Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27532 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 27532 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

ORDINANZA
sul ricorso 22448-2014 proposto da:
GRECO MARINA ROCCHINA, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA SAN BERNARDO 101, presso lo studio
dell’avvocato AMELIA CUOMO, rappresentata e difesa
dall’avvocato FERNANDO RUSSO giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
AMBRA ASSICURAZIONI SPA IN LCA in nome della CONSAP,
Gestione Autonoma del Fondo di Garanzia Vittime della Strada,
in persona del Commissario Liq. rag. FRANCESCO CORRADO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 140,
presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO
DIEGO ANGELO DEL BORRELLO giusta procura in calce al
controricorso;

Data pubblicazione: 21/11/2017

- controricorrente nonchè contro
INA ASSITALIA ASSICURAZIONI SPA, GIOSA MICHELE, PACE
GIUSEPPE, LA PENINSULARE ASSICURAZIONI SPA IN LCA;
intimati

avverso la sentenza n. 351/2013 della CORTE D’APPELLO di
POTENZA, depositata il 4/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 3/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Potenza (dinanzi al quale la causa era stata
riassunta a seguito di precedente sentenza della Corte
territoriale, la quale aveva riconosciuto che, nel giudizio di
primo grado, in sede di riassunzione della causa interrotta per
la messa in I.c.a. di Ambra Assicurazioni S.p.a., l’attrice aveva
omesso di citare anche la Peninsulare in I.c.a.), con sentenza
depositata in data 18 ottobre 2007, pronunciando sulla
domanda proposta da Marina Rocchina Greco di risarcimento
dei danni dalla medesima riportati in un sinistro stradale
avvenuto nel 1983 (allorché la medesima si trovava quale
trasportata sull’auto FIAT 500 di proprietà di Rocco Carbone e
da questi condotta, auto che era stata investita dalla Fiat 127
di proprietà di Giuseppe Pace e condotta da Michele Giosa),
dichiarò l’esclusiva responsabilità del sinistro in parola del
Giosa, dichiarò i convenuti obbligati in solido tra loro al
risarcimento dei danni subiti dall’attrice e li condannò in solido
al pagamento, in favore della Greco, della somma complessiva
equitativamente determinata all’attualità in euro 300.000,00,
nonché al pagamento delle spese di lite, in esse comprese
quelle relative alle espletate c.t.u..

La Corte di appello di Potenza, con sentenza depositata in
data 4 dicembre 2013, in parziale riforma della sentenza
emessa dal Tribunale di Potenza nel 2007, pronunciando
sull’appello principale proposto da Ambra Assicurazioni S.p.a.
in I.c.a., in nome della CONSAP, Gestione Autonoma del

S.p.a., avente causa da Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia
S.p.a., quale impresa territorialmente designata per la
liquidazione dei sinistri a carico del F.G.V.S., nei confronti della
Greco, de La Peninsulare S.p.a. in I.c.a., di Michele Giosa e
Giuseppe Pace, accolse gli appelli proposti «limitatamente ai
profili di inammissibilità di una sentenza di condanna diretta
verso l’Ambra Assicurazioni e del ridimensionamento del
quantum risarcitorio e, per l’effetto», rigettò la domanda
proposta dalla Greco nei confronti di Ambra Assicurazioni
S.p.a., condannò INA Assitalia S.p.a., quale impresa
territorialmente designata per la liquidazione del sinistri a
carico del F.G.V.S. a pagare alla Greco, a titolo di risarcimento,
euro 25.822,84, oltre rivalutazione monetaria fino alla data
della decisione di secondo grado in parola, confermò nel resto
la sentenza del Tribunale del 2007, in particolare sotto il profilo
della solidarietà passiva tra i debitori condannati nel rispetto
del limite di concorrenza del debito, compensò interamente le
spese processuali tra la Greco e Ambra Assicurazioni, condannò
INA Assitalia S.p.a., Giuseppe Pace, Michele Giosa e La
Peninsulare S.p.a. in I.c.a., solidalmente, al pagamento, in
favore della Greco, delle spese processuali del primo grado del
giudizio e condannò INA Assitalia S.p.a., Giuseppe Pace e
Michele Giosa, solidalmente, a pagare, in favore della Greco, le
spese del secondo grado del giudizio.

