Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27513 del 10/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27513 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 17443-2012 proposto da:
A2A RETI GAS S.P.A. (già AEM DISTRIBUZIONE GAS E
CALORE S.P.A. C.F. 12883450152, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo studio
dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la rappresenta e


2013
2887

difende unitamente agli avvocati GILDA PISA, DAMOLI
CLAUDIO, CANTONE LORENZO, DELL’OMARINO ANDREA, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 10/12/2013

I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

SOCIALE, C.F. 80078750587, in persona del suo
Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.

DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
D’ALOISIO CARLA, SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO,
giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

EQUITALIA ESATRI S.P.A. C.F. 09816500152;
– intimata –

avverso la sentenza n. 199/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 05/03/2012 r.g.n. 2930/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/10/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
uditi gli Avvocati MAGRINI SERGIO e DAMOLI CLAUDIO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per il(15.-

WriartiOdel ricorso.

05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SVOLGIMENTO DEL FATTO
1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 1465/12 depositata il 5
marzo 2012, rigettava l’appello proposto dalla società A2A Reti Gas spa (già AEM
distribuzione gas e calore spa), nei confronti dell’INPS, in ordine alla sentenza n.
2930/08 del Tribunale di Milano.
2. Dinanzi al Tribunale di Milano era stato promosso da AEM distribuzione gas
e calore spa il giudizio avente ad oggetto opposizione alla cartella esattoriale, notificata

da ESATRI, emessa a favore dell’INPS per omissioni contributive riferite a CIG,
CIGS, mobilità e disoccupazione, per il periodo maggio-agosto 2005 ed il periodo
gennaio 2006-febbraio 2007, somme aggiuntive ed interessi.
3. Il Tribunale, quanto all’obbligo contributivo per CIG, CIGS e mobilità,
affermava l’erroneità della tesi dell’opponente secondo la quale essa società sarebbe
stata destinataria dell’esonero di cui all’art. 3 del d.lgs. C.P.S. n. 869 del 1947, per le
imprese industriali degli enti pubblici, in quanto società partecipata in quota pressoché
totalitaria da AEM, e, quanto ai contributi riferiti alla disoccupazione involontaria,
affermava l’inapplicabilità dell’esonero dalla relativa assicurazione obbligatoria
stabilito dall’art. 40, comma 2, del RDL n. 1827 del 1935 per impiegati, agenti e operai
stabili delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private quando ad essi sia
garantita la stabilità di impiego e dall’art. 36 del DPR n. 818 del 1957.
4. La Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’impugnazione assumendo, in
ordine ai contributi per CIG, CIGS e mobilità, che la società per azioni con
partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché
lo Stato e gli enti pubblici (Comune, Provincia, etc.) ne possiedono le azioni in tutto o
in parte.
Con riguardo al contributo per la disoccupazione, il giudice di secondo grado,
ha ritenuto che non poteva trovare applicazione l’esclusione dall’assicurazione, essendo
la società appellata una società privata che, come tale, doveva munirsi di un
provvedimento ministeriale di accertamento delle condizioni di stabilità dell’impiego
presso la stessa vigenti e, in difetto della quale, non poteva operare l’esclusione della
contribuzione in esame.
La Corte d’Appello richiamava in proposito quanto già statuito rispetto a AEM
Service srl, là dove si era affermato che si trattava di una società di servizi (customer
care, lettura consumi e fatturazione) che dal suo statuto non appariva necessariamente

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collegata ad un pubblico servizio e la cui attività non presenta di per sé alcun profilo
pubblicistico.
Né poteva ritenersi vigente il decreto a suo tempo rilasciato ad AEM, trattandosi
di provvedimento emesso rebus sic stantibus e non estensibile ad un soggetto diverso,
che svolge attività diversa, a distanza di quasi cinquanta anni. Né poteva assumere
rilievo che in altro contesto il Ministero avesse esteso alle società aventi causa da
ENEL il riconoscimento operato per l’ENEL.

