Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27518 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25990/2015 R.G., proposto da:

D.F.F., rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Actis,

con domicilio in Roma, alla Via della Frezza n. 59.

– ricorrente –

contro

O.V., E O.R., rappresentate e difese dall’avv.

Rita Paola Formichelli, con domicilio eletto in Roma, via Raffaele

Caverni, n. 6, presso lo studio dell’avv. Giannina Cutone.

– controricorrenti –

e

D.F.N..

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 897/2015,

depositata in data 8.7.2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13.9.2019 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.V. e R. hanno adito il tribunale di Sulmona, deducendo di esser proprietarie dell’immobile sito in (OMISSIS), censito al fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS), originariamente in titolarità di B.S., bisnonna delle attrici, poi trasmesso iure successionis a D.M.V., deceduta il (OMISSIS) e quindi a D.M.M., madre delle attrici. Alla morte di quest’ultima il bene era transitato in capo a O. e a R.V. per successione materna, avendo il loro genitore, O.F., rinunciato all’eredità della moglie.

Hanno dedotto che D.F.N. e F. avevano denunciato l’immobile nella successione di D.F.D., dichiarandosene titolari al 50% per intervenuta usucapione.

Hanno chiesto di dichiarare la loro piena ed esclusiva proprietà sul bene e di condannare i convenuti al rilascio.

Il tribunale ha accolto la domanda, con sentenza confermata in appello.

La Corte aquilana, ribadito che le attrici avevano proposto un’azione di petizione dell’eredità, ha stabilito che:

a) D.M.V. aveva accettato l’eredità di B.S., avendo posseduto il terreno in via esclusiva per un lunghissimo periodo di tempo, e lo aveva concesso in locazione a Di Franco Domenico ;.

b.l.e.p.-.p.s.-.a.Di Franco Maria ,.m.d.a.e.e.s.a.d.q.u.p.s.m.

c.g.a.n.a.u.l.p.Di Franco Domenico l.a.u.p.r.i.f.c.u.p.d.r.a.t.d.c.a.Orlando Filomeno ,.a.q.e.n.i.p.m.u.m.d.L.c.d.s.e.c.d.Di Franco Franca s.b.d.q.m.d.r.i.c.m.

Or.Ro. e V. hanno depositato controricorso.

D.F.N. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso la violazione degli artt. 533,948 c.c., art. 112 c.p.c., nonchè l’omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, le attrici avevano proposto un’azione di rivendica e non una petitio hereditatis, come poteva desumersi dalle allegazioni e della stessa intestazione dell’atto di citazione, e che, comunque, ai fini della corretta qualificazione della domanda, la Corte avrebbe dovuto tener conto delle difese dei convenuti, che avevano contestato l’intervenuta accettazione dell’eredità di B.S. da parte di D.M.V., nonna delle resistenti.

Il secondo motivo denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 460,476,1146 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della causa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la Corte di merito ritenuto che D.M.V., dante causa delle resistenti, avesse accettato tacitamente l’eredità di B.M., per il solo fatto di aver posseduto l’immobile controverso.

Inoltre, la circostanza che detta erede avesse concesso in detenzione l’immobile a D.F.D. non poteva considerarsi provata dalle dichiarazioni di D.F.M., inficiate dai rapporti di parentela con le parti, oltre che mentita dalle altre deposizioni testimoniali, non essendo emerso alcun elemento utile a dimostrare che la D.M.V. avesse conservato una qualche relazione materiale con il bene.

Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2697,533,948 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentando che la domanda doveva correttamente qualificarsi come rei vindicatio, occorrendo la prova rigorosa della proprietà da parte dei rivendicanti, prova che non poteva ritenersi raggiunta, stante l’irrilevanza della documentazione depositata in giudizio (visura storica dell’immobile, dichiarazione di successione, certificazioni anagrafiche, dichiarazioni di successioni e atti di notorietà).

Il rigoroso onere probatorio della rivendica non poteva considerarsi attenuato dalla riconvenzionale di usucapione, poichè il possesso era stato esercitato per circa un cinquantennio e, quindi, l’usucapione era maturata in data anteriore all’acquisto del bene da parte delle resistenti.

