Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27528 del 11/10/2021

Cassazione civile sez. III, 11/10/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 11/10/2021), n.27528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22645/2018 proposto da:

SMIA SPA, in persona del suo Amministratore delegato e legale

rappresentante D.S.J., quale società incorporante

Indipendenza S.p.a., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GREGORIANA 54, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CONFORTINI,

che la rappresenta i difende unitamente all’avvocato PAOLO LONGO;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI in persona

del Ministro pro tempre, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7729/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza camerale del

31/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 24169/13, depositata il 28 novembre 2013, il Tribunale di Roma dichiarò cessato per finita locazione alla data del 31 marzo 2010 il contratto di locazione stipulato tra Indipendenza S.p.a. (posta in liquidazione nel 2004, v. ricorso p. 7) e Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (poi Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali), condannò il Ministero al rilascio dell’immobile sito in (OMISSIS) unitamente al garage sito al n. (OMISSIS); rigettò la domanda della società attrice di risarcimento dei danni nonché la domanda riconvenzionale del Ministero e condannò quest’ultimo al pagamento delle spese di lite.

Avverso la sentenza di primo grado Indipendenza S.p.a. propose gravame insistendo nella propria domanda di risarcimento dei danni.

Si costituì il Ministero che chiese il rigetto dell’impugnazione e propose, a sua volta, appello incidentale teso alla riforma della sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva escluso la rinnovazione tacita del contratto.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 7729/2017, pubblicata il 15 gennaio 2018, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal predetto Ministero, dichiarò che il contratto di locazione stipulato tra le parti in data 14 giugno 2004 si era rinnovato tacitamente alla prima scadenza del 31 marzo 2010 per ulteriori sei anni dal 1 aprile 2010 al 31 marzo 2016;

rigettò conseguentemente l’appello principale e compensò integralmente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte territoriale SMIA S.p.a., quale società incorporante Indipendenza S.p.a. in forza di atto di fusione per incorporazione del 12 settembre 2014 a rogito notaio M.G., rep. (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi.

Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha resistito con controricorso.

Fissato per l’udienza pubblica del 2 febbraio 2021, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il P.G., in prossimità della Camera di consiglio, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Appare opportuno precisare che, come pure riportato nella sentenza impugnata in questa sede e premesso dal primo Giudice nella sua decisione, Indipendenza S.p.a. in liquidazione, nell’intimare sfratto per finita locazione al Ministero contestualmente citandolo per la convalida dinanzi al Tribunale, aveva dedotto di essere proprietaria dell’intero stabile di (OMISSIS), che aveva locato al Ministero con due distinti contratti. Nonostante l’intervenuta cessazione dei due contratti, l’uno alla data del 28 febbraio 1999 e l’altro alla data del 31 marzo 1998, il Ministero aveva rilasciato solo la porzione costituita dai nn. (OMISSIS), continuando ad occupare gli immobili distinti dal civico (OMISSIS) e l’autorimessa avente accesso dal civico (OMISSIS).

All’esito della trattativa volta alla regolarizzazione dell’occupazione sine titulo, in data 28 aprile 2004 le parti avevano sottoscritto un atto di transazione in virtù del quale il Ministero si era impegnato a corrispondere alla già indicata società la somma complessiva di Euro 64.985,03 + IVA, quale rivaluzione ISTAT, sui canoni già corrisposti.

Con ulteriore contratto del 14 giugno 2004, Indipendenza S.p.a. aveva locato al Ministero gli immobili siti ai civici nn. (OMISSIS) per un ulteriore sessennio decorrente dal 1 aprile 2004, ad un canone annuo di Euro 728.540,87 + IVA, da aggiornarsi annualmente secondo gli indici ISTAT.

L’art. 4 di tale contratto prevedeva che, alla scadenza del 31 marzo 2010, la locazione non si sarebbe tacitamente rinnovata per ulteriori 6 anni perché il periodo 1 aprile 1998-31 marzo 2004 era stato regolarizzato con la procedura del riconoscimento di debito e l’applicazione della rivalutazione ISTAT sui canoni già corrisposti.

Con lettera raccomandata del 13 febbraio 2009, la società locatrice aveva inviato disdetta per la scadenza del 31 marzo 2010 ma, nonostante i solleciti inviatigli, il Ministero non aveva rilasciato il bene provocando danni alla ricorrente (costituiti dalla differenza fra il canone di mercato e l’indennità di occupazione versata, dai costi di gestione connessi all’impossibilità di chiudere la liquidazione della società e dalla differenza fra il corrispettivo non percepito e quello convenuto per la vendita dell’immobile).

