Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27511 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. II, 02/12/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 02/12/2020), n.27511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23316/2019 proposto da:

E.S., elettivamente domiciliato in PIAZZA REVENET 1/B

PARMA, presso l’avv. CLAUDIA PEZZONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, PREFETTURA DI PARMA elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 141/2019 del GIUDICE DI PACE di PARMA,

depositata il 13/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Con ricorso D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 18, E.S. proponeva opposizione avverso il provvedimento di espulsione adottato nei suoi confronti dal prefetto di Parma il 30 aprile 2019, con contestuale disposizione dell’accompagnamento coattivo alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

Il Giudice di pace di Parma, con ordinanza 13 giugno 2019, n. 141, rigettava il ricorso.

2. Contro la sentenza E.S. ricorre per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7.

Resistono con controricorso il Ministero dell’interno e la Prefettura di Parma.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

a) Il primo motivo lamenta “nullità dell’ordinanza per insufficiente e/o errata motivazione in ordine alla nullità del decreto di espulsione, per omessa sottoscrizione del medesimo da parte del prefetto di Parma e incompetenza del vice prefetto aggiunto”: il documento depositato dalla Prefettura prevede la delega “in caso di assenza o di impedimento, anche temporanei”, del prefetto, ma nel provvedimento emesso nel caso di specie non è indicata “alcuna concreta motivazione in merito alla necessità di delegare il vice prefetto”, con conseguente nullità della delega.

Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la carenza di delega in favore di un vice prefetto determina, al pari della mancata sottoscrizione del decreto di espulsione, l’illegittimità del provvedimento di espulsione (cfr., da ultimo, Cass. 5873/2020), ma la sottoscrizione del delegato non deve essere accompagnata dalla sua giustificazione, prescrizione che d’altro canto non è ricavabile dalla giurisprudenza richiamata dal ricorrente.

b) Il secondo motivo denuncia “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5”: “il Giudice di Pace era tenuto a valutare l’eventuale ricorrenza delle condizioni ostative all’espulsione di cui all’art. 19, comma 1, legate al pericolo di persecuzione dello straniero nel paese d’origine e ciò non ha fatto”, avendo il giudice escluso che sussistessero le condizioni per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è infondato. Le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 22217/2006, hanno chiarito che il provvedimento di espulsione dello straniero è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge. Tuttavia, la norma invocata in ricorso, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, stabilisce che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Questa Corte (cfr. Cass. 9762/2019) ha così affermato che l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal citato art. 19 “postula che il giudice di pace, in sede di opposizione alla misura espulsiva, esamini e si pronunci sul concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di subire persecuzione o trattamenti inumani e/o degradanti in ipotesi di rimpatrio nel paese di origine” (v. pure Cass. 3875/2020, nonchè Cass. 3898/2011, secondo cui dell’art. 19, comma 1, introduce “una misura umanitaria a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice”, cfr. ancora la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 14 maggio 2019, nelle cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17, ove la Corte UE ha precisato che l’art. 21, par. 2, della direttiva 2011/95, sulle garanzie relative al respingimento, deve essere interpretato e applicato in osservanza dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in particolare dei suoi artt. 4 e 19, par. 2, che vietano in termini perentori la tortura nonchè le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, così come l’allontanamento verso uno Stato in cui esista un rischio serio di essere sottoposto ai trattamenti vietati, cosicchè il principio di non refoulement non può soffrire eccezioni nemmeno nel caso in cui lo straniero sia un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico o abbia commesso gravi reati).

Ora, il Giudice di Pace, ha esaminato e si è pronunciato sul concreto pericolo a cui sarebbe esposto E.S. in caso di rimpatrio. A fronte della allegazione del ricorrente della sua esposizione a grave pericolo in caso di rimpatrio a causa della situazione della Nigeria e in particolare dell’area da cui proviene, l’Edo State, il Giudice ha rinviato l’udienza per consentirgli di produrre “ogni documento atto alla valutazione della sussistenza della circostanza lamentata”. Il Giudice ha quindi concluso escludendo che vi sia “alcuna situazione soggettiva di pericolo in caso di rimpatrio”, avendo il ricorrente unicamente indicato “la situazione in essere nel paese d’origine quale motivo che ne impedisce il rimpatrio”, situazione che il Giudice ha analiticamente analizzato attraverso la lente dei parametri necessari per ottenere la c.d. protezione sussidiaria e il rilascio del permesso per motivi umanitari (pp. 5-11 del provvedimento impugnato), protezione che è d’altro canto stata richiesta da E.S. e che è stata negata dalla competente Commissione e poi dal Tribunale di Milano, con pronuncia confermata dalla Corte d’appello.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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