F.G.V.S., e sull’appello incidentale proposto da INA Assitalia

Avverso la sentenza della Corte di appello appena
richiamata Marina Rocchina Greco ha proposto ricorso per
cassazione, basato su tre motivi.
Ambra Assicurazioni S.p.a. in I.c.a., in nome di CONSAP,
Gestione Autonoma del F.G.V.S., ha resistito con controricorso.

sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con
motivazione semplificata.
2. Il primo motivo è così rubricato: «Violazione e falsa
applicazione dell’art. 1224 c.c., nonché dei principi generali in
tema di risarcimento del danno – art. 360 c.p.c. n. 3 contraddittorietà della motivazione».
Con tale mezzo la ricorrente censura la sentenza
impugnata nella parte in cui, pur ritenendo sussistente la mala
gestio

c.d. impropria, con conseguente diritto della

danneggiata ad ottenere gli interessi e la rivalutazione
monetaria oltre il limite del massimale, la Corte di merito ha
condannato l’INA Assitalia S.p.a., nella dedotta qualità, al
pagamento, in suo favore, a titolo di risarcimento, del solo
importo costituito dal massimale (euro 25.822,84), maggiorato
dalla rivalutazione monetaria fino alla data della pronuncia,
senza riconoscere gli interessi compensativi maturati e
maturandi su detto importo, motivando il diniego di tali
interessi sul rilievo della mancata proposizione, da parte della
danneggiata, dell’appello incidentale sulla statuizione del
Tribunale in ordine al mancato riconoscimento degli interessi
compensativi.
Ad avviso della ricorrente, la riconosciuta sussistenza della
mala gestio c.d. impropria a favore del danneggiato avrebbe

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa

dovuto comportare il riconoscimento d’ufficio, da parte del
giudice del gravame, anche degli interessi sul capitale
rivalutato, pur in assenza di esplicita domanda da parte della
danneggiata, la quale, nella specie, tale domanda aveva però
formulato.

avrebbe tenuto conto che la parte vittoriosa in primo grado non
è tenuta a riproporre con appello incidentale – difettando il
presupposto della soccombenza – le domande e le eccezioni già
proposte e respinte o dichiarate assorbite dalla decisione di
primo grado, essendo sufficiente, ai sensi dell’art. 346 cod.
proc. civ., la mera riproposizione di tali domande ed eccezioni
in una delle difese del giudizio di secondo grado e rappresenta
di aver, a seguito della proposizione ex adverso dell’appello
principale e di quello incidentale, espressamente dedotto, nella
comparsa di costituzione depositata in sede di inibitoria e nella
comparsa di risposta depositata nel giudizio di merito, che
l’eventuale massimale avrebbe dovuto «essere assoggettato
agli interessi e alla rivalutazione monetaria», così manifestando
la sua inequivoca volontà di riproporre al giudice del gravame
la questione relativa al riconoscimento degli interessi sulla
somma rivalutata.
2.1 D motivo è infondato, in base agli assorbenti rilievi che
seguono.
Nella specie va evidenziato che il Tribunale, con la sentenza
del 2007, aveva espressamente affermato in motivazione che
le convenute dovevano essere condannate «alla somma
risarcitoria» «nella misura equitativamente determinata, di
euro trecemtomila/00, all’attualità», «a nulla rilevando … che,
ad oggi tale somma va[…] a superare il massimale di polizza
all’epoca del sinistro, atteso che detto massimale non è mai