Il Ministero, costituendosi, aveva dedotto che la data del 31 marzo 2010 costituiva la prima scadenza del contratto stipulato nel 2004 e che tale contratto si era rinnovato automaticamente, in assenza di ragioni legittimanti il diniego di rinnovo nella disdetta inviata, ed aveva quindi concluso per il rigetto delle avverse domande e per l’accertamento della intervenuta rinnovazione del contratto.

Il Tribunale in ordine alla dedotta rinnovazione del contratto aveva motivato così: “rilevato che il contratto locazione inter partes va dichiarato cessato per finita locazione alla data del 31/3/10, ai sensi dell’art. 4 del contratta stesso; che, con tale clausola, infatti le parti hanno inteso escludere il rinnovo tacito per ulteriori sei anni e computare, ai fini della durata contrattuale, il sessennio relativo al periodo 1/4/98 – 31/3/04, stante la relativa “regolarizzazione” effettuata con le modalità di cui all’atto di transazione del 28/4/04…; che il patto negoziato con l’art. 4 menzionato ha, di fatto, qualificato come contrattuale il periodo precedente allo stipula e inquadrato il sessennio successivo come prosecuzione del rapporto iniziato il 1/4/98, dovendosi aggiungere che il chiaro tenore della clausola non lascia spazio per ricostruzioni come, quella offerta dal Ministero che, nella comparsa di costituzione, deduce che “il contratto stipulato nel 2004 è un contratto nuovo, distinto da; precedente periodo di occupazione sine titolo ed autonomo”; che va aggiunto che della clausola detta non è dato intravedere la nullità lamentata dal Ministero… che non si è nemmeno curato di esplicitare le ragioni della propria doglianza; che, versandosi in ipotesi di seconda scadenza, va, pure, esclusa la dedotta nullità della disdetta, nullità, dal Ministero ricondotta all’omessa “indicazione dei motivi del diniego di rinnovo” di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 28…”.

Per quanto ancora rileva in questa sede, va evidenziato che la Corte di merito, dopo aver precisato che “La questione controversa tra le parti e’, quindi, quella se possa considerarsi il rapporto pregresso instaurato nell’anno 1998 come primo contratto, considerando il contratto del giugno 2004 già come secondo contratto non più tacitamente rinnovabile come ha ritenuto il Giudice dl primo grado e se, posto che il contratto del giugno 2004 sia effettivamente un nuovo contratto, la clausola contenuta nell’art. 4 che esclude la rinnovabilità tacita dello stesso alla prima scadenza sia valida e possa derogare alla disciplina legale di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 42”, ha ritenuto che, “postulando l’art. 4 del contatto di locazione del giugno 2004 una erronea qualificazione del rapporto pregresso quale valido contratto di locazione, non può ritenersi valida l’esclusione del rinnovo tacito dello stesso e la considerazione del periodo dal 2004 al 2010 già come secondo sessennio. L’esclusione della rinnovazione… non è frutto, infatti, di libera scelta dell’Amministrazione conduttrice ma appare condizionata dalla non corretta qualificazione quale valido contratto già rinnovato del rapporto precedente che, invece anche nella stessa transazione sottoscritta dalle parti è pacificamente ritenuto anche dalle parti stesse come rapporto fatto non consacrato in un formale contratto di locazione.

Da ciò discende, essendo il contratto sottoscritto il 14 giugno 2004 il primo effettivo contratto di locazione, la necessaria applicazione del regime legale della rinnovazione del contratto alla prima scadenza previsto dal combinato disposto della L. n. 392 del 1978, artt. 42,28 e 29, con ulteriore conseguente necessità, ai sensi dell’art. 29, comma 4, di disdetta motivata.

Poiché nella specie la disdetta del 13 febbraio 2009 non è in alcun modo motivata, ai sensi dell’art. 29, comma 5… il contratto oggetto di causa si è rinnovato per ulteriori sei anni sino al 31 marzo 2016”.

E sulla base di tali argomentazioni la Corte di merito ha accolto l’appello incidentale del Ministero.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “Nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) conseguente alla violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., con riguardo al(…) principio della domanda e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in relazione alla regola di disponibilità del rimedio annullatorio, di cui all’art. 1441 c.c.”.

