Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27522 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.T., rappresentata e difesa per procura a margine del

ricorso dall’Avvocato PICA Mario, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avvocato Fabrizio Schiavone in Roma, via R. Grazioli

Lante n. 16;

– ricorrente –

contro

C.A., rappresentato e difeso per procura a margine del

controricorso dall’Avvocato PERICA Giuseppe, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Premuda n. 6 (Studio Avv. Giuseppe Fiorino);

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4793 della Corte di appello di Roma,

depositata il 9 novembre 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese svolte dall’Avvocato Giuseppe Perica per il

controricorrente – ricorrente incidentale;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Vittorio, che ha chiesto il rigetto di entrambi

i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 4793 del 9 novembre 2005 la Corte di appello di Roma accolse l’appello proposto da C.A. e, in riforma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Velletri n. 2 dell’11 gennaio 2003, condannò P.T., proprietaria del fondo confinante con quello dell’appellante, ad arretrare la propria costruzione rispetto all’immobile di quest’ultimo ad una distanza pari all’altezza della costruzione medesima. La Corte motivò tale statuizione affermando che, poichè il Comune di Gorga, nel cui territorio si trovavano gli immobili, era sprovvisto di piano regolatore, la P. avrebbe dovuto edificare la sua costruzione osservando la prescrizione posta dalla L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, lett. e), secondo cui, nei Comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di fabbricazione, la distanza tra gli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato 10 marzo 2006, ricorre P.T., affidandosi ad un unico motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso e successiva memoria C.A., che propone anche ricorso incidentale, articolato su un solo motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. L’unico motivo del ricorso principale proposto da P. T., denunziando violazione e falsa applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 17 e degli artt. 875-877 cod. civ., lamenta che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto, nell’applicare la L. n. 765 del 1967, art. 17, che tale disposizione, come affermato dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, non è incompatibile con il principio della prevenzione, con l’effetto che nel caso in cui la parte che costruisce per prima edifichi a distanza dal confine inferiore alla metà dell’altezza del suo fabbricato, l’altra parte può edificare o rispettando la distanza legale o in aderenza, chiedendo la comunione forzosa del muro costruito sul confine. Nel caso di specie, prosegue il ricorso, in applicazione di tale principio, la costruzione edificata dalla P. doveva ritenersi legittima, atteso che essa era stata realizzata in aderenza a quella dell’attore, che, come accertato dalla sentenza di primo grado, sorgeva sul confine.

In sede di controricorso e poi nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., parte resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso, assumendo che la P., nel giudizio di appello, non aveva contestato, mediante la proposizione di impugnazione incidentale, le affermazioni con cui il Tribunale aveva affermato che le disposizioni di cui alla L. n. 765 del 1967, art. 17, non sono integrative del codice civile e che la costruzione da lei realizzata era illegittima in quanto contrastante con le disposizioni edilizie nè aveva mai chiesto la comunione forzosa del muro, sicchè i primi due punti sarebbero ormai coperti da preclusioni processuali, mentre l’invocata applicabilità degli artt. 875 e 877 cod. civ., integrerebbe una domanda nuova. Queste eccezioni sono infondate.

Occorre premettere che, come emerge dalla lettura della sentenza di primo grado, consentita alla Corte in ragione della natura processuale della questione sollevata, il Tribunale respinse la domanda del C. sulla base del rilievo che, nel caso di specie, dovessero trovare applicazione le disposizioni di cui agli artt. 875 e 877 cod. civ., con l’effetto che la costruzione della P. era da ritenersi legittima in quanto costruita in aderenza al fabbricato dell’attore, che era stata eretto sul confine.

Tanto precisato, la prima eccezione sollevata dal controricorrente non ha pregio, tenuto conto che la decisione di primo grado aveva escluso l’applicabilità nel caso di specie della L. n. 765 del 1967, art. 17, in forza della considerazione che tale prescrizione non regolasse anche i rapporti tra privati. Trattasi all’evidenza di affermazione nei cui confronti non era ravvisabile alcuna soccombenza, nemmeno ipotetica, da parte della convenuta.

La seconda eccezione è pure infondata, avendo il Tribunale comunque affermato che la non conformità della costruzione della convenuta alle prescrizioni urbanistiche incideva soltanto nell’ambito del rapporto pubblicistico tra l’Amministrazione ed il privato ed era invece irrilevante nei rapporti tra privati. Anche in questo caso si tratta di affermazione favorevole alla convenuta, nei cui confronti, pertanto, non è ipotizzabile alcun; preclusione in suo danno.

La terza eccezione invece non ha pregio, dovendosi ritenere, nonostante la non chiara esposizione del motivo, soprattutto con riguardo al quesito che esso pone alla fine, che la ricorrente non abbia affatto richiesto l’applicabilità della disciplina codicistica al fine di ottenere la comunione forzosa del muro, ma soltanto al fine di dimostrare la legittimità della propria costruzione.

Tanto precisato, il motivo avanzato con il ricorso principale è fondato.

La Corte di appello di Roma si è determinata all’accoglimento della domanda dell’appellante C. sulla base della sola ed unica considerazione che, sorgendo gli immobili in un Comune che all’epoca non aveva ancora visto approvato il piano regolatore urbanistico, la distanza tra le costruzione restasse regolata dalla L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, lett. E), secondo cui, nei Comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di fabbricazione, la distanza tra gli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire. Sulla base di tale unica considerazione, ha quindi condannato la convenuta all’arretramento del proprio edificio, in quanto costruito in aderenza a quello dell’attore senza il rispetto della distanza minima prevista dalla legge speciale.

