Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27530 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n.r.g. 9005/06) proposto da:

C.M.M.R. (c.f. (OMISSIS))

rappresentata e difesa dall’avv. MAGHERNINO Antonio ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv. Isabella Rinaldi in Roma, Via

Dei Buonvisi n. 61/g, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.P.C. (c.f. (OMISSIS)) rappresentata

e difesa dall’avv. FANI Dante ed elettivamente domiciliata presso lo

studio del medesimo in Pescara, via Emilia n. 7, giusta procura in

calce al controricorso (ex lege – art. 366 c.p.c., comma 2 e art. 370

c.p.c., comma 2, presso la Cancelleria della Suprema Corte di

Cassazione)

– contro ricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1096/05, dep.ta

il 23/11/05;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

30/11/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Andrea Di Dedda, per la parte ricorrente, che ha

insistito per l’accoglimento del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario G., che ha concluso per il rigetto del

primo motivo e l’inammissibilità del secondo, con condanna alle

spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.P.C. impugnò, con citazione notificata a C.M.M.R. innanzi al Tribunale di Foggia, il preteso testamento olografo fatto pubblicare dalla convenuta, con la quale la defunta M.C. – di cui era figlia adottiva e la C. nipote – aveva beneficiato la stessa convenuta di beni mobili ed immobili; assumeva l’attrice che il lascito non avrebbe concretato una disposizione di ultima volontà bensì una donazione, da ritenersi affetta da nullità per difetto di forma; qualora poi si fosse ritenuto che si fosse in presenza di un testamento olografo, lo stesso sarebbe stato nullo perchè contenente una disposizione concretante un patto successorio vietato, atteso che la defunta, “donando” i beni in questione, aveva anche statuito che la donataria ne avrebbe acquisito il possesso dopo la sua morte, imponendole al contempo l’obbligo di assistenza finchè fosse vissuta. In via di ulteriore subordine esercitò l’azione di riduzione a difesa della propria quota di riserva.

La C. nel costituirsi osservò: che la disposizione testamentaria aveva costituito un legato in suo favore; che non era ravvisabile alcun patto successorio; che non vi sarebbe stata prova della lamentata lesione di legittima.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza del marzo 2002, respinse la domanda principale come pure quella subordinata ritenendo che l’atto impugnato avesse natura di lascito testamentario; l’azione di riduzione avrebbe poi difettato di uno dei suoi presupposti, atteso che l’attrice, pur avendo accettato con beneficio di inventario l’eredità della de cujus, tuttavia non aveva formato l’inventario nel termine di tre mesi indicato nell’art. 487 cod. civ., dacchè la proroga concessa all’uopo dal Pretore di San Severo doveva considerarsi illegittima.

La Corte di Appello di Bari, pronunziando sentenza n. 1096/2005, riformò totalmente la sentenza impugnata dalla T. P., diversamente valutando gli elementi testuali del lascito (sottolineando la gerarchia esistente tra i canoni interpretativi di cui agli artt. 1362-1370 cod. civ. e la prevalenza di quelli relativi alla letteralità del testo) e concludendo per la natura di donazione modale, nulla per difetto di forma; evidenziò altresì, qualora si fosse potuto concludere per la natura di legato del lascito, che comunque la disposizione sarebbe stata nulla in quanto concretante un patto successorio, atteso che il legato avrebbe costituito il corrispettivo dell’obbligo di assistenza; quanto infine all’azione di riduzione – per pari esaminata ad abundantiam – sottolineò che il mancato completamento dell’inventario nel termine trimestrale costituiva una fattispecie di decadenza che, à sensi dell’art. 564 cod. civ., comma 1, non avrebbe impedito all’erede l’esercizio dell’azione di riduzione.

La C. ha proposto ricorso per la cassazione di tale pronunzia, sulla base di due motivi; la T.P. ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369 cod. civ., assumendo la correttezza della decisione del Tribunale di Foggia che, con la decisione poi riformata in appello e di cui riportava il contenuto, aveva statuito che nell’interpretazione dell’atto doveva privilegiarsi quella soluzione ermeneutica che conferisse efficacia e validità al negozio piuttosto che quella che conducesse alla sua radicale nullità e che, per converso, doveva procedersi all’esame complessivo della “scheda testamentaria”, come pure del livello culturale della de cujus in merito al valore da attribuire al ripetuto richiamo, nella scheda, ai termini “dono” e “donare”.

2 – Con il secondo motivo la C. denunzia la violazione dell’art. 564 cod. civ., sottolineando che, per esperire l’azione di riduzione, era necessaria l’acccttazione beneficiata e che la stessa doveva essere compiuta ritualmente.

3 – I due motivi sopra esposti sono inammissibili perchè non prendono in esame – e quindi non sviluppano una critica suscettibile di scrutinio in sede di legittimità- avverso le motivazioni addotte dalla Corte di Appello per valutare il contenuto del lascito, limitandosi a riportare e condividere le motivazioni della sentenza di primo grado; il secondo motivo oltre tutto è strutturato in maniera del tutto assertiva dei principi in merito alle condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione.

4 – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.800,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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