Sostiene la ricorrente che l’invalidità della pattuizione di cui all’art. 4 del contratto di locazione è stata dichiarata dalla Corte di merito, segnatamente, sul rilievo che essa fosse stata stipulata dal Ministero per errore e che, quindi, la medesima Corte avrebbe configurato un vizio attinente al processo di formazione della volontà del Ministero, vizio dipendente da un errore di diritto (erronea qualificazione del rapporto intercorrente tra le parti nel periodo 1998-2004 quale rapporto di locazione).

Evidenzia, altresì, la SMIA S.p.a. che l’annullamento del contratto può, ai sensi dell’art. 1441 c.c., essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge e che il Ministero non ha mai proposto una tale istanza ma ha fondato la sua difesa sull’assunto della nullità della clausola in parola ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 79. Pertanto, ad avviso ricorrente, la pronuncia della Corte di merito sarebbe stata resa in violazione non solo del principio della domanda di cui all’art. 99 c.p.c., ma anche della regola generale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c..

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riferimento all’art. 1427 c.c., per pronunciato annullamento, per errore di una delle parti, dell’art. 4 del contratto di locazione in data 14.06.2004: i) in contrasto con la regola generale dell’autonomia contrattuale, di cui all’art. 1322 c.c.; ii) in falsa applicazione della disciplina, dettata in tema di nullità dall’art. 1419 c.c., relativa alla invalidità parziale del contratto e alla sostituzione di diritto della clausola invalida”.

La ricorrente, ribadito che una domanda di annullamento per errore della clausola di cui all’art. 4 del contratto di locazione non è mai stata formulata dal Ministero, deduce che, quand’anche una siffatta istanza fosse stata formulata ex adveso, la Corte di merito avrebbe dovuto, in ogni caso, escludere la ricorrenza, nel caso di specie, degli estremi per pronunciare l’annullamento della clausola in parola.

Secondo la ricorrente le parti – come emergerebbe con chiarezza dal tenore della clausola in questione – avrebbero convenuto che nel contratto di locazione del giugno 2004 fosse ricompreso anche il periodo di sei anni (1998-2014) durante il quale il Ministero aveva occupato gli immobili, in attesa di stipulare con la proprietaria un formale contratto di locazione. In tal modo le parti avrebbero attribuito rilevanza negoziale ai rapporti di fatto tra loro intercorsi anteriormente alla stipula del contratto e tanto in forza del principio di autonomia contrattuale negoziale ed in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui le parti ben possono prevedere una decorrenza anticipata degli effetti di un contratto di locazione rispetto al tempo della sua stipulazione.

Peraltro, evidenzia la ricorrente che con la clausola in parola per il rapporto di locazione in questione sarebbe stata prevista una durata del tutto conforme alla disciplina legale (anni 6 + 6), sicché detta clausola non avrebbe potuto essere dichiarata invalida neppure sotto il profilo della nullità L. n. 392 del 1978, ex art. 79.

Infine, sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente reputato – in applicazione analogica dell’art. 1419 c.c., comma 1 – di poter dichiarare l’invalidità parziale del contratto (ossia dell’art. 4 dello stesso), assumendo irragionevolmente di necessità, pur senza nulla motivare al riguardo, il carattere non essenziale della clausola ed avrebbe fatto illegittima applicazione del meccanismo di automatica sostituzione della clausola invalida (di cui all’art. 1419 c.c., comma 2), che sarebbe, invece, proprio delle fattispecie relative a nullità negoziale.

3. Il terzo motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riferimento alle regole di ermeneutica contrattuale, in relazione all’art. 1362 c.c., comma 2, in tema di determinazione della volontà delle parti e di valutazione del loro comportamento anche posteriore alla conclusione del contratto, e all’art. 1363 c.c., con riguardo alla regola di interpretazione complessiva delle clausole”.

Assume la ricorrente che la soluzione espressa dalla Corte di merito postulerebbe la sussistenza di un collegamento o almeno di un nesso, rilevante ai fini interpretativi, tra l’atto di transazione dell’aprile 2004 e il contratto di locazione del giugno 2004.

