Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27525 del 30/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 30/12/2016, (ud. 17/11/2016, dep.30/12/2016),  n. 27525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21342/2013 proposto da:

L.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Via

Gregorio XI n. 13 presso il suo studio, rappresentato e difeso da se

stesso;

– ricorrente –

contro

D.P.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Gregorio VII, n. 108, presso lo studio dell’avvocato LUCA FRIGO,

rappresentata e difesa da se stessa;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 649/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 06/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato D.P., che si riporta agli atti e alle

conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, Carmelo Sgroi, che conclude

per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 243/07 pronunciata a norma dell’art. 281 sexies c.p.c. e pubblicata all’udienza dell’8.3.2007 il Tribunale di Nocera Inferiore rigettava l’opposizione proposta dall’avv. L.M. avverso il Decreto Ingiuntivo n. 540 del 2003, con cui gli era stato ingiunto di pagare, in favore dell’avv. D.P.G., la somma di Euro 3.955,00, oltre interessi e spese, a titolo di spettanze professionali per la trattazione di cause in qualità di delegata e domiciliataria dell’ingiunto.

2. Avverso la sentenza proponeva appello l’avv. D.P., la quale con atto di citazione del 30.4.2007 ne chiedeva la parziale riforma, con la condanna dell’appellato al pagamento della maggior somma di Euro 8.421,91, comprensiva delle spese di liquidazione delle parcelle.

Si costituiva l’appellato, contestando l’appello e chiedendone il rigetto. Eccepiva l’inammissibilità dell’appello, tendente ad ottenere una somma maggiore di quella indicata nel decreto ingiuntivo, non essendo consentito all’opposto di proporre domande nuove ed ulteriori rispetto a quelle fatte valere ed accolte con l’ingiunzione.

3. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 6.9.2012, rigettava l’appello e dichiarava integralmente compensate le spese del giudizio di gravame, sulla base delle seguenti considerazioni:

3.1 – dalla documentazione prodotta dalle parti, anche nel giudizio di opposizione, non era emerso alcun accordo tra le stesse sui criteri di determinazione del compenso e sul suo ammontare; errata era, quindi, la conclusione cui era pervenuto il primo giudice il quale, ritenendo che il compenso per la collaborazione prestata dall’avv. D.P. fosse invece stato determinato consensualmente dalle parti con riferimento alle spese anticipate, ai diritti ed agli onorari, aveva decurtato la somma richiesta dalla ricorrente, portandola da Euro 8.421,91 ad Euro 3.955,00;

3.2 – in mancanza di accordo, il compenso spettante all’appellante per le attività processuali eseguite su mandato dell’avv. L. doveva essere quantificato con riferimento alle tariffe professionali esistenti all’epoca dell’espletamento degli incarichi;

3.3 – avuto riguardo alle risultanze probatorie (ed, in particolare, agli atti processuali che documentavano l’espletamento degli incarichi di volta in volta ricevuti dalla mandataria), la statuizione impugnata non era meritevole di riforma, atteso che, operando correttamente i calcoli, la sentenza, nel confermare il decreto ingiuntivo per Euro 3.955,00, non aveva riconosciuto all’avv. D.P. somme inferiori a quelle che le sarebbero spettate a titolo di rimborso spese, diritti ed onorario per l’attività effettivamente svolta e dimostrata.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso L.M., sulla base di un unico motivo. D.P.G. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1175, 1176, 1337, 1366, 1375 c.c., art. 1460 c.c., u.c e art. 2233 c.c., art. 88 c.p.c., art. 91 c.p.c., comma 1, art. 92 c.p.c., comma 2, art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e artt. 2, 3, 24 e 111 Cost., il mancato e/o erroneo esame delle domande e delle conclusioni formulate, la nullità della sentenza e/o del procedimento e la omessa e/o illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), per aver la corte d’appello disposto l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite relative al secondo grado, nonostante avesse rigettato in toto i tre motivi di appello proposto dall’avv. D.P., giustificandola sulla base della qualità professionale delle parti in causa.

2. Preliminarmente, va evidenziato che la fattispecie in esame soggiace ratione temporis all’applicazione del comma secondo dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione anteriore alla modifica apportata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, essendo il presente giudizio stato instaurato nel 2003 e, dunque, prima della entrata in vigore della detta legge.

