Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27520 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentato e difeso per procura speciale

autenticata dal Consolato Generale d’Italia di Charleroi del 2

febbraio 2006, rep. n. 085/06, dagli Avvocati prof. CARPI Federico e

Nicola Di Pierro, elettivamente domiciliato presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Tagliamento n. 55;

– ricorrente –

contro

An.Su., rappresentata e difesa per procura in calce al

controricorso dagli Avvocati BRANDI Gianfabio e Alberto Di Natale,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

viale delle Milizie n. 38;

– controricorrente –

e

An.Et., residente in (OMISSIS), rappresentato e

difeso per procura a margine del controricorso dagli Avvocati

Giuseppe Bartolini e Vinicio D’Alessandro e, elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Campo di

Marzio n. 69;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 716 della Corte di appello di Ancona,

depositata il 17 dicembre 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese svolte dall’Avv. Nicola Di Pierro per il ricorrente

principale e dall’Avv. Alberto Di Natale per la controricorrente;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Vittorio, che ha chiesto l’accoglimento del

primo e del secondo motivo del ricorso principale, assorbito il

terzo, e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato ad alcune parti nelle forme ordinarie ed a 16 convenuti mediante procedimento per pubblici proclami, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale, An.Su. agì dinanzi al Tribunale di Pesaro chiedendo che fosse accertato il suo acquisto per intervenuta usucapione della proprietà di alcuni terreni agricoli siti nella frazione (OMISSIS).

All’esito del giudizio di primo grado, svoltosi nella contumacia dei convenuti, il giudice dichiarò l’acquisto per usucapione da parte dell’istante dei beni oggetto della domanda.

Interpose appello tardivo A.A., il quale allegò di non avere avuto tempestiva notizia della pendenza del giudizio e dell’adozione della sentenza da parte del Tribunale, assumendo che la notificazione dell’atto di citazione nei suoi confronti, attuata con la forma dei pubblici proclami prevista dall’art. 150 cod. proc. civ., doveva considerarsi illegittima per mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, tenuto conto che tutti i destinatari dell’atto era identificabili e che l’appellante, essendo iscritto nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero, era facilmente reperibile, mentre taluni dei convenuti erano addirittura residenti nello stesso Comune di Novafeltria, sicchè il numero di essi non poteva essere considerato tanto rilevante da rendere “sommamente difficile” la notificazione nei modi ordinari. Concluse, quindi, perchè fossero respinte nel merito le domande dell’attrice.

Nel corso del giudizio di appello si costituirono An. S., che chiese il rigetto dell’appello, e An.Et., altro convenuto soccombente, che dichiarò di intervenire chiedendo l’accoglimento del gravame.

Con sentenza n. 716 del 17 dicembre 2005, la Corte di appello di Ancona dichiarò inammissibile sia l’appello di A.A., che l’intervento di An.Et.. In particolare, con riferimento all’atto di appello, il giudice di secondo grado respinse l’eccezione dell’appellante in ordine alla nullità della notifica dell’atto di citazione a mezzo della procedura per pubblici proclami, osservando che essa era stata regolarmente autorizzata dal Presidente del Tribunale, dietro parere favorevole del Procuratore della Repubblica, e che ogni censura in ordine all’esistenza dei presupposti di tale provvedimento doveva ritenersi inammissibile, atteso che essa si risolveva in un sindacato di merito non consentito al giudice della causa ed estraneo all’oggetto del giudizio di appello. Aggiunse, peraltro, che nel caso di specie non erano state adempiute tutte le formalità previste per la notificazione per pubblici proclami, non essendosi provveduto, in particolare, al deposito nella casa comunale di copia dell’atto, alla pubblicazione dello stesso, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e, infine, al deposito da parte dell’Ufficiale giudiziario in Cancelleria della relazione e dei documenti giustificativi dell’attività svolta, ma che tali omissioni non potevano essere rilevate dal giudice di secondo grado, atteso che esse non erano state denunziate dall’appellante, nè avevano formato oggetto di specifico motivo di impugnazione. Rilevò quindi che l’atto di appello era tardivo e ne dichiarò l’inammissibilità. Con riguardo all’atto di intervento di An.Et., osservò invece che esso era inammissibile in quanto posto in essere non da un terzo, ma da chi era stato parte nel giudizio come convenuto, sicchè egli avrebbe dovuto, per contestare la decisione impugnata, proporre autonoma impugnazione.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 14 e 15 marzo 2006, ricorre A.A., affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria.

An.Su. resiste con controricorso, così come An. E., che ha pure proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Sempre in via preliminare va dichiarata inammissibile la produzione dei documenti allegati da A.S. al proprio controricorso, in quanto, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., gli unici documenti che possono essere prodotti dalle parti dinanzi a questa Corte sono quelli diretti a provare la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso, laddove i documenti in questione (concernenti l’adempimento di talune formalità della notificazione dell’atto introduttivo) attengono al pregresso giudizio di primo grado.

3. Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 150, 156, 157, 160, 161 e 354 cod. proc. civ., e artt. 3, 24 e 111 Cost., nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto insindacabile, da parte dei giudici di primo e secondo grado, il provvedimento del Presidente del Tribunale di Pesaro che aveva autorizzato la parte attrice a ricorrere alla notificazione per pubblici proclami, pur se emanato in mancanza dei presupposti di legge, finendo con l’adottare una decisione che ha compromesso gravemente il diritto di difesa del ricorrente ed ha violato il principio del contraddittorio e del giusto processo. Sotto altro profilo, si assume che, una volta verificata l’omissione degli adempimenti previsti dalla legge per la notificazione per pubblici proclami, la Corte di appello avrebbe comunque dovuto ritenere la notificazione dell’atto di citazione non già nulla, ma inesistente, e così dichiarare non solo ammissibile l’appello tardivo, ma anche la nullità dell’intero giudizio di primo grado.

Il secondo motivo di ricorso denunzi a violazione e falsa applicazione dell’art. 327 cod. proc. civ. e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, assumendo che la Corte di merito ha erroneamente dichiarato inammissibile l’impugnazione tardiva nonostante la acclarata invalidità della notificazione della citazione di primo grado.

I due motivi, che per la loro connessione obiettiva vanno trattati congiuntamente, sono fondati.

Nella propria decisione la Corte di appello di Ancona ha rigettato ogni contestazione dell’appellante in ordine all’utilizzazione da parte della attrice della particolare procedura per pubblici proclami per la notificazione dell’atto di citazione di primo grado assumendo che il provvedimento autorizzativo del Presidente del Tribunale non sarebbe sindacabile, in sede di impugnazione, in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per tale forma di notificazione.

L’assunto non è condivisibile.

La notificazione dell’atto di citazione, in quanto diretto a portare a conoscenza della parte la domanda contro di lei proposta, costituisce adempimento indispensabile ai fini della instaurazione del contraddittorio, condizione necessaria, a sua volta, affinchè il giudice possa pronunciare sulla domanda (art. 111 Cost.; art. 101 cod. proc. civ.). L’accertamento della regolarità della notifica costituisce, pertanto, un’operazione sempre dovuta da parte del giudice, un dovere che riceve un’attenuazione, in ragione della disciplina in materia di sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo (art. 160 cod. proc. civ.) quando il convenuto compare e si difende, ma che va espletato con particolare rigore nel caso di in cui questi non si costituisca in giudizio.

E’ sulla base di tale premessa che va risolta la questione in esame.

La tesi sostenuta dalla decisione impugnata è che, in caso di notifica per pubblici proclami, il controllo del giudice di merito sulla regolarità della notificazione deve arrestarsi alla verifica del compimento delle formalità prescritte e non anche poter sindacare, pur in presenza di una specifica contestazione della parte interessata, l’effettiva sussistenza in fatto dei presupposti in forza dei quali essa è stata autorizzata e quindi espletata. Questa conclusione è da respingere in quanto in palese contrasto con l’affermato dovere del giudice di merito di verificare la conformità della notificazione eseguita alle prescrizioni di legge, dovere che, nell’ipotesi in esame, non trova certo alcun limite nel fatto che tale procedura di notificazione sia stata autorizzata da un provvedimento dello stesso organo giudiziario. Intanto perchè è fin troppo ovvio che, a prescindere dalla consistenza dei poteri di indagine e di verifica che possono essere esercitati in tale situazione dal presidente del Tribunale, il decreto che autorizza la notificazione per pubblici proclami è pur sempre adottato sul presupposto che effettivamente ricorrano le condizioni di fatto richieste dalla legge, sicchè laddove si dimostri che invece esse non sussistevano viene conseguentemente a mancare la base normativa che giustificava il provvedimento in questione. In secondo luogo in quanto, diversamente ragionando, si perverrebbe alla conseguenza di ritenere sottratto ad ogni sindacato giurisdizionale il decreto autorizzativo del Presidente del Tribunale, atteso che, per il suo carattere ordinatorio, contro di esso non sarebbe nemmeno proponibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. Con ricadute, merita aggiungere, gravissime in termini di tutela del principio del contraddittorio, tenuto anche conto del carattere extra ordinem della forma di notificazione per pubblici proclami, riconosciuta espressamente dall’art. 150 cod. proc. civ., che la contrappone alle “notificazione nei modi ordinari”, straordinarietà che va colta nel fatto che essa non è eseguita presso un luogo individuato, in cui si sa o si presume risieda il destinatario, come avviene nelle forme ordinarie, ma attraverso forme di pubblicità notizia (deposito dell’atto di citazione e del decreto presso la casa comunale e la sua pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiale), che certo forniscono meno garanzie in ordine al fatto che l’atto verrà a conoscenza dai destinatari.