Pur contenendo il contratto di locazione taluni riferimenti testuali che inducono a concludere che esso sia stato concluso tra le parti in ragione del precedente accordo transattivo, ciononostante, ad avviso della ricorrente, nell’accordo dell’aprile 2004 non vi sarebbe alcun riconoscimento reso dalle medesime parti incompatibile con il contenuto della clausola n. 4 del successivo contratto con cui le parti hanno imputato il sessennio 1998-2004 al rapporto locatizio mentre sussisterebbero numerosi elementi letterali decisivi al fine di confutare la tesi sostenuta dalla Corte di merito. Quest’ultima avrebbe, inoltre, violato le regole di ermeneutica contrattuale, sia reputando, in violazione dell’art. 1362 c.c., di poter ricavare, dal contenuto dell’accordo transattivo e in assenza di indici letterali in tal senso, l’intenzione delle parti di configurare l’occupazione del Ministero per gli anni 1998-2004 come mera detenzione di fatto, sia perché – in spregio alla regola di cui all’art. 1363 c.c., secondo cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta del complesso dell’atto – avrebbe omesso di indagare proprio quella che prevede la soggezione del predetto atto “ad imposta di registrazione in misura fissi in quanto trattasi di locazione di bene strumentale soggetta ad IVA sensi della L. n. 154 del 1989, art. 35/bis” che avrebbe eliminato ogni dubbio in ordine all’intenzione delle parti di attribuire al periodo di occupazione appena ricordato natura locativa.

Sostiene la SMIA S.p.a. che la Corte territoriale, compiendo un esame solo parziale delle clausole contenute nell’atto transattivo del 2004 e del contratto di locazione dal giugno 2004, avrebbe violato la disposizione relativa all’interpretazione complessiva delle clausole di cui all’art. 1363 c.c..

Secondo la ricorrente, l’interpretazione delle clausole contrattuali richiamate in ricorso, esaminate nel loro significato letterale, sarebbe stata sufficiente a consentire alla Corte territoriale di individuare la comune intenzione delle parti a riqualificare come rapporto di locazione il precedente sessennio 1998-2004 e di computare tale sessennio nella complessiva durata della locazione 1998-2004/2004-2010; ove tale attività interpretativa non avesse sciolto i dubbi in ordine alla effettiva volontà delle parti la Corte di merito avrebbe dovuto far ricorso, in applicazione dell’art. 1262 c.c., comma 2, al criterio ermeneutico relativo al comportamento delle parti tenuto successivamente alla stipula del contratto, con particolare riferimento alle comunicazioni di Indipendenza nell’imminenza della scadenza contrattuale e nel periodo ad essa successivo ed alle missive inviate in risposta dal Ministero alla società proprietaria dell’immobile.

Tale comportamento delle parti non solo avrebbe rilevanza al fine di determinare la volontà delle parti ma avrebbe anche rilevanza “per escludere, sotto il profilo della convalida tacita di cui all’art. 1444 c.c., comma 2, che il contratto potesse essere annullato per errore della parte”.

4. I tre motivi, che ben possono essere trattati unitariamente, prospettando sostanzialmente un’unica censura, sia pure sotto diversi profili, sono fondati e vanno accolti.

4.1. Ritiene il Collegio che la tesi della presupposizione, cui la difesa erariale ha fatto ricorso per confutare il primo motivo di ricorso e sostenere la bontà della decisione della Corte di merito, ancorché suggestiva, non può essere condivisa.

Secondo il Ministero, l’invalidità della clausola di cui all’art. 4 del contratto in questione non andrebbe – come all’opposto sostenuto dalla ricorrente – ricondotta dell’annullabilità dei contratti per vizio della volontà sub specie dell’errore essenziale, non richiamato dalla Corte di merito; quella clausola sarebbe stata ritenuta, invece, nulla dalla Corte territoriale, in quanto quest’ultima avrebbe fatto sostanzialmente riferimento “all’errato presupposto giuridico, comune ad entrambe le parti del contatto di locazione sottoscritto nel giugno 2004, che il precedente rapporto intercorso tra le parti fosse già stato un contratto di locazione: errato, perché le stesse parti nell’atto di transazione dell’aprile precedente avevano riconosciuto essere intercorsa dal 1998 al 2004 una occupazione di fatto dell’immobile poi locato”. La circostanza presupposta erroneamente da entrambe le parti e costituita dall'”esistenza di un regolare contratto di locazione intercorso dal 1998 al 2004″ avrebbe – secondo il Ministero – costituito la “condizione” essenziale della stipulazione della clausola n. 4 del contratto del 4 giugno 2004 ed “inform(erebbe) di sé tutta la clausola n. 4 (indicata come D, per evidente lapsus calami a p. 16 del controricorso) divenendo essenziale per spiegarne la ragione e il movente oggettivo”. Ne conseguirebbe – ad avviso del controricorrente – che la clausola in parola sarebbe stata ritenuta nulla – come chiesto dallo stesso Ministero con l’appello incidentale – e non annullabile.