In ogni caso, anche ove si ritenesse che l’appellante fosse un’azienda esercente
un pubblico servizio, era da escludersi che, in concreto, sussistevano le condizioni di
stabilità di impiego. Afferma la Corte d’Appello, come già affermato rispetto ad AEM
Service srl, che nel CCNL per le imprese di pubblici servizi del gas, dell’acqua e vari,
in data 17 novembre 1995, e nel CCNL imprese locali dei servizi elettrici del 9 luglio
1996, rispettivamente l’art. 51 e l’art. 46, non escludono la possibilità di ricorso al
recesso per giustificato motivo oggettivo, e anche il CCNL imprese gas/acqua, sembra
presuppone ipotesi di recesso per giustificato motivo oggettivo. Quanto al giustificato
motivo soggettivo non si ravvisava nella contrattazione collettiva una tassativa
previsione in materia di recesso che risultasse più restrittiva di quella ordinaria legale.
Concludeva la Corte d’Appello, quindi, che non esisteva la stabilità dell’impiego
richiesta dalla legge per escludere l’obbligo di contribuzione per disoccupazione
involontaria.
5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre A2A Reti Gas
spa (già AEM distribuzione gas e calore spa), nei confronti dell’INPS, di S.C.C.I.
Società di cartolarizzazione dei crediti INPS spa, di Equitalia Esatri spa, prospettando
cinque motivi di ricorso.
6. Resiste con controricorso l’INPS chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
7. In prossimità dell’udienza pubblica la ricorrente ha depositato memoria con la
quale ha ribadito le censure svolte e ha contraddetto le difese dell’INPS.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, relativo alle statuizioni della sentenza della
Corte d’Appello di Milano su contribuzione e aliquote CIG, CIGS e mobilità, è
prospettata violazione e falsa applicazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) con
riferimento agli artt. 3, comma 1, del d.lgs. C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, ratificato con
legge 21 maggio 1951, n. 498; art. 1, lettera c), della direttiva CE 18 giugno 1992, n. 50;
art. 2, comma 1, lettera b), comma 2 ed all. 7 del d.lgs. 17 marzo 1995 n. 157; direttiva
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CE 14 giugno 1993 n. 38; artt. 2, comma 2, 3 e 5, del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158; art.
2 della direttiva CE 26 luglio 2000, n. 52; art. 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. 11
novembre 2003, n. 333; art. 2093 cc; art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142; legge 23
dicembre 1992, n. 498; d.P.R. 16 settembre 1996, n. 533; art. 1, comma 2, del d.lgs. 30
marzo 2001, n. 165; art. 29 della legge 28 dicembre 2001, n. 448; art. 113 del d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267, come mod. dall’art. 14 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv.,
con mod., dalla legge 24 novembre 2003, n. 326; art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n.

308; art. 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662; decreto del Ministero del
lavoro e della previdenza sociale 27 novembre 1997, n. 447.
Omessa motivazione su un punto essenziale della controversia per travisamento
dei fatti. Violazione della normativa comunitaria come trasposta nel nostro
ordinamento nazionale con riferimento alla nozione di impresa pubblica ed ai requisiti
di applicabilità dell’esclusione prevista dall’art. 3 del d.lgs. n. 869 del 1947 e
travisamento dei fatti.
Espone la ricorrente come alla luce della disciplina comunitaria e alla disciplina
nazionale, sopra richiamate, il riferimento alle imprese industriali degli enti pubblici,
anche se municipalizzate, e dello Stato, contenuto nell’art. 3, comma 1, del d.lgs. C.P.S.
n. 869 del 1947, non può essere inteso come riferentesi solo alle società esercenti
servizi pubblici, a capitale totalmente pubblico e non anche a quelle a capitale
maggioritario pubblico o influenza dominante pubblica.
In particolare, nell’articolata deduzione, richiama la nozione di influenza
dominante quale tratto distintivo dell’impresa pubblica, secondo quanto previsto, nei
rispettivi ambiti, dalle direttive comunitarie n. 50 del 1992 e n. 52 del 2000. Tale
nozione è ripresa nelle direttive comunitarie nn. 17 e 18 del 2004.
Espone, altresì, la ricorrente come l’unicità della nozione di impresa non
esclude l’esistenza di diversità tra impresa pubblica ed impresa privata, come si evince
dall’art. 2093, ultimo comma, cc.
Non sarebbe, dunque, condivisibile l’affermazione che la società per azioni con
partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché
lo Stato o gli enti pubblici (Comune, Provincia, etc.) ne posseggano le azioni, in tutto o
in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona
dell’azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera nell’esercizio
della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico (è
richiamata la sentenza di questa Corte, Sezioni Unite civili, n. 7799 del 2005).
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Ad avviso della ricorrente, ciò che è rilevante non è il dato formale della
personalità giuridica privata e/o l’esercizio o meno di poteri autoritativi, al fine di
determinare una significativa alterazione del modello societario tipico, ma il dato
sostanziale dell’unitarietà economica e funzionale con il soggetto pubblico proprietario
di semplice maggioranza. Ciò sarebbe sufficiente a produrre un’alterazione del modello
societario, come evidenziato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 6 dicembre 2007
(cause C-464/04 e C-463/04). Inoltre si pone in evidenza come la giurisprudenza di