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1140,1141,1158 c.c., artt. 115,116 c.p.c. e l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza ritenuto, con motivazione gravemente carente, che D.F.D. avesse condotto l’immobile in fitto su concessione di O.F. o di D.M.V., benchè mancasse la prova del rapporto locativo. Dall’esame complessivo delle risultanze di causa e dal confronto tra le dichiarazioni di T.G. e D.F.M. era invece dato desumere che nessun compenso era stato versato a titolo di corrispettivo, poichè il raccolto di fieno aveva rappresentato un compenso ottenuto dai danti causa dei resistenti per la sola bonifica del terreno.

La circostanza che il bene fosse nel possesso pieno ed esclusivo di D.F.D. era inoltre provata dalla interclusione del fondo e dalla presenza di una recinzione, che rendevano impossibile l’utilizzo dell’immobile da parte degli intestatari.

Occorreva infine considerare che la coltivazione del fondo era idonea ad integrare l’esercizio del possesso ad usucapionem, possesso che non era stato mai interrotto e che era stato esercitato in modo pacifico e pubblico, come provato dalle dichiarazioni di M.I. e di Be.Gi..

2. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, che vertono su questioni

connesse, sono infondati.

La Corte d’appello, condividendo le conclusioni cui era giunto il tribunale, ha affermato che le resistenti avevano esperito una domanda di petizione ereditaria, avendo dedotto a fondamento del loro acquisto la qualità di eredi di D.M.V., ed ha evidenziato che D.F.F. e D.F.N. avevano denunciato il bene nella successione del loro padre D.F.D., vantando un inesistente titolo successorio.

Dall’esame degli atti si evince tuttavia che gli originari convenuti avevano sostenuto che l’immobile era stato acquisto per usucapione dal loro genitore D.F.D., non affermandosi – quindi eredi di D.M.V. (o di B.S.), ma opponendo un autonomo titolo di acquisto, perfezionatosi già in capo al proprio dante causa.

Sebbene tale deduzione fosse idonea a porre discussione la titolarità del bene in capo a D.M.V. e ad influire sulla natura della domanda principale (posto che sulla distinzione tra l’azione di petizione di eredita e quella di rivendica incide anche la posizione difensiva assunta dal convenuto, che – nel primo caso – non è in grado di opporre alcun titolo giustificativo, ovvero ne oppone uno che comporta l’attribuzione della qualità di erede, mentre – nell’altro – vanta un titolo diverso e specifico di legittimazione del proprio possesso: Cass. s.u. 1979/1974; Cass. 2248/1969; Cass. 2290/1980), è però da escludere che i resistenti fossero tenuti a adempiere all’onere della prova della proprietà risalendo ad un acquisto a titolo originario attraverso i successivi passaggi del bene. Non era difatti in discussione la piena ed esclusiva titolarità del bene in capo B.S., deceduta nel (OMISSIS) (che peraltro l’aveva posseduto per oltre quarant’anni) ed era quindi sufficiente, così come ritenuto dalla Corte distrettuale, la prova dell’accettazione dell’eredità da parte di D.M.V. (e dei successivi passaggi del bene in capo agli attori).

Il rigore dell’onere probatorio gravante su chi agisce in rivendicazione non è attenuato dalla proposizione di una domanda riconvenzionale o eccezione di usucapione da parte del convenuto solo quando detta domanda non sia formulata in modo da comportare il riconoscimento della titolarità del diritto dei “danti causa” dell’attore (cfr., Cass. 10815/1994).

Nel caso in cui non sia contestata la appartenenza ad un comune dante causa (Cass. n. 4975/2004) ovvero ad uno dei danti causa di chi agisce in rivendica (Cass. n. 8246/1997) l’attenuazione dell’onere probatorio consente al rivendicante di potersi limitare a dimostrare che il bene abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto e che gli sia pervenuto attraverso una serie ininterrotta di trasferimenti, ovvero che siano maturati in suo favore i presupposti dell’usucapione (Cass. n. 43/2000; Cass. 4784/1973; Cass. 25793/2016; Cass. 8215/2016; Cass. 7529/2006).

Avendo la sentenza accertato che D.M.V. aveva accettato l’eredità da B.S. e non essendo in contestazione che quest’ultima fosse titolare dell’immobile, era sufficiente, anche ai fini della rivendica, la prova dell’accettazione dell’eredità sia da parte della D.M., che degli ulteriori successori.

