Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27515 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 28/10/2019), n.27515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15611-2015 proposto da:

RO 4 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 22, presso lo studio

dell’avvocato ANGELA GEMMA, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCO GIOMO;

– ricorrente –

contro

NUOVA SOFIA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2750/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che la vicenda processuale può riassumersi nei termini seguenti:

– la s.r.l. RO 4 aveva chiesto condannarsi, ai sensi dell’art. 1385 c.c., la s.p.a. SO.FI.A., promittente alienante inadempiente d’un immobile, alla restituzione del doppio della corrisposta caparra, ovvero la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta, con ulteriore condanna al risarcimento del danno;

– il Tribunale, accolta la prima domanda, condannò la SO.FI.A. al pagamento del doppio della caparra;

– La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, sull’impugnazione della SO.FI.A., in riforma della sentenza di primo grado, accolta la domanda riconvenzionale della convenuta, rigettate tutte le domande dell’appellata, dichiarò legittimo il recesso dal contratto preliminare della promittente alienante SO.FI.A., legittimata a trattenere la caparra;

– la discrasia di giudizio tra la sentenza del Giudice di primo grado e quello d’appello consiglia, sia pure in sintesi, di riprendere gli argomenti svolti dalla sentenza di secondo grado:

a) il Tribunale, pur escluso che il termine entro il quale procedere alla stipula del definitivo potesse dirsi essenziale, tuttavia, aveva accertato grave inadempimento nella condotta della promittente alienante, la quale non aveva provveduto tempestivamente alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile;

b) la Corte d’appello, invece, esclude un tale asserto poichè, fermo restando la non essenzialità del termine, non posta in discussione dall’appellata, la promittente alienante si era fattivamente adoperata per l’adempimento della formalità, avendo tempestivamente ottenuto il consenso scritto degli istituti di credito in favore dei quali l’ipoteca era stata iscritta e addivenendo alla scontata cancellazione, avvalendosi di un incaricato per lo svolgimento degli incombenti burocratici, non molto dopo (1/9/2003) la data indicata nel contratto preliminare per la stipula del definitivo (31/5/2003);

c) nel bilanciamento delle reciproche condotte inadempienti, al Giudice dell’appello appare “ingiustificato e più grave il rifiuto della promissaria acquirente di pervenire alla stipula del contratto traslativo ritardato di un trimestre, senza altre modificazioni inerenti l’oggetto diretto della prestazione”, con la conseguenza che il recesso della promittente alienante risultava legittimo, con quel che ne conseguiva;

ritenuto che la s.r.l. RO 4 ricorre avverso la statuizione d’appello col supporto di due motivi, restando la controparte intimata;

che la ricorrente ha fatto deposito tardivo di memoria illustrativa;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 2878 c.c. e art. 2882 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sulla base di quanto segue:

– il mero consenso alla cancellazione degli istituti bancari, in favore dei quali era stata iscritta, era da intendersi riferito al solo an debeatur;

– in assenza della formale richiesta al competente conservatore la cancellazione non poteva operare;

– la controparte aveva violato uno specifico patto negoziale, con il quale la promittente alienante si era obbligata, non solo a raccogliere il consenso per la cancellazione, ma, altresì, ad effettuarla materialmente, e, pertanto, una tale clausola non poteva qualificarsi di mero stile;

– avere ciò ignorato ed erroneamente interpretato la statuizione negoziale costituiva omesso esame, censurabile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che il motivo è palesemente inammissibile per difetto di pertinente attitudine censuratoria, in quanto, impegnato in disquisizioni estranee al tema della decisione, non coglie la ratio decidendi:

– la sentenza non ha posto in dubbio la necessità della formale cancellazione, derivante dal patto negoziale, ma, ben diversamente, che il ritardo nell’effettuazione della stessa non era tale da giustificare il rifiuto della promissaria acquirente di addivenire alla stipula del contratto definitivo;

– è appena il caso di soggiungere che la considerazione di cui sopra rende evidente che la decisione non ha tralasciato di esaminare alcun fatto controverso e decisivo, ma, esattamente al contrario, vagliata per intero la vicenda, in tutti i suoi profili, come sopra ripreso, ha reputato “ingiustificato e più grave il rifiuto della promissaria acquirente di pervenire alla stipula del contratto traslativo ritardato di un trimestre, senza altre modificazioni inerenti l’oggetto diretto della prestazione”;

ritenuto che con il secondo motivo la RO 4 deduce violazione dell’art. 1457, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte locale “statuito in ordine alla essenzialità del termine, qualificando l’espressione “entro e non oltre” come clausola di stile”;

considerato che anche questo secondo motivo non supera il vaglio d’ammissibilità:

la questione non risulta essere stata riproposta in appello dall’appellata vincitrice in primo grado, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (cfr., da ultimo S.U. n. 7940, 21/3/2019), avendo, anzi, la sentenza d’appello espressamente escluso, incontrastata, che ciò sia avvenuto;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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