legittimità più risalente (Cass., n. 4600 del 1993, che affermava che nel nostro sistema
assistenziale e previdenziale la locuzione “imprese industriali degli enti pubblici” di cui
alla norma in esame, deve essere interpretata non già con criterio formalistico, bensì
riguardando la natura della persona giuridica considerata, e, quindi, nel caso di società
per azioni, se il capitale versato sia interamente di proprietà di enti pubblici e da essi
gestito, come posto in evidenza dallo stesso legislatore, lo Stato può ritenere più
conveniente, di volta in volta, adottare schemi operativi privatistici o pubblicistici),
invocata dall’INPS, deve essere letta in riferimento al contesto giuridico in cui veniva
pronunciata, atteso che il processo di privatizzazione delle aziende municipalizzate
degli enti locali veniva avviato solo a fronte del 1990.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione
di legge (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) con riferimento alla individuazione del soggetto
esercente un pubblico servizio. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116
cpc. Omessa o insufficiente motivazione su un punto essenziale della controversia ed in
particolare in relazione all’affermazione che manchi la natura strumentale, e che detta
strumentalità dell’attività svolta rispetto a quella generale di pubblico servizio non valga
a qualificare l’attività strumentale nell’ambito del pubblico servizio.
La ricorrente censura la statuizione della Corte d’Appello di Milano che ha
ritenuto che essa società appellante non fosse azienda esercente un pubblico servizio,
essendo a tal fine insufficiente la circostanza che la società svolgesse un’attività in
qualche modo strumentale rispetto al pubblico servizio di erogazione del gas e
dell’elettricità.
Deduce la ricorrente che non sono venuti meno a seguito della trasformazione
gli elementi pubblicistici che caratterizzavano AEM quale Azienda municipalizzata,
essendo AEM spa esercente attività di pubblico servizio, anche per l’attività svolta in
ragione dell’oggetto sociale, tenuto conto che ai sensi del d.lgs. n. 164 del 2000

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l’attività di distribuzione del gas naturale è attività di servizio pubblico. Né argomenti,
nel senso ritenuto dalla Corte d’Appello, erano stati offerti da essa ricorrente.
3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata omessa e/o insufficiente
motivazione su un punto essenziale della controversa (art. 360, comma 1, n. 5, cpc), con
riferimento alla esclusione del riconoscimento dell’esistenza di un provvedimento di
esonero con natura dichiarativa applicabile anche ad AEM distribuzione gas e calore
(ora A2A Reti Gas). Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc.

La sentenza della Corte d’Appello è censurata laddove nega che possa ritenersi
vigente il decreto a suo tempo rilasciato ad AEM di esonero, ex art. 40, n. 2, del RDL n.
1827 del 1935, per il riconoscimento in capo ad AEM da parte del Ministero del lavoro,
avvenuto con lettera del 10 luglio 1956, di un provvedimento attestante la “stabilità
dell’impiego” e, quindi, di esonero dal contributo disoccupazione, provvedimento
ministeriale che non era stato mai revocato e che doveva ritenersi produrre effetto di
esonero anche per AEM spa e per le società da essa derivate, per scorporo ovvero per
cessione di ramo d’azienda. La fattispecie in esame, ad avviso della ricorrente, ben
poteva trovare un precedente nell’estensione effettuata per le società derivate
dall’ENEL, dal momento che essa ricorrente nasceva nell’ambito di un riassetto
voluto ed imposto dal legislatore per pervenire alla liberalizzazione del mercato
dell’energia e del gas naturale, con la conseguenza del subentro, pro quota, anche
nell’esonero contributivo a suo tempo accordato ad AEM.
4. Con il quarto motivo di ricorso, relativo alla contribuzione per la
disoccupazione, è prospettata violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art.
360, comma 1, n. 3, cpc), con riferimento all’art. 36 del dPR 26 aprile 1957, n. 818.
Violazione e falsa applicazione di norme dei contratti collettivi (art. 360, comma 1, n.
3, cpc), con riferimento agli artt. 51, comma 1, e 21 del CCNL gas-acqua del 17
novembre 1995 e alle norme contenute nel Protocollo Federgasacqua (allegato CCNL
2002) – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc. Omessa e insufficiente
motivazione su un punto essenziale della controversia. La ricorrente censura la
statuizione della Corte d’Appello di Milano circa le condizioni di stabilità dell’impiego.
Ed infatti il cd. esodo agevolato presente nella contrattazione collettiva non
sarebbe altro che un esodo concordato tra le parti del contratto che dà luogo ad una
risoluzione consensuale del rapporto, a fronte del riconoscimento al lavoratore di un
corrispettivo. Non essendo previsto nella contrattazione e nella legge alcun caso già

