Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27523 del 30/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 30/12/2016, (ud. 15/11/2016, dep.30/12/2016),  n. 27523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23644-2012 proposto da:

S.A. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE

173, presso lo studio dell’avvocato LILIANA TERRANOVA, rappresentato

e difeso dall’avvocato MAURIZIO LA PEDALINA;

– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –

contro

C.C. (OMISSIS) in proprio e quale erede di

CA.CA. e di C.N., e P.R. (OMISSIS) quale erede

di C.S. (a sua volta erede di C.N.) e di

CA.CA., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DELLA

CAMILLUCCIA N. 19, presso lo studio dell’avvocato GEA CARLONI,

rappresentate e difesi dall’avvocato GIUSEPPE MELAZZO;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 591/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 12/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato MAURIZIO LA PEDALINA, difensore del ricorrente, che

si è riportato agli scritti depositati;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MELAZZO, difensore delle controricorrenti e

ricorrenti incidentali, che si è riportato alle difese in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso e

per la compensazione delle spese.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con ricorso depositato il 29 marzo 1974 C.G., Ca., N. e C., proprietari di un fabbricato in (OMISSIS), costituito da piano terra e primo piano, con relativa terrazza di vecchia costruzione e diritto di veduta diretta, laterale e obliqua sui sottostanti tetti di due case contigue di proprietà di S.A. e C. (veduta esercitata dalla terrazza e da una finestra), domandarono al Pretore di Messina l’immediata sospensione delle opere in corso da parte dei vicini (consistenti nella demolizione del tetto e nella realizzazione, senza le prescritte licenze, di una soletta in cemento) in quanto pregiudizievoli della servitù di veduta esercitata da tempo immemorabile e fonte di danno al fabbricato.

Con decreto emesso inaudita altera parte, il Pretore ordinò la sospensione dei lavori, provvedimento che venne confermato anche dopo l’instaurazione del contraddittorio e l’espletamento di consulenza tecnica.

Riassunto il giudizio nel merito innanzi al Tribunale di Messina (in cui fu proposta anche una domanda risarcitoria), si costituirono i S. ribadendo l’infondatezza della avversa pretesa, come già eccepito nella fase interdittale.

Con sentenza 13 ottobre 1998, il Tribunale di Messina, per quanto interessa, dichiarò illegittima la realizzazione del terrazzo e condannò i convenuti ad abbassarlo di cm. 40 e, comunque, fino al livello dell’originaria linea di gronda. Le spese di lite vennero poste solo per un terzo a carico dei convenuti, con compensazione della restante frazione.

2 Decidendo sull’impugnazione principale di S.A. (l’altra convenuta era frattanto deceduta) e incidentale di C.S. e P.R. (eredi di S., a sua volta erede dell’attrice Ca.Ca.) nonchè di C.C. (in proprio e quale erede di C.N. e Ca.) la Corte d’appello di Messina – sempre per quanto qui interessa – rigettò l’impugnazione incidentale e, in parziale accoglimento dell’appello principale, dispose, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che la condanna di S.A. all’abbassamento del terrazzo nella misura di cm. 40 restasse limitata alla parte di terrazzo corrispondente alla profondità, rispetto al prospetto, dell’adiacente parapetto C. e sino a cm. 75 oltre l’innesto del parapetto medesimo nel muro perimetrale C., per una complessiva lunghezza di circa m. 3,50; e frontalmente rispetto al predetto parapetto, sino alla distanza di mt tre dallo stesso, così da interessare nel complesso una superficie di circa mq. 10,50 del terrazzo S.; in alternativa, attribuiva all’appellante la facoltà di ripristinare, nella stessa area, il preesistente tetto a tegole, con quota della gronda abbassata di cm. 40 rispetto alla quota del piano di calpestio del terrazzo e con percentuale di inclinazione della falda corrispondente alla precedente.

La Corte d’Appello condannò gli appellati al rimborso di un terzo delle spese del grado d’appello, confermando per il resto la statuizione del Tribunale.

La Corte motivò tali statuizioni rilevando che vi era stata una sopraelevazione mediante sostituzione dell’originario tetto con lastrico piano e che risultava violata la distanza dalle vedute preesistenti (esercitate non solo dal terrazzini degli attori ma anche da un finestrino al termine della scala).

Ritenne inoltre che l’opera andava arretrata anche per evitare la creazione di vedute laterali verso il fondo degli attori.

Per giustificare la pronuncia sulle spese del giudizio di secondo grado, la Corte messinese considerò l’accoglimento parziale dell’appello principale e il rigetto dell’impugnazione incidentale.

3 Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso S.A. sulla base di un unico motivo.

Resistono con controricorso contenente ricorso incidentale articolato in due motivi C.C. (in proprio e quale erede di Ca.Ca. e N.), nonchè P.R. (quale erede di C.S., a sua volta erede di N.).

Il S. ha proposto a sua volta controricorso per resistere all’impugnazione incidentale e, successivamente, ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Con l’unico motivo, il ricorrente deduce l’illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, prospettando una motivazione omessa o apparente.

Ritiene che la Corte di merito avrebbe dovuto riscontrare non già una avvenuta sopraelevazione ma un abbassamento di cinque centimetri dell’altezza del fabbricato per effetto dell’intervento edilizio, come risultava dalla particolare conformazione dei luoghi e dal rinvenimento di un mattoncino di coronamento del tetto. Ritiene non superate le osservazioni svolte dal proprio tecnico ing. A. e, quanto alla piccola finestra esistente sulla sommità della scala, ne contesta la natura di veduta, mancando – a suo dire – il requisito della “prospectio”.

Il motivo è infondato.