Così decidendo, il giudice di secondo grado ha arrestato la propria indagine ad un dato rilevante, ma non anche decisivo ai fini della risoluzione della controversia. La Corte romana avrebbe dovuto porsi ed esaminare anche la diversa la questione se, nel caso di specie, potesse operare la disciplina posta dagli artt. 875 e 877 cod. civ., in base al quale cui il confinante che costruisce per primo può edificare sia rispettando la distanza minima imposta dalla legge, che sul confine o a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, salva in tali ultimi casi la possibilità per il vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente (Cass. n. 8465 del 2010; Cass. n. 11899 del 2002). In particolare, tale disciplina veniva in evidenza nel caso di specie, non tanto con riferimento al diritto di prevenzione, che necessariamente riguarda la posizione di chi costruisca per primo, ma con riferimento alla posizione del vicino che costruisca successivamente, avendo egli la facoltà sia di edificare a distanza legale sia di costruire in appoggio o in aderenza, Che questo tema dovesse considerarsi in realtà decisivo ai fini della risoluzione della lite risulta da una duplice considerazione.

La prima risiede nel rilievo, in fatto, che, come già evidenziato, la sentenza di primo grado, pur muovendo dalla ritenuta inapplicabilità, nel caso di specie, dell’art. 17 della legge citata, in favore dell’art. 873 cod. civ., aveva respinto la domanda del C. proprio in ragione della disciplina posta dagli artt. 875 e 877 cod. civ., affermando la legittimità dell’edificio della P. in quanto eretto in aderenza alla costruzione della controparte, realizzata sul confine. La questione della applicabilità degli artt. 875 e 877 cod. civ. costituiva pertanto a pieno titolo materia del contendere e quindi doveva formare oggetto di esame da parte del giudice di appello; nè essa, come si vedrà, poteva considerarsi assorbita dalla ritenuta applicabilità della L. n. 765 del 1967, art. 17.

La seconda considerazione sta infatti nel rilievo che, come eccepito dalla ricorrente, il principio codicistico della prevenzione si applica anche alle situazioni nelle quali opera la disciplina della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17. Le relative prescrizioni, in quanto regolano la distanza tra fabbricati e non tra fabbricato e confine, sono sostanzialmente integrative dell’art. 873 cod. civ., con l’effetto che ad essa devono applicarsi le regole ed i principi previsti dal codice civile per la disciplina della distanza fra costruzioni su fondi finitimi, compreso quello della prevenzione, che non è escluso dalla legge speciale. In questo senso, invero, questa Corte si è già pronunciata (Cass. n. 3624 del 1999; Cass. n. 784 del 1998 e altre precedenti), sia pure registrando un contrasto che tuttavia è stato composto nel senso sopra indicato con la sentenza delle Sezioni unite n. 11489 del 2002, cui questo Collegio ritiene di dover dare piena adesione.

L’errore così compiuto dal giudice di secondo grado ha avuto un effetto senz’altro decisivo nella risoluzione della presente controversia. Esso si è infatti risolto in una sostanziale disapplicazione della richiamata disciplina codicistica e, in particolare, della disposizione contenuta nell’art. 877 cod. civ., la quale consente al prevenuto di costruire in aderenza alla fabbrica del vicino che sia stata realizzata sul confine.

Parte resistente deduce nel proprio controricorso che, anche ad ammettere l’applicabilità di tale disciplina, nel caso di specie non risulterebbe da nessun atto, ed anzi sarebbe smentita dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio, la circostanza, che costituisce il presupposto di fatto per l’applicazione della disposizione in questione, che la propria costruzione sia stata realizzata sul confine. Questa argomentazione difensiva non ha però pregio, una volta considerato che, come anche dedotto dal ricorrente (pag. 3 del ricorso), la circostanza suddetta risulta accertata ed affermata dalla sentenza di primo grado, che essa non risulta in alcun modo smentita dalla decisione di appello e che lo stesso controcorrente non deduce nè prova di averla contestata con il proprio atto di gravame.

Il giudice di secondo grado, pertanto, non solo avrebbe dovuto esaminare l’applicabilità nel caso di specie della disposizione di cui all’art. 877 cod. civ., che era stata affermata dal giudice di primo grado, ma avrebbe dovuto altresì, sulla base degli elementi e circostanze di fatto risultanti dagli atti, farne concreta applicazione. Il ricorso principale va pertanto accolto.

3. Con il ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, C. A. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte di appello non abbia esaminato la sua domanda di condanna della convenuta al risarcimento del danni, avanzata nell’atto introduttivo del giudizio e poi riproposta con l’atto di appello.

Il motivo va dichiarato assorbito in ragione dell’accoglimento del ricorso principale, attenendo esso al tema del risarcimento del danno, che è questione consequenziale all’accertamento della illegittimità della costruzione realizzata dalla convenuta, illegittimità che invece deve essere esclusa.

4. Il ricorso principale va quindi accolto, mentre il ricorso incidentale è dichiarato assorbito. La sentenza impugnata è cassata. Sussistendone le condizioni, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito mediante il rigetto dell’appello proposto dal C. avverso la decisione di primo grado, risultando la statuizione del Tribunale di Velletri, laddove ha ritenuto legittima la costruzione della convenuta in quanto costruita in aderenza alla costruzione dell’attore posta sul confine, conforme alla disposizione sopra richiamata di cui all’art. 877 cod. civ..

Le spese del giudizio di appello e del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto da C. A. avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 2 dell’11 gennaio 2003; condanna il C. al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.000,00 di cui Euro 500,00 per diritti e Euro 1.400,00 per onorari, per il giudizio di appello e in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, per il giudizio di legittimità, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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