4.2. Come ribadito dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza 20/04/2018 n. 9909, “si rinviene la presupposizione allorquando (cfr. la sintesi che svolge in motivazione Cass. 12235/07) “una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso – pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali – come presupposto condizionante il negozio (cd. condizione non sviluppata o inespressa), richiedendosi pertanto a tal fine: 1) che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti; 2) che l’evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (e in ciò la presupposizione differisce dalla condizione); 3) che si tratti di un presupposto obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione (Cass. 31.10.1989, n. 4554; tra le più recenti, Cass. 21.11.2001 n. 14629).

Sicché la “presupposizione e’… configurabile quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all’esistenza di una data situazione di fatto che assurga a presupposto comune e determinante della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti, non si sia fatto espresso riferimento” (Cass. 9.11.1994, n. 9304)”.

Si ha insomma presupposizione, per tornare a una lontana massima (Cass. n. 1064 del 1985), quando una determinata situazione di fatto comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo, essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività, sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto comune in modo da assurgere a fondamento – pur,in mancanza di un espresso riferimento – dell’esistenza ed efficacia del contratto”.

4.3. Orbene, se tale è la nozione di presupposizione (ribadita di recente anche da Cass., ord., 24/08/2020, n. 17615 e condivisa dalla dottrina), ed in particolare se essa va riferita ad una “situazione di fatto” “indipendente dall’attività o dalla volontà dei contraenti”, pur a voler ritenere, come sostenuto dal Ministero, che la Corte abbia fatto ad essa riferimento (il che non risulta, invero, in alcun modo desumibile dal testo della sentenza impugnata), il riferimento non sarebbe, comunque corretto, evidenziandosi che ben possono (come pure rimarcato dal ricorrente) le parti di un contratto attribuire ad esso efficacia retroattiva in modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti e, pertanto, le parti, che possono liberamente determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (in virtù del principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c.), possono attribuire efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione (Cass. 7/12/2000, n. 15530). Pertanto, difetta nella specie proprio la “situazione di fatto” “indipendente dall’attività o dalla volontà dei contraenti”.

Peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità (pur rinvenendosi in dottrina posizioni variegate), qualora la situazione di fatto considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del contratto, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, non si verifichi o venga mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in tal modo facendo venir meno le ragioni poste a base del consenso originario delle parti, ne consegue non già la nullità o l’annullamento di una clausola contrattuale bensì l’esercizio)del recesso (v. Cass. 25/05/2007, n. 12335).

4.4. Alla luce delle argomentazioni su cui si basa la motivazione della sentenza impugnata in, questa sede, nella parte in cui nella medesima si afferma che l’art. 4 del contratto di locazione postulerebbe una erronea qualificazione del rapporto pregresso quale valido contratto di locazione e che, pertanto, non potrebbe ritenersi valida l’esclusione del rinnovo tacito dello stesso e la considerazione del periodo dal 2004 al 2010 già come secondo sessennio, in quanto tale esclusione non sarebbe “frutto… di libera scelta dell’Amministrazione conduttrice” ma apparirebbe “condizionata dalla non corretta qualificazione quale valido contratto già rinnovato del rapporto precedente”, ritiene il Collegio che quella Corte abbia, in realtà, ritenuto invalida la clausola in parola per errore, facendo, quindi riferimento all’istituto dei vizi del consenso, determinanti, peraltro, l’annullabilità del contratto e non la nullità dello stesso (o delle sue clausole), sempre che, in particolare, l’errore sia essenziale, senza peraltro che al riguardo alcuna motivazione è dato rinvenire, come pur denunciato dalla ricorrente.

Risultando incontroverso tra le parti (come è confermato sostanzialmente nel controricorso, v. p. 16) che alcuna domanda in tal senso sia stata formulata dal Ministero, sono fondate le censure con cui si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e tanto assorbe ogni altra questione pure sollevata dalla SMIA S.p.a. in tema di annullamento per errore della clausola in questione.

4.5. Parimenti fondate sono le doglianze della parte ricorrente inerenti alla violazione, da parte della Corte di merito, dei canoni ermeneutici, risultando in tutta evidenza dal tenore della sentenza impugnata che il Giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, ed in particolare quelli di cui all’art. 1362 c.c., commi 1 e 2 e art. 1363 c.c..

5. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto. La sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

6. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

 

 

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