Come più volte affermato da questa Corte la motivazione è omessa ove manchi completamente l’indicazione delle ragioni sulle quali la decisione si fonda, mentre è solo apparente, ove essa si estrinsechi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (v. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009 Rv. 606377; Sez. 5, Sentenza n. 16581 del 16/07/2009 Rv. 609148).

Si tratta insomma dei casi in cui il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. tra le altre Sez. 5, Sentenza n. 871 del 15/01/2009 Rv. 606087; Cass. n. 6762 del 2006).

Nel caso di specie, si è al di fuori di tale ipotesi estrema perchè la Corte di merito ha esaminato le censure mosse con l’atto di appello ed ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento, pervenendo semplicemente a conclusioni diverse dalle aspettative dell’appellante principale.

Il problema si sposta allora sul vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile ratione temporis), che sostanzialmente traspare dal ricorso, anche se manca l’espresso riferimento al predetto articolo del codice di rito.

A questo punto, è bene chiarire che per giurisprudenza costante, anche a sezioni unite, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non emerge la sussistenza neppure di tale vizio: la disputa sull’aumento di altezza derivante dalla sostituzione dell’originario tetto a falde con un lastrico piano è stata oggetto di disamina da parte del giudice di merito che, con apprezzamento in fatto, ha concluso per la sua sussistenza in considerazione delle risultanze peritali.

La Corte ha osservato in particolare che dalla foto n. 7 della relazione dell’ottobre 1974 risultava il livello e l’inclinazione della originaria falda del tetto del fabbricato S., desumibili dall’impronta lasciata sull’aderente muro e parapetto C.. Ha poi valutato anche la rilevanza probatoria del “mattoncino” di vecchissima fattura (rinvenuto all’epoca dell’accesso del CTU Z.) traendone una conferma del proprio convincimento ed ha fatto proprie le conclusioni peritali sull’entità dell’aumento di altezza (v. pag. 10).

Anche sulla natura della finestra posta sulla scalinata la Corte d’Appello si è soffermata pervenendo alla conclusione che si tratti di una veduta in considerazione di una serie di elementi rappresentati dalla altezza del davanzale (tra 99 e 117 cm) e dalla possibilità di apertura totale dell’infisso con conseguente affaccio (v. pag. 9).

Trattasi, come si diceva, di tipici apprezzamenti infatti, rientranti nelle prerogative del giudice di merito, esplicitati attraverso un percorso argomentativo privo di vizi logici e giuridicamente corretto perchè secondo la giurisprudenza di legittimità le caratteristiche della veduta sono appunto, oltre all'”inspectio”, la “prospectio”, ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino (v. tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 3924 del 29/02/2016 Rv. 638835; Sez. 2, Sentenza n. 9047 del 05/06/2012 Rv. 622659; Sez. 2, Sentenza n. 8009 del 21/05/2012 Rv. 622416).

La decisione si sottrae pertanto alla critica del ricorrente, tendente a suggerire una diversa valutazione delle risultanze istruttorie peraltro, anche in violazione del principio di autosufficienza laddove (v. ricorso pagg. 10 e 11) si duole della mancata risposta alle osservazioni del proprio tecnico ing. A., senza però neppure trascriverne, almeno per le parti di rilievo, il contenuto.

2-1 Passando all’esame del ricorso incidentale, col primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e ss. c.c. e art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero l’omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni formulata sin dall’atto introduttivo del giudizio dai signori C.. Richiamandosi le domande formulate in primo grado e le conclusioni rassegnate in appello, si invoca la regola del danno in re ipsa in caso di violazione di distanze.

Il motivo è inammissibile.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, v. sez. 1, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872 Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945).

Ebbene, dal ricorso incidentale non risulta affatto che la questione della liquidazione del danno in via equitativa e della sussistenza del danno in re ipsa fosse stata devoluta alla Corte d’Appello, anzi, come risulta a pag. 3, l’appello incidentale sui danni era limitato unicamente al fatto che il Tribunale “avrebbe omesso di statuire, così implicitamente rigettandola, sulla domanda di risarcimento dei danni alla stabilità del proprio immobile”.

Sulla doglianza, così come prospettata, la Corte si pronunciata, rigettandola sulla base delle risultanze peritali e non vale oggi il richiamo alle difese svolte nel giudizio di primo grado se non risulta la riproposizione in appello, ostandovi il principio dell’art. 346 c.p.c..

2.2 Con il secondo motivo del ricorso incidentale si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ovvero l’omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, comma 1. Le ricorrenti incidentali, sul punto, lamentano la compensazione delle spese processuali del secondo grado nella misura dei due terzi e la loro condanna al pagamento della restante parte evidenziando che il primo giudice, al contrario, aveva posto il restante terzo a carico del soccombente S.. Inoltre, la riaffermazione della illegittimità del costruito e l’accoglimento della domanda risarcitoria, invece erroneamente disatteso, avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello a condannare il S. a pagare le spese del secondo grado, in via gradata anche solo parzialmente, ovvero, a tutto voler concedere, a disporre l’integrale compensazione, ma non certo alla condanna in danno delle deducenti.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

In linea di principio è opportuno ricordare che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole cfr. tra le varie, Sez. 6-/3, Ordinanza n. 6369 del 13/03/2013 Rv. 625486; Sez. 3, Sentenza n. 19880 del 29/09/2011 Rv. 619532; Sez. L, Sentenza n. 4778 del 09/03/2004 Rv. 570912).

Nel caso in esame, però, il motivo non censura la violazione di tale principio, limitandosi invece ad una generica denunzia della mancata condanna del S. o, in subordine, dell’omessa compensazione e, dunque, non è in grado di scalfire la decisione della Corte di merito.

L’esito del giudizio di legittimità giustifica la compensazione delle spese.

PQM

rigetta i ricorsi e compensa le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2016

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