Riguardo a tale ultimo profilo, deve osservarsi che, come dedotto dalla Corte d’appello, se il possesso costituisce di norma atto neutro e non univocamente rivolto ad esercitare facoltà che presuppongono l’acquisto della qualità ereditaria, potendo giustificarsi per finalità meramente conservative o potendo dipendere da un atteggiamento di mera tolleranza degli eredi (Cass. 20868/2005; Cass. 12753/1999; Cass. 178/1996), non è tuttavia precluso al giudice il potere di apprezzarne la valenza nel contesto delle ulteriori risultanze processuali, essendo del tutto legittimo ritenere che il protrarsi del possesso del bene da parte di D.M.V. per un “periodo di lunghissima durata” (nella specie, dall’apertura della successione di B.S. nel 1968, a quella della stessa D.M., deceduta nel (OMISSIS)) abbia comportato l’acquisto dei diritti successori, con valutazione di merito sindacabile solo per vizi di motivazione (Cass. 7552/1986).

3. Il quarto motivo è infondato.

La censura, anche nella parte in cui prospetta vizi di violazione di legge, mira esclusivamente a contestare sul piano della coerenza, logicità e sufficienza, il giudizio di attendibilità dei testi che ha condotto la Corte di merito, anche sulla base delle altre evidenze processuali, a configurare la titolarità in capo al dante causa della ricorrente un potere di mera detenzione, come tale inidoneo a dar luogo all’usucapione dell’immobile.

Giova far rilevare che la valutazione delle prove, il giudizio di attendibilità dei testi e l’esame dei documenti, come la stessa selezione del materiale probatorio ritenuto utile a sostenere la decisione, sono rimessi al giudice di merito.

Non era necessario dar conto delle ulteriori risultanze istruttorie, utili, a parere della ricorrente, a sostenere la domanda di usucapione.

Spetta difatti al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti e di assegnare prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, non essendo tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (Cass. 194547/2017; Cass. 13485/014; Cass. 16499/2009).

Parimenti, l’accertamento della natura del potere di fatto esercitato da chi vanti l’acquisto per usucapione è questione di fatto, come tale insindacabile sotto i profili denunciati (Cass. 50/1979; Cass. 2119/1973; Cass. 880/1972).

Peraltro, la violazione di legge, qui dedotta, presuppone, per la sua stessa configurabilità, un errore di individuazione della norma applicabile o di sussunzione della fattispecie concreta, non essendo consentito contestare – da tale prospettiva – la valutazione delle prove o proporre una personale ricostruzione dei fatti di causa, in contrapposizione con quanto accertato dalla sentenza.

Le osservazioni dei ricorrenti riguardo agli esiti dell’istruttoria non possono trovare alcun avallo neppure alla stregua degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Dette norme sono invocabili allorchè il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali o considerato come facenti piena prova, recependoli senza vaglio critico, elementi soggetti a valutazione (Cass. 13960/2014; Cass. 11892/2016; Cass. 13960/2014), restando esclusa la possibilità di contestare – da tale prospettiva – il modo in cui il giudice abbia valutato le prove e le altre acquisizioni processuali (Cass. 27000/2016; Cass. 13960/2014; Cass. 20119/2009; Cass. 26965/2007).

3.1. L’accertata sussistenza di una concessione in godimento del bene controverso e quindi la configurabilità di un rapporto di detenzione giustificavano il rigetto della domanda di usucapione, essendo la coltivazione del fondo del tutto coerente con il titolo in base al quale il dante causa della ricorrente aveva utilizzato il fondo, mentre era irrilevante che l’utilizzo del bene da parte del detentore non fosse stato interrotto.

Occorreva, ai fini dell’usucapione, la prova dell’esercizio del possesso pieno ed esclusivo, non dimostrabile con la sola recinzione o interclusione del fondo, posto che, per quanto stabilito della sentenza, il fondo, nella sua conformazione oggettiva e nella condizione di interclusione, era stato dato in godimento al D.F., che quindi aveva facoltà di goderne in via esclusiva pur sempre in virtù di un titolo idoneo a dar luogo ad una mera situazione di detenzione.

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA