Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27519 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27726-2015 proposto da:

Z.T., nella qualità di erede di F.L.,

rappresentata e difesa dall’Avvocato GIANLUCA TESSIER e

dall’Avvocato LUCIO ANELLI, presso il cui studio in Roma, via della

Scrofa 47, elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.J.R. e B.V., rappresentati e difesi

dall’Avvocato ALFREDO BIANCHINI, dall’Avvocato FRANCESCA BUSETTO e

dall’Avvocato GABRIELE PAFUNDI, presso il cui studio in Roma, viale

Giulio Cesare 14, elettivamente domiciliano, per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

M.M. e P.M., nella qualità di eredi di

P.G., C.L., C.A., C.F.,

M.G., CA.FA., C.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2318/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata iI20/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/9/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Venezia, con sentenza depositata il 7/7/2008, ha respinto le domanda proposta da F.L. nei confronti di D.J.R. e B.V. ritenendo che non era stato provato l’aggravamento della servitù di passaggio esistente a carico della stradina in parte di proprietà dell’attrice ed in favore del fondo dei convenuti, dedotto dall’attrice in ragione dell’apertura, su fondo di questi ultimi, di un ristorante.

L’attrice ha proposto appello ribadendo, tra l’altro, la sussistenza dell’aggravamento sul rilievo che il passaggio, destinato all’uso residenziale, era aumentato per l’apertura del ristorante, e cioè di un’attività commerciale, e che, per accedere al ristorante, la stradina era percorsa anche dai furgoni dei fornitori, più grandi e pesanti dei mezzi passati in precedenza.

Gli appellati, dal canto loro, dopo aver affermato la correttezza della sentenza appellata, hanno proposto appello incidentale per la costituzione di servitù coattiva in caso di accoglimento dell’appello principale.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, pronunciata nei confronti di Z.T., nella qualità di erede di F.L., e di D.J.R. e B.V., ha respinto l’appello.

La corte, in particolare, ha rilevato come fosse “pacifico in causa che la stradina consente l’accesso a 8 numeri civici” e che “il passaggio per l’accesso a 8 numeri civici, fossero anche tutti residenziali, comporta evidentemente un transito non insignificante, potendosi ipotizzare che gli abitanti possano accedere personalmente anche più volte al giorno alle loro case, e vengano visitati da parenti ed amici, che potrebbero transitare a piedi, in bici o moto, anche con vetture di considerevole grandezza, come per es. i fuoristrada o suv, sostanzialmente di peso e ingombro analogo a quello di piccoli furgoni addetti al trasporto di vettovaglie e bibite per il ristorante”.

La corte, inoltre, ha ritenuto che la parte attrice non avesse provato l’esistenza di alcun aggravamento dovuto al passaggio dei mezzi per accedere alla proprietà degli appellati e – che la richiesta consulenza tecnica d’ufficio per provare il numero di avventori del ristorante fosse generica ed esplorativa e non potesse essere, di conseguenza, accolta.

La corte, poi, ha aggiunto che il preteso aggravio non risultava neppure dalle foto prodotte e che i capitoli di prova non potevano essere ammessi in quanto generici, valutativi ed inconferenti rispetto alle finalità di prova del preteso aggravamento.

La corte, infine, dopo aver evidenziato che il lamentato aggravamento sarebbe consistito dalla caduta di ghiaia e detriti nel fosso attiguo provocato dei mezzi di passaggio, con innalzamento del suo fondale, ha ritenuto che tale evenienza non appare necessariamente conseguenza del passaggio dei mezzi dei fornitori del ristorante, piuttosto che dei mezzi privati per l’accesso alle altre proprietà.

Z.T., con ricorso spedito per la notifica il 20/11/2015, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Hanno resistito, con controricorso spedito per la notifica il 30/12/2015, D.J.R. e B.V..

La ricorrente ed i controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato l’appello sulla base di una mera ipotesi nonchè di fatti inesistenti, non provati e mai rilevati dai convenuti.

1.2. La corte, infatti, ha osservato la ricorrente, ha ritenuto come fosse pacifico che la stradina consente l’accesso allotto numeri civici, laddove, al contrario, tale circostanza non è affatto pacifica, non è mai emersa nè risulta provata in giudizio, avendo i convenuti fatto un accenno ad essa solo nella replica alla conclusionale depositata in appello, e, comunque, come emerge dalla mappa catastale in atti, non corrisponde al vero poichè la stradina consente, in realtà, di accedere solo a quattro unità immobiliari, oltre alla casa che i convenuti hanno trasformato in ristorante.

1.3. La corte, inoltre, ha aggiunto la ricorrente, ha ritenuto che gli abitanti delle case che costeggiano la stradina vengono visitati da parenti ed amici, che potrebbero transitare a piedi, in bici o moto, anche con vetture di considerevole grandezza, come per es. i fuoristrada o suv, sostanzialmente di peso e ingombro analogo a quello di piccoli furgoni addetti al trasporto di vettovaglie e bibite per il ristorante, laddove, in realtà, mai nessuno ha fatto riferimento a fuoristrada o suv che transitano per la stradina oggetto di causa, mentre, al contrario, è ovvio e notorio che le merci arrivino al ristorante trasportate da furgoni.

1.4. La corte, infine, ha concluso la ricorrente, ha ritenuto che l’attrice non avesse fornito nè richiesto la prova dei pregiudizi lamentati, laddove, al contrario, l’attrice aveva dimostrato ed aveva chiesto di provare tali pregiudizi attraverso una perizia non contestata dalla controparte, le istanze istruttorie che la corte ha ritenuto irrilevanti e la richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio che accertasse il numero di avventori che accedono al locale, per il tramite della stradina, nel corso dell’anno, che la corte ha erroneamente respinto.

2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1067 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che non era stata fornita la prova del dedotto aggravamento, laddove, al contrario, è stato dimostrato che il fondo dei convenuti è collocato in una zona agricola ed era occupato da un’abitazione, e che gli stessi vi hanno realizzato un ristorante, con la conseguenza che, al posto di una o due automobili della famiglia che vi abitava, la stradina è ora quotidianamente percorsa da decine di autovetture dei clienti, oltre che dei fornitori.

2.2. Risulta, quindi, evidente, ha concluso la ricorrente, che la realizzazione sul fondo dominante, dove prima sorgeva un modesto immobile, di un ristorante, con l’inevitabile aumento del transito sulla stradina, costituisca, ai sensi dell’art. 1067 c.c., un aggravamento della servitù che grava sulla stessa.

3. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Questa Corte, invero, ha più volte affermato che la maggiore intensità di transito su una strada privata, soggetta a servitù di passaggio a favore di altro immobile, non determina di per sè l’aggravamento o la maggiore incomodità dell’esercizio della servitù precostituita sul fondo servente e che, pertanto, incombe agli interessati dimostrare l’avvenuta alterazione in loro danno dell’esercizio della servitù (Cass. n. 14015 del 2005; Cass. n. 11661 del 2018, in motiv.). Se, dunque, il mutamento di destinazione o la trasformazione del fondo che fruisce della servitù di passaggio determina sul fondo servente un maggior traffico a causa del più elevato numero di persone che vengono a trovarsi in condizione di esercitare il passaggio, non può, evidentemente, affermarsi che l’aggravamento della servitù sia in re ipsa, giacchè l’aggravamento può ritenersi sussistente solo nel caso in cui, tenuto conto dello stato dei luoghi, delle caratteristiche dei due fondi e di tutte le circostanze rilevanti, il transito di un maggior numero di persone risulti realmente dannoso per il fondo servente, e cioè dia luogo ad inconvenienti o molestie che, secondo la comune valutazione, siano economicamente apprezzabili come più gravose e che in precedenza non si verificavano e non erano prevedibili (Cass. n. 1567 del 1972). In effetti, come si evince dall’art. 1067 c.c., l’innovazione non costituisce di per sè aggravamento della servitù ma solo quando cagiona un apprezzabile pregiudizio, attuale o potenziale, “che rendono più gravosa la condizione del fondo servente” (Cass. n. 11661 del 2018). Ora, l’accertamento di tale pregiudizio, da svolgere caso per caso, configura un apprezzamento che, in quanto di fatto, è incensurabile in sede di legittimità, salvo che per vizio della motivazione, nei limiti attualmente consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La sentenza impugnata, infatti, ricade nella formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 quale risulta dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con la L. n. 134 del 2012. Ed è noto che, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), tale disposizione non contempla più il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della decisione circa un punto decisivo, ma una censura del tutto autonoma, che ha riguardo all’omesso esame di un fatto materiale, principale o secondario, risultante dagli atti ed avente carattere decisivo, idoneo a determinare un diverso esito del giudizio con carattere di certezza e non di mera probabilità del giudizio. Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Nel caso di specie, invece, la ricorrente non ha in alcun modo indicato il fatto o i fatti che, pur se dedotti in giudizio, la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare e che, ai fini invocati dalla stessa, sarebbero stati decisivi ai fini dell’accoglimento della sua domanda, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato i documenti e le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha escluso, in fatto, la sussistenza del lamentato pregiudizio, lì dove, in particolare, dopo aver evidenziato che il lamentato aggravamento della servitù di passaggio sarebbe consistito nella caduta di ghiaia e detriti nel fosso attiguo provocato dei mezzi di passaggio, con innalzamento del suo fondale, ha ritenuto che tale evenienza non appariva necessariamente conseguenza del passaggio dei mezzi dei fornitori del ristorante, piuttosto che dei mezzi privati per l’accesso (qualche che ne fosse il numero esatto) alle altre proprietà. Nè, infine, può rilevare la mancata ammissione, in quanto generica ed esplorativa, della consulenza tecnica d’ufficio richiesta per determinare il numero di avventori del ristorante, se non altro perchè, com’è noto, si tratta di un mezzo di prova che non esonera la parte attrice dall’onere di provare i fatti dedotti a fondamento della domanda proposta.

4. Il ricorso, in definitiva, dev’essere respinto.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

6. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma lquater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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