Sostiene, altresì, la Greco che la Corte territoriale non

stato messo a disposizione della danneggiata», senza
riconoscere, in relazione alla somma così liquidata, gli
interessi. Risulta evidente che, in relazione a tale statuizione,
la Greco era, in effetti, parzialmente soccombente, con
riferimento, in particolare agli interessi, ed avrebbe dovuto non

comparsa di risposta in secondo grado la domanda ad essi
relativa, ma avrebbe dovuto proporre specifico appello
incidentale sul punto. Ed invero il principio secondo cui gli
interessi (e la rivalutazione monetaria) costituiscono una
componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e
possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio, deve
coordinarsi con il sistema delle preclusioni e della specificità dei
motivi di gravame, per cui il potere di iniziativa del giudice di
appello con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio trova un
limite nel caso in cui una di dette questioni sia stata decisa nel
precedente di giudizio e il relativo punto non abbia formato
oggetto di impugnazione (nella specie incidentale).
3. Con il secondo motivo, rubricato «Violazione dell’art. 91
c.p.c. – violazione del D.M. Giustizia 20/7/12 n. 140 – Tariffa
professionale spese giudiziali in materia civile – art. 360 n. 3
c.p.c. », la ricorrente sostiene che in tema di liquidazione degli
onorari agli avvocati, il giudice d’appello non può limitarsi ad
una apodittica fissazione del compenso, ma deve determinare,
anche in assenza di una nota specifica prodotta dalla parte
vittoriosa, l’ammontare del compenso dovuto al professionista,
specificando il sistema di liquidazione adottato e la tariffa
professionale applicabile alla controversia, distinguendo
ciascuno dei gradi di giudizio di merito, onde consentire
l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto
risulta dagli atti e dalle tariffe, anche in relazione

limitarsi a ribadire – come ha effettivamente fatto – in

all’inderogabilità dei minimi tariffari, e lamenta che la Corte di
merito abbia determinato le spese processuali del primo e del
secondo grado liquidandole globalmente nel rispettivo
ammontare di euro 2.000,00 e euro 2.400,00, senza motivare
in ordine alla disposta riduzione o rideterminazione delle spese

all’entità degli esborsi (non indicati e / secondo la ricorrente,
verosimilmente non riconosciuti), sia con riguardo alle
competenze, senza così consentire la verifica del rispetto dei
limiti tariffari e senza l’analitica specificazione delle fasi
dell’attività giudiziale di cui all’art. 4 del richiamato D.M.;
lamenta inoltre la mancata indicazione delle spese vive,
indicate, con riferimento al primo grado, nella nota spese
depositata agli atti. Si duole altresì la ricorrente che nella
sentenza impugnata neppure sono indicate le spese di c.t.u..
3.1. Il motivo è fondato nei sensi appresso precisati.
Ed invero si osserva che il giudice (anche d’appello) non
può limitarsi ad una apodittica fissazione del compenso, ma
deve determinare, anche in assenza di una nota specifica
prodotta dalla parte vittoriosa, l’ammontare del compenso
dovuto al professionista, specificando il sistema di liquidazione
adottato e la tariffa professionale applicabile alla controversia.
Inoltre va precisato che, come affermato dalle Sezioni Unite di
questa Corte, in tema di spese processuali, agli effetti dell’art.
41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, il quale ha dato attuazione
all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1,
convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri,
cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in
luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare
ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un
momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto

processuali, liquidandole in modo globale sia con riferimento

decreto e si riferisca al compenso spettante ad un
professionista che, a quella data, non abbia ancora completato
la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione
abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano
in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione

unitario per l’opera complessivamente prestata (Cass., sez.
un., 12/10/2012, nn. 17405 e 17406). Questa Corte ha pure
precisato che il principio affermato dalle Sezioni Unite e appena
richiamato «non può estendersi all’attività professionale
relativa ad un grado del giudizio che si è concluso con sentenza
e in relazione al quale, il Giudice dell’appello, tenuto conto
dell’esito complessivo del giudizio, rideterminerà il regolamento
delle spese, anche per il primo grado del giudizio, perché
l’attività professionale deve ritenersi conclusa, con la sentenza
che chiude il giudizio, sia pure relativamente ad una fase dello
stesso. D’altra parte, questo principio sembra sia affermato, sia
pure indirettamente e/o implicitamente, anche dalle SS.UU. di
questa Corte [nelle già richiamate sentenze] laddove
affermano che i nuovi parametri professionali vanno applicati
ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un
momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto
decreto e si riferisca al compenso spettante ad un
professionista che, a quella data, non abbia ancora completato
la propria prestazione professionale, e, a giudizio di questa
Corte, è nell’ordine delle cose, ritenere che l’attività
professionale debba ritenersi conclusa ed espletata tutte le
volte in cui sia intervenuta una sentenza che chiude una fase
del giudizio anche con la liquidazione delle spese. Il Giudice del
secondo grado nel rideterminare il regolamento delle spese
anche del giudizio di primo grado, in verità, non riat[t]ualizza

omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo

un giudizio concluso, ma si trasporta al momento della
sentenza di primo grado, specificando ciò che quel Giudice
avrebbe dovuto fare se avesse correttamente deciso» (Cass.
11/02/2016, n. 2748).
Nel caso in esame, la Corte di Appello non risulta si sia

limitata a liquidare le spese in favore della ricorrente nella
somma complessiva di euro 2.000,00, per il primo grado, e
nella somma complessiva di euro 2.400,00, per il secondo
grado, senza ulteriori specificazioni, neppure in relazione alle
spese vive e alle spese di c.t.u..
A quanto precede va aggiunto che, sempre in tema di
liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di
una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può
limitarsi (nei casi in cui vanno applicate le previgenti tabelle
che distinguevano tra i diritti e gli onorari) ad una globale
determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di
avvocato in misura inferiore a quelli esposti ma ha l’onere di
dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione
di voci da lui operata (Cass., ord., 30/03/2011, n. 7293) e che,
infine, con riferimento al DM 140/2012, questa Corte ha anche
precisato che il giudice è tenuto ad indicare le concrete
circostanze che giustificano l’eventuale deroga ai minimi e
massimi stabiliti dal DM 140/2012 (v. Cass. 16/09/2015, n.
18167; Cass. 11 gennaio 2016, n. 253; Cass. 3 agosto 2016,
n. 16225).
4. Con il terzo motivo, rubricato «Violazione degli artt. 112
– 91 e 346 c.p.c. nella determinazione delle spese processuali
poste a carico di Pace Giuseppe e Giosa Michele — art. 360
c.p.c. n. 3 — contraddittorietà della motivazione», la ricorrente
censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte

attenuta a tali principi, essendosi la stessa effettivamente

territoriale ha rideterminato, anche nei confronti del Pace e del
Giosa le spese processuali relative al giudizio di primo grado, in
palese contrasto con quanto statuito in motivazione, in cui ha
espressamente confermato la sentenza di primo grado nei
confronti dei predetti.

Corte di merito non risulta essersi attenuta al consolidato
principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui il potere
del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo
regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della
pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in
tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il
corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in
ragione dell’esito complessivo della lite, mentre in caso di
conferma della sentenza impugnata – e nei confronti del Giosa
e del Pace la Corte territoriale ha confermato la sentenza di
primo grado -, la decisione sulle spese può essere dal giudice
del gravame modificata soltanto se il relativo capo della
sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo
d’impugnazione (Cass., ord., 14/10/2013, n. 23226).
5. Alla luce di quanto precede, va rigettato il primo motivo
e vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso; la
sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e
la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di
legittimità, alla Corte di appello di Potenza, in diversa
composizione, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra
richiamati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo e il
terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese

4.1. Il motivo è fondato in base all’assorbente rilievo che la

del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di
Potenza, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3

febbraio 2017.

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