Da ciò consegue che, all’epoca, era consentito al giudice di compensare, in tutto o in parte, le spese tra le parti, oltre che in caso di soccombenza reciproca, anche quando ricorrevano “giusti motivi”.

Quanto a questi ultimi, già Sez. U., Sentenza n. 9597 del 15/11/1994 aveva statuito che la decisione del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, essendo l’espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, fosse incensurabile in sede di legittimità, a meno che essa non fosse accompagnata dalla indicazione di ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto.

Successivamente, le Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 20598 del 30/07/2008), nuovamente sollecitate, avevano precisato che, nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” doveva trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non era necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso fossero chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne conseguiva che doveva ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contenessero in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si fosse dato atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali.

In quest’ottica, la valutazione operata dal giudice di merito poteva essere censurata in cassazione se le spese fossero state poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione fosse palesemente illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Sez. 6-L, Ordinanza n. 24531 del 02/12/2010; Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006). Al di fuori di queste ipotesi, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (cfr., di recente, Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013).

In particolare, mentre, quando manchi la motivazione della statuizione, viene a mancare lo stesso presupposto del sindacato del giudice di legittimità, ove detta statuizione sia accompagnata dai motivi, ritenuti giusti, della compensazione, sussiste il presupposto della disamina da parte della Cassazione, anche se non sotto il profilo della insufficienza della motivazione, inconcepibile a fronte della legalità di una omissione totale, bensì quanto al vizio di contraddittorietà di motivazione. Sotto tale profilo, tuttavia, il sindacato di legittimità non è ammissibile nella stessa ampiezza in cui tale difetto si atteggia per ogni altro capo della sentenza impugnata, bensì solo nei limiti in cui non sia dato comprendere la ragione della statuizione per rapportarla alla volontà della legge e accertare se questa sia stata o no violata (Sez. 1, Sentenza n. 14964 del 02/07/2007).

3. Nel caso di specie, la “qualità professionale delle parti in causa”, indicata dalla corte d’appello al fine di giustificare la compensazione integrale delle spese del giudizio di gravame, rappresenta una motivazione palesemente illogica, in quanto fa dipendere la compensazione da una qualità meramente soggettiva che prescinde dall’andamento o dall’esito del processo, determinando potenziali ingiustificate diseguaglianze tra le parti. Si rivela, infatti, irrazionale la scelta di non condannare una parte per il solo fatto che rivesta la qualifica di avvocato e, invece, di farlo nel caso in cui, nelle medesime condizioni, la parte soccombente non sia un difensore.

4. In definitiva, il ricorso parrebbe meritevole di accoglimento. Peraltro, questo collegio condivide le conclusioni rassegnate dal pubblico ministero di udienza, il quale, facendosi carico dell’esigenza della economicità dei giudizi, ha valorizzato gli elementi di fatto emergenti dalla impugnata sentenza e suscettibili di essere valutati ai fini della regolazione delle spese di giudizio, così chiedendo alla corte di pronunciare sensi dell’art. 384 c.p.c.. In tale prospettiva, il pubblico ministero di udienza ha rilevato come l’avvocato D.P., all’esito del giudizio, risultava comunque “vincitrice”, seppure parzialmente, a fronte di una diversa ratio decidendi adottata dai due giudici del merito per riconoscere lo stesso importo dovuto. Ha rilevato, altresì, che a fronte del rigetto dei motivi di appello, la corte locale ha motivatamente ritenuto infondate le eccezioni avanzate dalla controparte. L’insieme di tali elementi di fatto consentivano, nel regime della regolazione delle spese anteriore alla riforma del 2005, di disporre la integrale compensazione delle spese, essendo comunque come si è detto la D.P., seppure parzialmente, vittoriosa.

5. Ritiene il collegio che tale prospettazione può essere accolta in relazione alla peculiarità della vicenda processuale, sussistendo i presupposti dell’applicazione dell’art. 384 c.p.c.. In tal senso, il ricorso va rigettato, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata, confermandosi il decisum.

6. Ritiene infine il collegio che proprio la peculiarità della vicenda così come esposta e l’esito complessivo del giudizio consentano di disporre la compensazione delle spese anche per il giudizio di cassazione.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis e comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2016

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