Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27516 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 21/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G., M.G., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato DELL’ERBA

GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato CORVAGLIA LUIGI;

– ricorrenti –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 149, presso lo studio dell’avvocato LANZILAO ANGELO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE MATTEIS GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 94/2006 del TRIBUNALE DI LECCE sezione

distaccata di MAGLIE, depositata il 21/04/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 1-7-2003 R.G., titolare dell’omonima ditta, conveniva in giudizio A.G., per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 2.065,82 (pari a L. 4.000.000), a saldo del corrispettivo dovutole per la vendita di una cucina componibile.

Nel costituirsi, il convenuto contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che l’acquisto era avvenuto con M.G., marito dell’attrice, al quale egli aveva versato il residuo prezzo.

All’udienza dell’11-11-2003 interveniva volontariamente M. G., il quale contestava di aver ricevuto il saldo di L. 4.000.000 portato dalla quietanza dell’8-6-2000 prodotta dal convenuto, di cui disconosceva il contenuto e la firma.

Con sentenza dell’11-2-2005 il Giudice di Pace di Otranto accoglieva la domanda dell’attrice.

Avverso la predetta decisione proponeva appello l’ A., eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione del M. ad intervenire in giudizio e dolendosi, nel merito, dell’erronea valutazione delle prove da parte del primo giudice.

Con sentenza depositata il 21-4-2006 il Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di Maglie, in accoglimento del gravame, dichiarava inammissibile l’intervento volontario di M.G. e rigettava la domanda proposta dalla R..

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono la R. e il M., sulla base di tre motivi.

L’ A. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 345 c.p.c. e il vizio di omessa motivazione. Deducono che, nel costituirsi in appello, essi avevano eccepito l’inammissibilità dell’eccezione di difetto di legittimazione del M. ad intervenire in giudizio, in quanto formulata per la prima volta dall’ A. con l’atto di appello. Rilevano che la Corte di Appello ha omesso di pronunciare su tale eccezione. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “La eccezione di difetto di legittimazione ad intervenire, mai sollevata nel giudizio di primo grado, può essere sollevata in appello senza violare il disposto dell’art. 345 c.p.c., comma 2?”.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, la Corte di Appello ha esaminato e ritenuto prive di fondatezza le deduzioni svolte dagli appellati circa l’inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., dell’eccezione di difetto di legittimazione del M. ad intervenire in giudizio, affermando, a pag. 4 della sentenza impugnata, che il rilievo del difetto di legittimazione del terzo ad intervenire in giudizio “è sottratto alla disponibilità delle parti trattandosi di questione relativa alla valida costituzione del rapporto processuale rilevabile in ogni stato e grado del giudizio”.

Non sussiste, pertanto, il denunciato vizio di omessa motivazione, avendo il giudice del gravame fornito adeguata giustificazione delle ragioni della sua decisione.

Nè ricorre la dedotta violazione di legge, avendo nella specie la Corte territoriale fatto corretta applicazione del principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui il difetto di legittimazione attiva o passiva attiene alla regolare costituzione del contraddittorio ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado dei procedimento, salvo che sulla relativa questione si sia formato il giudicato interno (Cass. 14-3-2006 n. 5515; Cass. 5-7-2004 n. 12286; Cass. 5-5-2003 n. 6787; Cass. 9-7-2001 n. 9289).

2) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’erronea applicazione dell’art. 105 c.p.c. Sostengono che la Corte di Appello, nel ritenere inammissibile l’intervento adesivo dipendente del M., ha violato il comma 2 della citata disposizione di legge, il quale consente al terzo di intervenire in un processo tra altre parti per sostenere le ragioni di alcune di esse, quando vi abbia un proprio interesse. Deducono che nella specie ricorrevano i presupposti per tale intervento, avendo l’ A., nel costituirsi in giudizio, eccepito di avere estinto il proprio debito per aver pagato la somma richiesta al M. e potendo, quindi, l’eventuale sentenza di accoglimento di tale eccezione avere riflessi sulla sfera giuridica dello stesso M., al quale la R. avrebbe potuto richiedere la restituzione della somma ricevuta in pagamento per suo conto. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Nel caso di specie, il sig. M.G. può essere considerato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 105 c.p.c., comma 2 titolare di un interesse giuridicamente tutelabile che lo legittimi ad intervenire in giudizio?” Il motivo è inammissibile, in quanto il quesito proposto non appare conferente e concludente, essendo privo di qualsiasi collegamento che consenta di precisare i termini della questione e di individuare quale fosse, in concreto, l’interesse che poteva legittimare l’intervento in giudizio del M..

Deve aggiungersi che la mancanza dell’interesse giuridico non è stata l’unica argomentazione su cui si è fondata la decisione di inammissibilità dell’intervento adesivo dipendente del terzo, avendo il Tribunale altresì evidenziato che l’interventore non si è limitato a sostenere le ragioni dell’attrice, ma ha proposto una domanda propria, che ha ampliato il tema del contendere tra le parti principali.

I ricorrenti hanno censurato solo la prima parte della motivazione, senza nulla dedurre riguardo a tale secondo rilievo, di per sè idoneo a sorreggere la decisione.

Ciò posto, va rammentato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi, come nel caso in esame, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (tra le tante v. Cass. 11-2-2011 n. 3386; Cass. 18-9- 2006 n. 20118; Cass. 27-1-2005 n. 1658; Cass. 12-4-2001 n. 5493).

Anche sotto tale profilo, pertanto, il motivo in esame si palesa inammissibile.

3) Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell’erronea applicazione dell’art. 2719 c.c. e della contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte di Appello, dopo aver dichiarato l’inammissibilità dell’intervento del M. e tamquam non esset il disconoscimento, da parte del medesimo, della quietanza a sua firma, riconosciuto a detta quietanza efficacia estintiva del debito, sul presupposto che la R. non aveva mai negato l’esistenza della ricevuta di pagamento a saldo e non aveva mai disconosciuto la conformità della copia di tale quietanza all’originale. Fanno presente che la R. non poteva disconoscere la quietanza prodotta dal convenuto, in quanto la stessa non era a sua firma.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

“Relativamente a scrittura prodotta in copia fotostatica proveniente da terzi può la parte contro cui è prodotta disconoscerla? E, nel caso di mancato disconoscimento, può la quietanza di pagamento sottoscritta dal terzo estraneo al rapporto obbligatorio assumere valenza di prova esaustiva del debito?” Anche tale motivo è inammissibile.

La Corte di Appello, nel ritenere acquisita la prova del pagamento del saldo da parte del convenuto, non si è limitata a dare atto del mancato disconoscimento, da parte dell’attrice, della conformità all’originale della copia della quietanza prodotta, ma ha altresì rilevato che il contenuto e la provenienza di tale quietanza hanno trovato conferma nella deposizione della teste Ga.Sa., da essa ritenuta attendibile.

Con il motivo in esame i ricorrenti hanno censurato solo la prima parte della motivazione, senza muovere alcuna doglianza in ordine alle ulteriori argomentazioni svolte nella sentenza impugnata riguardo alle risultanze della prova testimoniale, che in quanto dimostrative dell’avvenuto pagamento del prezzo residuo, si palesano di per sè idonee a sorreggere la decisione di rigetto della domanda attrice.

Anche in tal caso, pertanto, per considerazioni del tutto analoghe a quelle svolte in relazione al secondo motivo di ricorso, le censure mosse dai ricorrenti si rivelano inammissibili per carenza di interesse.

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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