Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27522 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 28/10/2019), n.27522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11058-2016 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 24, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO CECI, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO BAVASSO;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIO MIGLIANO;

– controricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1275/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 18/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Catanzaro, a conferma della pronuncia resa in prime cure dal Tribunale di Cosenza, ha rigettato l’appello proposto da Equitalia Sud S.p.a. nei confronti dell’INPS e di F.M., accertando prescritto il credito previdenziale vantato nei confronti di quest’ultimo, essendo trascorsi più di cinque anni fra la notifica della cartella di pagamento che aveva dato origine al giudizio e la notifica dell’intimazione di pagamento;

in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto non condivisibili le argomentazioni di parte della giurisprudenza di legittimità che, applicando per analogia i principi valevoli in materia di decreto ingiuntivo – titolo di formazione giudiziale – hanno fatto discendere, dall’irretrattabilità della cartella conseguente alla mancata proposizione dell’opposizione nei termini di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, l’applicabilità dell’art. 2953 c.c. in materia di actio iudicati; ha sottolineato che l’effetto di tale equiparazione costituirebbe un’indebita violazione del divieto, di ordine pubblico, di pretendere la regolarizzazione di contributi da parte dell’ente impositore indipendentemente dal decorso del termine di prescrizione;

ha quindi statuito che l’eccezione di sopravvenuta prescrizione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c. debba essere valutata secondo il disposto di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, che prevede, per i crediti di natura previdenziale il termine di prescrizione quinquennale;

la cassazione della sentenza è domandata da Equitalia Sud S.p.a. sulla base di due motivi; F.M. si è costituito con tempestivo controricorso, mentre l’Inps è rimasto intimato;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente contesta “Errata interpretazione e violazione del D.P.R. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5 e dell’art. 152 c.p.c.”;

la doglianza si appunta sugli effetti della perentorietà del termine per opporsi a cartella di pagamento, deducendo l’erroneità della sentenza d’appello la quale, nell’applicare alla fattispecie la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, in tema di prescrizione quinquennale, avrebbe privato di ogni utilità giuridica la disciplina dei termini processuali perentori, per la quale “…il mancato esercizio di un potere processuale sottoposto alla perentorietà del termine, al pari di un giudicato, incide sulla stessa esistenza e vita dei diritti…” (p. 4 ric.);

con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente contesta ” Errata interpretazione e applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 e violazione dell’art. 2946 c.c.”;

la sentenza impugnata avrebbe disatteso il termine di quaranta giorni per l’opposizione a cartella di pagamento, la cui perentorietà determinerebbe che, il credito previdenziale non opposto non sarebbe più contestabile dal debitore e l’atto diverrebbe definitivo e inoppugnabile per intervenuto giudicato; pur volendo negare la natura di giudicato della cartella non opposta, secondo la ricorrente, il diritto in essa cristallizzato non sarebbe il medesimo diritto oggetto della prescrizione quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 e, pertanto, troverebbe applicazione l’art. 2946 c.c. in assenza di una norma di legge che preveda un termine prescrizionale diverso dalla prescrizione ordinaria decennale;

i motivi, esaminati congiuntamente per connessione, vanno rigettati;

la questione dell’efficacia dei titoli di riscossione coattiva in materia previdenziale è stata oggetto di approfondita trattazione da parte di questa Corte, la quale, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016, ha in particolare statuito che “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in definitiva, non introducendo elementi che inducano a discostarsi dal principio di diritto sopra richiamato, il ricorso va rigettato; le spese del giudizio di legittimità sono compensate, stante la recente sopravvenienza dell’indirizzo delle Sezioni Unite qui seguito;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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