violazione di legge in relazione all’argomentazione del Collegio lagunare afferente la persecuzione religiosa poichè ignorata la struttura sociale ivorana, nel cui ambito è ben presente la persecuzione proveniente dall’ambito familiare e la corruzione che regna nella pubblica amministrazione, siccome desumibile da rapporti redatti da Organismi interazionali, sicchè del tutto aleatorio era l’efficace intervento dell’Autorità.

Infine il D. sottolinea l’omessa valutazione di dati fattuali da lui addotti a sostegno del suo racconto, quali le ferite palesate sul corpo ed il libretto di battesimo.

La censura fondata sul vizio di nullità correlato a motivazione apparente proposta per prima s’appalesa inammissibile, posto che appare sostanziata dalla mera critica meritale degli argomenti logico-fattuali esposti dal Tribunale a sostegno delle statuizioni adottate nel decreto impugnato.

Difatti l’argomento di censura svolto dal ricorrente in concreto si compendia nella elaborazione di una valutazione alternativa del suo racconto per contrastare la valutazione di genericità ed illogicità focalizzate dal Collegio lagunare circa le modalità delle riferite aggressioni e le modalità con le quali il ricorrente riuscì a sottrarsi alle violenze dei famigliari.

La nullità per difetto di motivazione risulta individuata nella circostanza che il ricorrente non ritiene adeguata la conclusione tratta dal Collegio veneziano, una volta valutate le sue complessive dichiarazioni, sulla mera scorta della propria versione alternativa, per giunta elaborata sulla base di rapsodici richiami alle sue dichiarazioni senza una effettiva riproduzione delle stesse nel ricorso.

La stessa natura e contenuto delle contestazioni mosse in ricorso palesano come la motivazione esiste e sia puntuale ed articolata.

Anche la seconda censura articolata, afferente la violazione delle norme in materia di valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo ed istituto della collaborazione istruttoria, s’appalesa siccome inammissibile poichè l’argomento critico svolto non coerente con il vizio denunziato.

Difatti si imputa al Tribunale veneto di aver malamente applicato la disciplina relativa all’esame della credibilità del richiedente asilo e della connessa collaborazione istruttoria.

Anzitutto deve osservare la Corte come la norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, pone deroga al principio dell’onere della prova, a carico di chi afferma il fatto costitutivo del diritto preteso, in presenza di determinate situazioni indicate in detto articolo di legge, e la credibilità della versione riferita dal richiedente asilo è una di queste.

Detta credibilità è questione rimessa principalmente alla valutazione del Giudice che ha l’onere di motivare il suo prudente apprezzamento dell’elemento istruttorio e solo in presenza di un racconto credibile sorge l’obbligo del Giudice di procedere, ove ritenuto necessario, mediante l’istituto dell’integrazione istruttoria ex officio – Cass. sez. n. 4892/19, Cass. sez. 1 n. 10286/20 -, siccome per altro puntualmente precisato dal Collegio marciano nel decreto impugnato.

In effetti l’argomentazione critica sviluppata dal D. in ricorso si compendia nella proposizione di opzione valutativa del suo narrato alternativa, rispetto a quella elaborata dai Giudici veneti, sulla scorta dell’enfatizzazione e della documentata esistenza di persecuzioni di tipo religioso nei confronti dei mussulmani che si convertono ad altro credo e della esistenza di corruzione ed inefficienza degli apparati amministrativi statuali.

Ma il Collegio veneto non s’è soffermato su dette questioni poichè ritenuto non credibile il racconto del richiedente asilo in punto persecuzione familiare in dipendenza della sua conversione, sicchè irrilevanti risultano le questioni ora enfatizzate dal ricorrente, circa le quali il Collegio veneto non ne ha negata l’esistenza.

Il Tribunale al riguardo s’è limitato a rilevare come il D. nemmeno ebbe ad asserire di essersi rivolto alla Polizia per denunziare l’attività criminale dei parenti nei suoi riguardi ed il fatto che vi possa esser corruzione ed inefficienza nell’apparato di sicurezza ivoriano non supera la positiva circostanza che il D. nemmeno denunziò i fatti all’Autorità per ottenere protezione.