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definito di possibile recesso a fronte del riconoscimento di una incentivazione che possa
attuarsi indipendentemente dalla volontà del lavoratore.
5. Con l’ultimo motivo di ricorso la società deduce violazione e falsa
applicazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) con riferimento all’art. 116, comma
15, lettera a), della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
Espone la ricorrente che quanto alle sanzioni civili, A2A Reti Gas nei giudizi di

merito ha sostenuto, in subordine, che si tratterebbe, nel caso in esame, di oggettive
incertezze derivanti da contrastanti orientamenti amministrativi e giurisprudenziali, con
la conseguente applicazione delle sanzioni ridotte previste dall’art. 116, comma 15,
della legge n. 388 del 2000.
La ricorrente censura la statuizione della Corte d’Appello di Milano che ritiene
condizione necessaria per l’applicazione di tale regime l’avvenuto pagamento dei
contributi interessati, nella specie non avvenuto.
Vi sarebbe, dunque, vizio di motivazione, attesa la presenza di contrastanti
orientamenti amministrativi in materia.
6. I primi quattro motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione.
Ed infatti, pur vertendo i primi due sulle statuizioni relative a CIG, CIGS e
mobilità ed il terzo ed il quarto sul contributo per la disoccupazione, assume rilievo
comune statuire, ai fini previdenziali, se la natura privata della società per azioni si
colori diversamente in presenza della partecipazione pubblica alla spa (che si rinviene
nel caso di esercizio di un servizio pubblico locale

in house)

o dell’influenza

dominante che può essere esercitata rispetto ad una spa dalla pubblica amministrazione.
7. I suddetti motivi non sono fondati e devono essere rigettati.
8. Questa Corte, con le sentenze nn.19087, 20818, 20819, 22318 del 2013, ha
già avuto modo di pronunciarsi con riguardo ad analoga fattispecie, confermando, con
articolate motivazioni, l’orientamento secondo cui la società partecipata non può
identificarsi con “le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di
natura essenzialmente privata nella quale l’amministrazione pubblica esercita il
controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, dovendosi altresì
escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello
schema societario, che la mera partecipazione — per maggioranza , ma non totalitaria,

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da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso
cui la gestione del servizio pubblico viene attuata”.
Questa Corte ha, quindi, affermato, nelle sentenze sopra citate, che la forma
societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti
consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento
giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato. Quindi le società per azione a

partecipazione pubblica vanno escluse dal concetto di “imprese pubbliche”.
A tale orientamento, che si condivide, questa Corte intende dare continuità,
anche in ragione delle ulteriori argomentazioni di seguito illustrate, che pongono in
evidenza come l’evoluzione della normativa comunitaria e nazionale promuova forme e
strumenti di natura essenzialmente non autoritativa per la gestione dei servizi pubblici
locali in house (rispetto alla quale, peraltro, si sta progressivamente sviluppando una
attività, a carattere strumentale, di d(tumer care) e di attività di impresa da parte delle
amministrazioni pubbliche, con la conseguente assunzione, da parte delle relative
società per azioni, della qualità di datori di lavoro di diritto privato ai fini
previdenziali.
9. Storicamente, può ricordarsi che il fenomeno delle società a partecipazione
pubblica ha visto lo Stato assumere la veste di imprenditore, in particolare, o a partire
dagli anni trenta del novecento, per poi passare negli anni novanta alla privatizzazione
formale di enti pubblici, sino a pervenire a fenomeni di esternalizzazione di attività
dell’amministrazione, al fine di rendere meno farraginosa l’azione amministrativa (cfr.,
Cass., S.U., ordinanza n. 19667 del 2003).
10. Come si vedrà, certo non è senza rilievo l’oggetto di servizio pubblico locale
dell’attività esercitata mediante società di diritto privato, e la partecipazione pubblica
alle stesse,

ma a fini diversi da quelli previdenziali che vengono qui in rilievo

(versamento contributi CIG CIGS, mobilità, disoccupazione),

preoccupandosi, il

legislatore comunitario e quello nazionale che non vengano lese le dinamiche della
concorrenza nel mercato e per il mercato, introducendo misure cd. antitrust, misure
legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura,
eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della
capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle
modalità di esercizio delle attività economiche; misure per favorire l’apertura del