Alla luce di queste considerazioni, deve pertanto ritenersi che la mancanza dei presupposti di fatto in presenza dei quali viene autorizzata la notificazione per pubblici proclami possa essere denunziata in sede di gravame dal convenuto rimasto contumace, come del resto già affermato da questa Corte in un non recente precedente (Cass. n. 4274 del 1990).

La sentenza della Corte di appello di Ancona appare peraltro censurabile anche sotto un diverso profilo, laddove, pur riconoscendo che agli atti di causa mancava la prova del compimento delle formalità prescritte dall’art. 150 cod. proc. civ. (con riguardo, in particolare, al deposito nella casa comunale di copia dell’atto, alla pubblicazione dello stesso, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e, infine, al deposito da parte dell’Ufficiale giudiziario in Cancelleria della relazione e dei documenti giustificativi dell’attività svolta), ha dichiarato inammissibile l’appello tardivo avanzato dall’ A. sulla base del rilievo che tali mancanze non erano stato da lui specificatamente denunziate.

Questa pronuncia è errata in quanto, come dedotto esattamente dal ricorrente, la mancanza delle formalità prescritte per la notifica per pubblici proclami integrava un’ipotesi non già di nullità, bensì di inesistenza della notifica, come tale rilevabile d’ufficio anche dal giudice dell’impugnazione (Cass. n. 519 del 1995). Risulta infatti dalla stessa lettura della sentenza impugnata che mancava in atti la prova del compimento di tutti gli adempimenti richiesti dall’art. 150 cod. proc. civ., risultando, a dimostrazione della stessa, la sola istanza ed il successivo decreto che autorizzava la notifica per pubblici proclami. Nella specie, pertanto, la notifica non poteva che considerarsi inesistente, atteso che mancava del tutto la prova della sua esecuzione.

Il giudice di secondo grado avrebbe pertanto dovuto dichiarare, senza ulteriori accertamenti, ammissibile l’appello tardivo ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ., comma 2. Sul punto questa Corte ha già chiarito che per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: nel caso di notificazione inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli impedito la materiale conoscenza dell’atto (Cass. n. 18243 del 2008). Nel caso di specie, pertanto, trattandosi di inesistenza della notificazione, sull’appellante non gravava alcun onere probatorio ed il suo appello doveva considerarsi ammissibile.

Alla luce di tali considerazioni i primi due motivi di ricorso vanno accolti, mentre il terzo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 88 cod. proc. civ., è dichiarato assorbito.

4. L’unico motivo del ricorso incidentale proposto da An. E. denunzia violazione dell’art. 344 cod. proc. civ., assumendo che la Corte di appello non avrebbe potuto dichiarare inammissibile il suo intervento, atteso che egli si trovava nella stessa posizione di A.A., con l’effetto che anche la notificazione dell’atto di citazione eseguita a mezzo di pubblici proclami nei suoi confronti avrebbe dovuto essere dichiarata inesistente.

Il mezzo è infondato.

La declaratoria di inammissibilità dell’atto di intervento in appello posto in essere dall’attuale ricorrente incidentale appare infatti corretta, risultando pacifico in causa che egli non era terzo ma era stato convenuto con l’atto di citazione in giudizio di primo grado. Ciò posto si osserva che l’atto di intervento, qualificato senza contestazioni come adesivo, era palesemente inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo perchè, in quanto parte, l’ An. avrebbe dovuto proporre impugnazione in forma autonoma, notificando il proprio atto alla controparte. In secondo luogo, in quanto, proprio perchè parte, avrebbe dovuto chiedere la riforma della sentenza nei suoi confronti e non già aderire alla impugnazione dell’altra parte.

5. In conclusione, vanno accolti i primi due motivi del ricorso principale, dichiarato assorbito il terzo e rigettato il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va quindi cassata. Poichè le ragioni della decisione evidenziano la nullità del giudizio di primo grado, la causa, ai sensi dell’art. 383 cod. proc. civ., comma 3, va rimessa dinanzi al Tribunale di Pesaro, che provvedere anche alla liquidazione delle spese.

Le spese tra la controricorrente ed il ricorrente incidentale si dichiarano invece compensate, atteso che la partecipazione di quest’ultimo in giudizio non ha aggravato in modo apprezzabile le difese della intimata An..

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale proposto da A.R., dichiara assorbito il terzo, e rigetta il ricorso incidentale di An.Et.; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Pesaro, anche per la liquidazione delle spese;

compensa le spese di lite tra An.Su. e A. E..

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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