Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27527 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 02/12/2011, dep. 19/12/2011), n.27527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n.r.g. 2842/07 proposto da:

A.L. (c.f. (OMISSIS)) rappresentata e difesa

dall’avv. RUSSO Claudio ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’avv. Francesco Tallarico in Roma, piazza Istria n. 2, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.C. (c.f. (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’avv. CARACCIOLO Francesco ed elettivamente domiciliato in Roma,

via Angelo Brofferio n. 3, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 2941/06,

pronunziata il 19/07/2006 e depositata il 22/09/2006;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

2/12/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.C. citò innanzi al Tribunale di Napoli i germani L. ed A. per sentir pronunziare lo scioglimento della comunione ereditaria su più immobili lasciati dalla madre V. A., di cui uno, costituito da un appartamento in (OMISSIS), era in uso alla sorella L. che non aveva versato nulla per tale utilizzo, e da un altro, in (OMISSIS), risultato intestato alle medesima L. ma che in realtà era stato acquistato interamente con denaro della madre;

evidenziò altresì che, sempre la predetta sorella, non aveva inteso partecipare alle spese dei beni comuni.

A.L., costituendosi, non si oppose alla divisione ma dedusse che dei beni da dividere avrebbero dovuto far parte anche alcuni acquisiti dai germani con atti che riteneva simulati. Anche il fratello A. si costituì, aderendo alla richiesta di divisione. A tale causa venne riunito, per ragioni di connessione, il giudizio n. 4778/98 avente ad oggetto l’opposizione di A. L. al decreto con il quale il fratello C. le aveva ingiunto il pagamento di passività ereditarie.

L’adito Tribunale provvide ad elaborare un progetto di divisione – che prevedeva l’assegnazione dei beni caduti in successione ai fratelli A. e l’obbligo della sorella di costoro, beneficiaria di una donazione indiretta avente ad oggetto l’appartamento in (OMISSIS), di versare ai fratelli la somma di Euro 36.255,27 prò indiviso.

La Corte di Appello di Napoli, adita da A.L. – che con ciò aveva inteso contestare l’esistenza della donazione indiretta e nel contempo far valere la riscossione, da parte dei fratelli, di somme di denaro dalla madre – e nella resistenza dei fratelli di costei, pronunziando sentenza n. 2941/2006, depositata il 22 settembre 2006, respinse i motivi di gravame diretti: a contestare l’esistenza di una donazione indiretta; a sindacate l’asserita mancanza di prova di donazioni di somme di denaro dalla madre ai fratelli – ciò per tardività della relativa produzione documentale – nonchè a censurare il valore attribuito a seguito di CTU, all’appartamento di (OMISSIS). La Corte distrettuale accolse peraltro il motivo di gravame con il quale si lamentava la mancata revoca del decreto ingiuntivo – a cagione del fatto che l’ordinanza con la quale si era reso esecutivo il progetto divisionale aveva operato la riassunzione e ricolloca/ione dei crediti agiti in via monitoria.

A.L. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di due motivi, illustrati da memoria; ha resistito con controricorso A.C.; l’altro fratello non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo A.L. deduce vizio di motivazione – nella specie: insufficiente e contraddittoria – in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale laddove, nel revocare il decreto ingiuntivo, non avrebbe di conseguenza rideterminato il progetto divisionale, atteso che, a seguito di detta revoca, essa ricorrente non sarebbe più risultata debitrice del fratello della somma di L. 6.652.667 1/a – Il motivo è inammissibile in quanto, essendo la sentenza impugnata depositata dopo l’entrata in vigore dell’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs n. 40 del 2006, art. 6 – l’illustrazione del motivo attinente alla motivazione avrebbe dovuto essere accompagnato dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assumeva del tutto omessa o contraddittoria: nella fattispecie invece la A. si è limitata a trarre certe conseguenze dalla revoca del decreto ingiuntivo senza per nulla esaminare la motivazione adottata dalla Corte distrettuale, a mente della quale di quei credito già si era tenuto conto – e pertanto ne risultava assorbito lo specifico esame – nell’ordinanza di approvazione del progetto divisionale; violando poi il principio di autosufficienza del ricorso – art. 366 c.p.c., n. 6 – la ricorrente non ha neppure riportato il contenuto dell’ordinanza in questione e del ricorso monitorio al fine di permettere alla Corte un sindacato sull’errore logico in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello nel non rideterminare la propria quota; del tutto priva di apparato argomentativo è infine la denunzia di contraddittorietà rivolta alla motivazione del giudice dell’appello.

2 – Con il secondo motivo la ricorrente denunzia l’error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice del gravarne nel ritenere tardivamente depositati i documenti a sostegno della esistenza di elargizioni ai fratelli di somme di denaro da parte della defunta comune genitrice, sostenendo in particolare la non applicabilità al c.d. rito ordinario della sentenza 8202/2005 delle Sezioni Unite di questa Corte – che, à fini della preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione precedente alla modifica introdotta con la L. n. 69 del 2009 – aveva equiparato le prove c.d.

precostituite alle prove costituende – in base all’assunto che detta decisione avrebbe riguardato unicamente i processi disciplinati dall’art. 409 c.p.c., e segg..

2/a – Il motivo è inammissibile perchè il quesito di diritto, à sensi del richiamato art. 366 bis c.p.c. – difetta di specificità e non è idoneo ad assolvere alla propria funzione, che è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di mento e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: nella fattispecie manca poi qualunque enunciazione del fatto realmente controverso (“il quesito di diritto che si pone alla Corte, pertanto, è l’ammissibilità o meno della produzione di documenti in sede di appello ex art. 345 c.p.c.”) che non era quello attinente alla mera equiparazione delle prove precostituite a quelle costituende in materia di preclusione di produzione in sede di gravame ma se la regula juris, incontestabilmente posta dalle Sezioni Unite con la richiamata sentenza 8202/2005, fosse limitata alle controversie previste per il c.d. rito lavoro.

3 – Rimane con ciò assorbita la constatazione dello stabilizzarsi di un indirizzo giurisprudenziale contrario all’assunto della ricorrente di producibilità in appello di prove documentali senza il filtro della verifica della loro indispensabilità – sulla quale pure si era pronunziata la Corte distrettuale – e dell’impossibilità della loro produzione nel pregresso grado di giudizio – altro punto esaminato dallo stesso giudice dell’appello – (cfr. Cass. 21561/2010; Cass. 11346/2010, Cass. 14.766/2007; Cass. 12792/2007; Cass. 5323/2007;

Cass. 3644/2007; Cass. 15514/2006; Cass. 7073/2006; Cass. 16.526/2005; Cass. Sez. Un. 8203/2005).

4 – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte contro ricorrente, liquidandole in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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