Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27512 del 10/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27512 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA

sul ricorso 22927-2010 proposto da:
D’ANSELMO

ROMANO

C.F.

DNSRMN41E25L922X,

già

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRATTINA 89,
presso lo studio dell’avvocato BROCCHI LEONELLO, che
lo rappresenta e difende giusta delega in atti e da
ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
2013

SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente –

2862

contro

LA BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA C.F. e P.I.
00884060526, “Gruppo Bancario MONTE DEI PASCHI DI

Data pubblicazione: 10/12/2013

SIENA”, soggetto incorporante la S.P.A. MPS BANCA
PERSONALE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO
6, presso lo studio dell’avvocato LUCONI MASSIMO,
rappresentata e difesa dall’avvocato LUISA

– controri corrente –

avverso la sentenza n. 437/2009 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 18/09/2010 r.g.n. 257/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/10/2013 dal Consigliere Dott. ROSSANA
MANCINO;
udito l’Avvocato BALDASSARRE LUISA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

BALDASSARRE, giusta delega in atti;

r.g.n.22927/2010 D’Anselmo Romano c/Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.(incorporante M.P.S. Banca Personale s.p.a.)
ud 10 ottobre 2013

L

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 18 settembre 2009,
rigettava il gravame svolto da D’Anselmo Romano avverso la
sentenza di primo grado che aveva respinto, in contraddittorio con la
M.P.S. Banca Personale s.p.a., la domanda volta alla declaratoria del
diritto del D’Anselmo a percepire il premio di fedeltà e l’indennità di
fine rapporto ex art. 1751 c.c.

2. A sostegno del decisum la Corte di merito, per quanto qui rileva,
riteneva che:
alla stregua del tenore letterale del negozio inter partes del
29/7/1999, novativo del precedente contratto del 21/5/1999, e
delle pattuizioni ivi introdotte, al momento in cui il diritto al
premio di fedeltà era divenuto esigibile, il d’Anselmo aveva già
esercitato il suo diritto al recesso, per cui il rapporto si stava
avviando alla definitiva risoluzione (versando nel periodo di
preavviso), e ciò precludeva il nascere del diritto al premio in
oggetto;
quanto all’indennità di cessazione del rapporto, contemplata
dall’art. 1751 c.c., il d’Anselmo non aveva osservato il relativo
onere allegatorio e probatorio, in particolare con riferimento alla
permanenza di sostanziali vantaggi per la preponente (circostanza
alla quale non si riferiva la prova testimoniale articolata) e alla
giustificatezza del recesso per ragioni attribuibili alla preponente
(indimostrati l’idoneità del clamore mediatico evocato a minare la
fiducia e la credibilità della preponente ed i riflessi pregiudizievoli
sulla progressiva perdita della clientela in capo all’agente, tanto da
costringerlo a recedere dal rapporto) tanto più che mai il
d’Anselmo aveva mostrato disagio in ordine alla condotta della
Banca.
3. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione D’Anselmo
Romano con due motivi, ulteriormente illustrato con memoria; resiste,
Rossana Mancino est.
rgn 22927/201() D’Anselmo Romano c/ Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., incorporante la M.P.S. Banca Personale s.p.a.

Svolgimento del processo

con controricorso, la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.,
incorporante la M.P.S. Banca Personale s.p.a.

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo violazione
degli artt. 1362, 1362, 1366, 1370 c.c., in punto di interpretazione
dell’art. 6 del contratto inter partes, degli artt. 115 e 244 c.p.c. e vizio di
motivazione, si duole che il Giudice del merito abbia interpretato la
clausola contrattuale in contrasto con i principi di correttezza e buona
fede.
5. Osserva il Collegio che la censura, peraltro affidata a considerazioni
del tutto generiche, è per lo più incentrata sulla critica
all’interpretazione data dalla Corte di merito ad un pattuizione che, in
violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c. non risulta allegata, né la parte
ricorrente ha indicato ove risulterebbe allegata nelle fasi di merito.
6. Invero, secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa
Corte, a seguito della riforma ad opera del d.lgs. n. 40/2006, il
novellato art. 366, n. 6, c.p.c., oltre a richiedere la “specifica”
indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso,
esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur
individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione,
quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si
individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione
dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., anche che esso sia prodotto
in sede di legittimità (cfr, exp/urimis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass.,
n. 20535/2009).
z La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente
ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369, secondo comma,
n. 4, c.p.c., deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti
contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del
fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il

Rossana Mancino est.
rgn 22927/2010 D’Anselmo Romano c/ Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., incorporante la M.P.S. Banca Personale s.p.a.

Motivi della decisione

8. II ricorrente non ha adempiuto a tali oneri, poiché non ha fornito nel
ricorso la specifica indicazione dei dati necessari al reperimento del
contratto inter partes e della relativa clausola su cui si fonda il motivo,
discendendone l’inammissibilità del mezzo d’impugnazione.
9. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli
artt.1751 e 2697 c.c., e vizio di motivazione, il ricorrente si duole che
la Banca non aveva assolto l’onere di dimostrare i fatti giustificativi del
suo comportamento inadempiente. Si duole del mancato
approfondimento, nel giudizio d’appello, della questione relativa alla
tempestività o meno del recesso e delle doglianze da lui sollevate.
Assume, inoltre, che l’art. 1751, terzo comma, c.c. non presuppone un
recesso per giusta causa, ma una semplice giustificazione in termini di
attribuibilità della scelta di recedere al soggetto preponente e che grava
sul promotore l’onere dimostrativo dell’intervenuto adempimento
della propria prestazione e della decisione di interrompere il rapporto
per fatto attribuibile alla preponente, incombendo sul promotore
esclusivamente l’onere di dedurre l’inadempimento della mandante.
/o. La censura svolta nei termini esposti si risolve, inammissibilmente,
nella critica all’accertamento in fatto, genericamente evocando la prova

orale non ammessa nel giudizio di gravame al fine di dimostrare la
propugnata tesi difensiva e così, implicitamente, ammettendo
l’inidoneità della ponderosa produzione documentale consistita in
articoli di stampa, pure evocata.
n. Peraltro la doglianza non coglie comunque nel segno, visto che non
censura adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata,

imperniata sulla mancata osservanza, da parte del promotore, degli
oneri allegatori e probatori dei presupposti, a mente dell’art. 1751 c.c.,
per l’insorgenza del diritto, vale a dire la permanenza, per la Banca

Rossana Mancino est.
rgn 22927/2010 D’Anselmo Romano c/ Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., incorporante la M.P.S. Banca Personale s.p.a.

ricorso si fonda, ferma in ogni caso l’esigenza di specifica indicazione,
a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei
documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass.,
SU, n. 22726/2011).

12

Né la doglianza investe, con adeguata devoluzione della censura in
questa sede di legittimità, l’ulteriore presupposto negativo con
riferimento al quale gli oneri allegatori e probatori sono rimasti
inadempiuti, vale a dire che il rapporto non si fosse risolto per recesso
dell’agente a meno che tale recesso fosse stato giustificato da
circostanze attribuibili alla preponente.

13.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza
e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese, liquidate in curo 100,00 per esborsi, oltre euro 3.000,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di
promozione.

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