E tale osservazione fattuale del Collegio lagunare non risulta oggetto di puntuale contestazione, bensì il ricorrente si limita a postulare l’inutilità di detta condotta. Con riguardo, poi, alla situazione socio-politica della Costa d’Avorio, relativa anche al rispetto dei diritti fondamentali ed all’efficienza degli apparati statuali, il ricorrente si limita ad enfatizzare passaggio di rapporto redatto dalla Commissione Nazionale Asilo del 2017, ma non si confronta con la puntuale motivazione esposta dal Collegio marciano sulla scorta di rapporti redatti da funzionari Onu, che effettivamente operarono in loco, nel 2018.

Motivazione che pone in risalto come detto Esperto Onu – siccome riporta Amnesty International – ha elogiato il Governo ivoriano per l’impegno profuso nella pacificazione del Paese e la sua stabilizzazione.

Dunque la contraria opinione del richiedente si palesa siccome tesi meramente alternativa alla ricostruzione operata dal Tribunale, centrata sull’individuazione di un contesto sociale di violenza diffusa nell’accezione focalizzata dalla Corte Europea, e non già solo di una situazione connotata dalla presenza di difficoltà ancora collegate al periodo di torbidi socio-politici del 2010/2011 in fase di superamento; difficoltà che eventualmente possono assumere rilievo se la violenza collegata viene allegata specificatamente siccome incidente sulla situazione personale del richiedente asilo e, non già, in generale quale rischio Paese.

Quanto poi alla terza censura fondata sul vizio disciplinato ex art. 360 c.p.c., n. 5, deve rilevarsi come, in effetti, il D. non indica quale fatto storico, afferente all’oggetto del processo, non sia stato esaminato dal Collegio marciano, poichè i cenni a detto vizio appaiono sempre correlati alla valutazione delle prove versate in atti.

Questione questa che in forza del tenore letterale della norma citata non può mai configurare il vizio dedotto – Cass. sez. 3 n. 11892/16.

Inoltre con riguardo al dedotto mancato apprezzamento del libretto di battesimo e delle ferite al braccio – elementi addotti a sostegno del proprio racconto – non solo il Collegio lagunare opera riferimento al loro riguardo nel corpo della motivazione, ma risultano elementi non rilevanti una volta ritenuto motivatamente non credibile il narrato del ricorrente.

Difatti la conversione del D. assume rilievo solo se per tale motivo perseguitato, come da lui narrato, dai famigliari, mentre le ferite al braccio assumono rilievo in quanto inferte nel corso della seconda aggressione riferita. Ma se dette aggressioni non si ritengono esser avvenute, allora il rilievo processuale di detti elementi rimane escluso.

Con il quarto mezzo d’impugnazione il D. rileva l’erronea applicazione della norma D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.

Con la quinta ragione di doglianza il ricorrente deduce omesso esame di fatto rilevante ai fini del riconoscimento della citata protezione umanitaria, ossia il suo lungo soggiorno in Libia e le traversie ivi sofferte.

Con relazione al dedotto vizio di omesso esame il ricorrente si limita a ritrascrivere passo del suo ricorso originario, ma nulla deduce circa l’esistenza di apposita convenzione internazionale che imponga il suo rimpatrio in Libia invece che nel suo Pese d’origine – Cass. sez. 1 n. 31676/18 -, momento fondamentale per rendere rilevante l’esame di quanto accaduto al richiedente asilo nel periodo di permanenza in Paese di transito.

Inoltre dal passo trascritto del ricorso al Tribunale, non appare che, come oggi lumeggiato in ricorso per cassazione, il D. si fosse recato in Libia per ivi trasferirsi, posto che ebbe a metter in evidenza come, durante la sua permanenza in detto Paese – come tutti i migranti subsahariani, sottolineò -, rimase segregato ad opera di uomini armati, sicchè nemmeno concorre ipotesi che il D. elesse la Libia a suo nuovo Pese di residenza.

Dunque, se anche il Collegio marciano non opera cenno al soggiorno nel Paese di transito, detto fatto non appare rilevante eppertanto non può nemmeno in astratto configurarsi il vizio denunziato.

Quanto poi alla prospettazione del vizio per violazione di legge, di cui alla quarta censura, lo stesso si correla sempre all’omessa valutazione degli accadimenti avvenuti durante il periodo di permanenza in Libia ai fini della credibilità, ma come dianzi visto gli accadimenti di detto periodo non incidono minimamente sulla ragione addotta quale ragione di allontanamento dalla Costa d’Avorio. All’inammissibilità del ricorso non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione resistente poichè il controricorso depositato non palesa il contenuto proprio di detto atto processuale.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

 

 

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