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mercato alla concorrenza. garantendo i mercati ed i soggetti che in essi operano (cfr.
Corte cost., sentenza n. 430 del 2007).
11. Ciò tuttavia, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra
richiamata, non è dirimente ai fini previdenziali in esame, atteso che proprio il
passaggio della gestione dei servizi pubblici locali da soggetti pubblici (quali le aziende
municipaliizzate) a soggetti privati, anche se partecipati, incide sulla disciplina dei
rapporti di lavoro in modo significativo, e fa venir meno le condizioni

a cui il

legislatore ha connesso l’esclusione dal pagamento della contribuzione in questione.
12. Tanto premesso, si osserva che la Corte d’Appello di Milano non qualifica
l’attività svolta dalla ricorrente, attribuendo rilievo alla forma societaria di diritto
privato della stessa.
La Corte d’Appello, infatti, dopo aver ricordato di aver ritenuto (Corte di
Appello di Milano, sentenza n. 11 del 2011) AEM Service srl non esercente un
pubblico servizio in quanto svolgente un’attività di customer care, lettura consumi,
afferma che la ricorrente è società privata.
12.1. La ratio decidendi della pronuncia, dunque, va ravvisata nel ritenere
irrilevante la partecipazione pubblica in una società di diritto privato, ai fini del regime
previdenziale da applicare a detta spa.
12.2. Con riguardo all’oggetto dell’attività svolta dalla ricorrente, deve essere
considerato che, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 164 del 2000, l’attività di
distribuzione di gas naturale è attività di servizio pubblico.
L’art. 2, comma n), del medesimo d.lgs., a sua volta, definisce “distribuzione”:
il trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti.
A ciò si aggiunga che non è senza significato che la Corte di Giustizia nella
sentenza del 6 dicembre 2007, resa nei procedimenti riuniti C-463/04 e C-464/04,
citata dalla ricorrente, nell’esaminare il tema del diritto di nomina diretta degli
amministratori da parte del Comune di Milano, premetteva che AEM spa operava nel
settore dei servizi pubblici di distribuzione del gas e dell’energia elettrica affidatole in
gestione dal suddetto Comune.
12.3.Tenuto conto della ratio decidendi della pronuncia della Corte d’Appello di
Milano e dei motivi di ricorso, un compiuto vaglio di questi ultimi, in relazione alla
normativa di riferimento, richiede di soffermarsi sul rilievo che assume l’esercizio di un
pubblico servizio locale da parte di società per azioni partecipata, come avviene nel caso
di specie.
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13. A sostegno delle proprie tesi difensive, la ricorrente ha fatto riferimento alla
disciplina delle spa che esercitano servizi pubblici locali, all’impresa pubblica, alle
peculiarità del proprio modello societario, anche richiamando la già citata sentenza
della Corte di giustizia, cause C-464/04 e C-463/04.
Tali modelli, così come le cd. imprese strumentali,

presentano molteplici

peculiarità e pongono diverse problematiche proprio con riguardo agli effetti della
partecipazione pubblica, ma a fini diversi da quelli della contribuzione previdenziale,

per la quale permane l’esclusivo rilievo del carattere privato della società, come si vedrà
dalla ricognizione normativa che segue.
14. L’assetto originario dei servizi pubblici locali è stato delineato dall’art. 22
della legge 142 del 1990, poi confluito negli ara. 112 e 113 del d.lgs. n. 267 del 2000,
recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
L’art. 112 del T.U. afferma che gli enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la
produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione di fini sociali, nonché a
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
L’art. 113, così come formulato originariamente, prevedeva, indipendentemente
dalla rilevanza economica o meno dei servizi, la possibilità per gli enti locali sia di
ricorrere alla gestione in economia sia di affidare la gestione dei servizi pubblici locali
in concessione anche a società per azioni a prevalente capitale pubblico.
14.1. Successivamente l’art. 35 della legge n. 448 del 2001 sostituiva l’art. 113
ed introducendo l’art. 113-bis, provvedendo in tal modo a distinguere le formule da
adottare per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale da quelle per
la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale.
Tale riforma era stata resa necessaria al fine di assicurare l’apertura del mercato
dei servizi pubblici di rilevanza industriale ed il rispetto dei principi comunitari della
libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi e soprattutto della
libera concorrenza; infatti, il novellato art. 113 affidava la gestione dei servizi di
rilevanza industriale esclusivamente a società di capitali, abrogando la gestione in
economia che restava invece possibile per i servizi pubblici privi di rilevanza
industriale.
14.2. Tale novella veniva seguita da altri interventi legislativi, con una nuova
formulazione dell’art. 113 del d.lgs. 267 del 2000 ad opera dell’art. 14 del d.l. 269 del
2003 e dell’art. 4 della legge n. 350 del 2003.
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Dette norme sostituivano il criterio della rilevanza industriale con quello della
rilevanza economica.
14.3. In proposito si può ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 325 del 2010 e cioè che in àmbito comunitario non viene mai
utilizzata l’espressione «servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma solo
quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare,
negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in
base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex

multis, Corte di giustizia VE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla
Commissione europea, emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove
limitata all’àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno
«contenuto omologo» (Corte costituzionale, sentenza n. 272 del 2004).
14.4. Entrambe le suddette nozioni, interna e comunitaria, fanno riferimento
infatti ad un servizio che:
a) è reso mediante un’attività economica (in forma di impresa pubblica o
privata), intesa in senso ampio, come qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o
servizi su un determinato mercato;
b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche
“fini sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere
dalle loro particolari condizioni.
Le due nozioni, inoltre, assolvono l’analoga funzione di identificare i servizi la
cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante
affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica (citata sentenza
Corte cost. n. 325 del 2010).
Può osservarsi come la normativa comunitaria ammette la gestione diretta del
SPL da parte dell’autorità pubblica nel caso in cui lo Stato nazionale ritenga che
l’applicazione delle regole di concorrenza (e, quindi, anche della regola della necessità
dell’affidamento a terzi mediante una gara ad evidenza pubblica) ostacoli, in diritto od
in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art. 106 TFUE).
14.5. Successivamente al richiamato intervento del Giudice delle Leggi, è poi
intervenuto l’art. 23-bis del d.l. 112 del 2008, convertito dalla legge n.133 del 2008.
La disciplina dettata da tale norma si caratterizzava per il fatto che fissava una
normativa generale di settore, volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito
12

dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in
particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica,
consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui
regolamentazione veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, poi
adottato con il d.P.R. 7 settembre 2010 n. 168.
Tale disciplina superava il vaglio di legittimità costituzionale (sentenza Corte
cost. n. 325 del 2010), ma veniva abrogata dal referendum popolare dell’ 11 e 12 giugno

2011, realizzandosi, pertanto, l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle
norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi
di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i
servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)»
(sentenza Corte cost. n. 24 del 2011).
L’art. 4 del d.l. 138 del 2011 riprendeva in larga parte la disciplina abrogata per
via referendaria, sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla Corte
Costituzionale nella sentenza n. 199 del 2012, atteso il divieto di ripristino della
normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost.
14.6. All’azzeramento della normativa contenuta nell’art. 4 del d.l. n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 148 del 2011, ad opera della sentenza
della Corte Costituzionale n. 199 del 2012, è conseguito un effetto di semplificazione;
con la conseguente applicazione, nella materia dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, oltre che della disciplina di settore non toccata dalla detta sentenza, della
normativa e dei principi generali dell’ordinamento europeo, nonché di quelli affermati
dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e di quella nazionale.
14.7. Così riepilogato il quadro di riferimento normativo comunitario e
nazionale, si deve rilevare come una prima definizione giurisprudenziale della figura
dell’in house, è fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee
del 18 novembre 1999, causa C-107/98 — Teckal.
In quella sede si è affermato che non è necessario rispettare le regole della gara
in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un
“controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in
favore dell’ente pubblico di appartenenza.

13

14.8. Con la sentenza n. 50 del 2013, la Corte costituzionale ha, poi, affermato
che: la Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere
organizzativo delle autorità pubbliche degli Stati membri “auto produrre” beni, servizi o
lavori, mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente
conferente, siano legati a quest’ultimo da una “relazione organica” (il cd. affidamento

in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a soggetti in house si risolva in
una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che

impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la stessa
Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due
condizioni. La prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico (citata sentenza
18 novembre 1999, in causa C-107/98, Teckal).
15. Come si può rilevare, dunque, la finalizzazione della spa alla gestione in

house di un servizio pubblico locale, come nel caso di specie, non muta la natura
giuridica privata della società con riguardo alle ricadute previdenziali dei rapporti di
lavoro, ma assume rilievo nell’ordinamento nazionale e comunitario con riguardo al
mercato e alla tutela della concorrenza.
16. Né argomenti possono desumersi dal richiamo della nozione di impresa
pubblica che costituisce anch’essa categoria all’attenzione del legislatore comunitario,
che se ne occupa all’art. 86 del Trattato e poi negli artt. 101, 102 e 103 sul divieto di
facilitazioni finanziarie.
Il legislatore comunitario ha, infatti, previsto, e sotto questo aspetto l’ha
disciplinata, che essa non fosse sottratta, in virtù dei rapporti con i pubblici poteri, alle
regole del mercato imposte, indipendentemente dalla loro appartenenza, a tutte le
imprese: regole che valgono per tutti gli operatori economici e non ammettono deroghe
per le imprese pubbliche.
Non è senza significato, in proposito, che i caratteri distintivi dell’impresa
pubblica devono essere ricercati nelle direttive sulla trasparenza delle relazioni
finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche (direttiva 80/723 della
Commissione, successivamente modificata dalle direttive 2000/52 e 2005/81, ora
codificate nella direttiva 2006/111), che hanno posto l’accento sull’esigenza di
assicurare la parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e, a questi fini, sulla
necessità di una compiuta trasparenza circa le relazioni finanziarie intercorrenti tra
14

poteri pubblici nazionali e imprese pubbliche, in modo da distinguere chiaramente il
ruolo svolto dalla pubblica amministrazione quale potere pubblico e quello svolto dalla
stessa quale privato.
La qualifica di un soggetto come impresa pubblica prescinde perciò dal fine
perseguito, mentre assume valenza decisiva il legame tra l’impresa e la pubblica
amministrazione (intesa nella sua accezione più ampia, propria alla materia degli
appalti, comprensiva perciò anche dell’organismo di diritto pubblico) “dominante”.

Anche in questo caso, occorre rilevare, comunque, che il peculiare regime della
cd. impresa pubblica spa, non può determinare, ex sé, ricadute sul regime
previdenziale della spa medesima.
17. Infine si rileva come esuli, altresì, dal caso di specie la nozione di società
pubblica strumentale, attesa l’esclusione “dei servizi pubblici locali” sancita dall’art. 13
del d.l. n. 223 del 2006. La stessa destinata a produrre beni e servizi finalizzati alle
esigenze dell’ente pubblico partecipante, si distingue dalle società a partecipazione
pubblico-privata, esercitate secondo modelli paritetici, in cui il ruolo degli enti
territoriali corrisponde a quello di un azionista di una società per azioni (cfr., Consiglio
di Stato, Sezione VI, 11 gennaio 2013, n. 122).
18. Così ripercorso il quadro normativo di riferimento circa le modalità di
esercizio di un servizio pubblico locale tramite spa, rileva la Corte che non sussistono
le condizioni per escludere le contribuzioni per cui è causa.
19. L’art. 3, comma 1, del d.lgs. C.P.S. n. 869 del 1947, come modificato, ha
escluso da dall’applicazione delle norme sulla cassa integrazione guadagni una serie di
imprese e, fra queste, “le imprese industriali degli enti pubblici, anche se
municipalizzate , e dello Stato”.
In ragione di quanto sopra esposto, come già ritenuto da questa Corte, (Cass.
nn. 20818, 20819, 22318, 11417 del 2013, Cass., n. 14847 del 2009), la società
partecipata non può identificarsi con le imprese industriali degli enti pubblici
esonerate, trattandosi di società di natura essenzialmente privata nella quale
l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti
di diritto privato, e dovendosi escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria
rispetto a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione – pur
maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la
natura dell’organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata.

15

20. Quanto all’indennità di disoccupazione va ricordato che l’art. 40, comma 1,
n. 2, del R.D.L. n. 1827 del 1935, sanciva che non sono soggetti all’assicurazione
obbligatoria per la disoccupazione involontaria “gli impiegati, agenti e operai stabili di
aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici
servizi e di quelle private, quando ad essi sia garantita la stabilità d’impiego”.
L’art. 32 della legge n. 264 del 1949, ha poi stabilito, al comma 1, lettera b),
che l’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione era esteso agli impiegati,

anche delle pubbliche amministrazioni, cui non fosse garantita la stabilità dell’impiego,
senza limite di retribuzione.
L’art. 36 del d.P.R. n. 818 del 1957, nel testo originario, stabiliva che ai fini
dell’applicazione dell’articolo 40, n. 2, del d.P.R. n. 1827 del 1935 e dell’art. 32, lettera
b), della legge n. 264 del 1949, la sussistenza della stabilità dell’impiego, quando non
risultava da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale
dipendente dalle pubbliche amministrazioni, dalle aziende pubbliche e dalle aziende
esercenti pubblici servizi, era accertata in sede amministrativa su domanda del datore di
lavoro, con provvedimento del Ministro del lavoro e la previdenza sociale decorrente a
tutti gli effetti dalla data della domanda medesima.
Detto art. 36 è stato modificato dall’art. 20, comma 5, del d.l. n. 112 del 2008,
convertito dalla legge n. 133 del 2008, che ha soppresso le parole “dell’articolo 40, n.2,
del d..P.R n. 1827 del 1935”.
Il medesimo art. 20 del d.l. n. 112 del 2008, al comma 4, ha abrogato l’art. 40, n.
2 del R.D.L. n. 1827 del 1935, prevedendo (al successivo comma 5) che l’estensione
dell’obbligo assicurativo, di cui al comma 4, si applicava con effetto dal primo periodo
di paga decorrente dal 1° gennaio 2009.
L’art. 40 è stato poi abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dall’art. 2,
comma 69, lettera c), della legge n. 92 del 2012.
Le richiamate sopravvenienze normative non incidono sulla fattispecie in esame
atteso il periodo di contribuzione in contestazione (maggio-agosto 2005, gennaio 2006febbraio 2007).
20.1. Così riepilogato la disciplina di settore, non è fondato il motivo con il
quale, nel censurare la statuizione della Corte d’Appello di Milano, la ricorrente tende
a far derivare l’esonero della richiesta di contribuzione da un provvedimento emesso
dall’Autorità amministrativa in favore di AEM, in quanto lo stesso dovrebbe ritenersi

16

produrre effetto esonerativo anche per AEM spa e per le società da essa derivate, per
scorporo ovvero per cessione di ramo d’azienda.
Come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello, nel caso di specie, detto
provvedimento di accertamento era legato alla condizione dell’Azienda esaminata in
relazione alla soggettività specifica del datore di lavoro, come esistente al momento
dell’accertamento ed alle condizioni ivi verificate, con impossibilità di trasferire detto
provvedimento in capo ad altri soggetti economici (Cass., n. 20818 del 2013).

Peraltro, in presenza di trasferimento d’azienda, trova applicazione l’art. 2112
cc, che persegue lo scopo di garantire ai lavoratori la conservazione dei diritti in caso di
mutamento dell’imprenditore assicurando la continuità del rapporto di lavoro nei
confronti dell’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del
trasferimento. È estranea, invece, alla tutela da essa offerta la garanzia di continuità
delle prerogative della struttura aziendale riconosciute alla parte imprenditoriale
dall’autorità amministrativa, atteso che dette prerogative sono condizionate alla
permanenza dei requisiti richiesti dalla legge per il loro riconoscimento.
20.2. Sempre con riguardo al requisito della stabilità dell’impiego, passando
all’esame del motivo di ricorso attinente alla violazione delle disposizioni collettive,
come questa Corte ha più volte affermato, nel giudizio di legittimità le censure relative
all’interprelazione di un contratto o di un accordo collettivo offerta da parte del giudice
di merito possono essere prospettate sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri
legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della
motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal
ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non riveste alcuna utilità ai fini
dell’annullamento di quest’ultima (da ultimo, Cass., n. 14318 del 2013).
La denuncia della violazione delle regole di ermeneutica richiede una specifica
indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la
violazione anzidetta, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la
qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di
un’interpretazione diversa da quella criticata.
La Corte territoriale ha, invero, correttamente interpretato la disciplina del
recesso prevista dalla contrattazione collettiva, ricostruendo l’intenzione delle parti sulla
base delle parole e della loro connessione e interpretando il dato testuale degli ara. 51 e
21 CCNL attraverso un esame delle clausole contrattuali complessivamente rilevanti in
materia, mettendo in evidenza come si vertesse in ipotesi di recesso inerenti la persona
17

del lavoratore, non potendosi per ciò solo ritenere escluso il ricorso al recesso per
giustificato motivo oggettivo come generalmente regolato dalla legge.
21. Anche il quinto motivo di ricorso non è fondato.
La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto la non applicabilità del comma 15,
lettera a) , dell’art. 116 della legge n. 388 del 2000, che stabilisce l’applicazione di un
regime più favorevole per il calcolo delle sanzioni civili, “per le oggettive incertezze
connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o

successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla
particolare rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla
inadempienza”, atteso che condizione per ottenere l’applicazione del più favorevole
regime di calcolo delle somme aggiuntive, è l’avvenuto versamento dei contributi
interessati, dal momento che tale circostanza non si era verificata nel caso di specie.
Tale statuizione trova riscontro nella lettera della legge, atteso che il citato
comma 15, pone come premessa per “la riduzione delle sanzioni civili di cui al comma
8”, in presenza delle suddette incertezze, “l’integrale pagamento dei contributi e dei
premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali”.
22. Il ricorso deve essere rigettato.
23. Sussistono le condizioni di cui all’art. 92 cpc per compensare tra le parti
costituite le spese di giudizio in ragione della complessità delle questioni sottoposte
all’esame della Corte.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti costituite le spese del presente
giudizio.
Roma, 15 ottobre 2013

Il Prqsidentectiutrwn.

Il Consigliere estensore

determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo

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