Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27510 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8789/2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI e MAURO RICCI;

– ricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

28, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIRCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA GABRIELLA DEL ROSSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1069/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/09/2013, R.G.N. 236/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 26.9.2013, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato l’INPS a corrispondere a F.C. l’assegno ordinario d’invalidità;

che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo due motivi di censura;

che F.C. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione dell’art. 414 c.p.c., per avere la Corte di merito deciso sulla scorta della relazione di consulenza tecnica effettuata in prime cure, nonostante che essa fosse stata redatta avvalendosi di documentazione non previamente allegata al ricorso introduttivo del giudizio nè altrimenti ritualmente acquisita;

che, con il secondo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 43, per avere la Corte territoriale riconosciuto la spettanza dell’assegno ordinario d’invalidità nonostante che le patologie invalidanti fatte valere in giudizio fossero le stesse per le quali l’assicurato gode di rendita a carico dell’INAIL;

che il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità, non precisandosi in ricorso nè in quale fase del giudizio di primo grado sarebbe stata sollevata l’eccezione di decadenza dalla produzione documentale nè in che modo essa sarebbe stata coltivata in appello, e non potendo, in mancanza di tali precisazioni, darsi ingresso in questa sede alla censura, dal momento che, quand’anche si volesse ritenere che una specifica eccezione in prime cure non fosse necessaria, in ragione della rilevabilità d’ufficio della tardività della produzione per le note ragioni di ordine pubblico processuale (cfr. in tal senso Cass. S.U. n. 8202 del 2005), essa avrebbe comunque dovuto essere proposta in appello, stante il non meno noto principio della conversione delle nullità in mezzi di gravame di cui all’art. 161 c.p.c. (Cass. n. 20678 del 2016);

che il secondo motivo è infondato, essendosi chiarito che il presupposto del medesimo evento invalidante posto a base del divieto di cumulo di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 43, si verifica solo in situazioni di invalidità connotate da completa sovrapponibilità, ossia quando la prestazione a carico dell’INAIL e quella per l’invalidità pensionabile o per l’assegno di invalidità a carico dell’INPS siano fondate sullo stesso quadro morboso, potendo ipotizzarsi solo in tal caso quella duplicazione di tutela che giustifica la scelta legislativa di un unico intervento del sistema di sicurezza sociale (così da ult. Cass. n. 5613 del 2016, sulla scorta di Cass. n. 5494 del 2006), ed avendo la Corte di merito accertato che detta piena sovrapponibilità non sussiste nel caso di specie, in ragione del concorso di ulteriori patologie in aggiunta a quelle per le quali l’assicurato gode di rendita a carico dell’INAIL per invalidità permanente parziale;

che a diverse conclusioni non può giungersi nemmeno considerando che, nella specie, i postumi invalidanti già indennizzati dall’INAIL sarebbero di per sè soli sufficienti ad attingere la soglia invalidante necessaria per la prestazione a carico dell’INPS, mentre non altrettanto potrebbe dirsi per le patologie dalle quali è ulteriormente gravato l’odierno controricorrente, essendosi precisato che, qualora il legislatore avesse voluto ricomprendere nell’anzidetto divieto anche la parziale sovrapposizione delle cause, avrebbe dovuto introdurre, per le prestazioni erogate dall’INPS, un meccanismo di riproporzionamento del complessivo quadro invalidante di volta in volta riscontrato agli apporti in percentuale delle singole infermità che lo hanno prodotto, così da fornire criteri certi per identificare la misura dell’incidenza obiettivamente assunta dall’evento indennizzato dall’INAIL e poter conseguentemente stabilire quanta parte della rendita infortunistica vada sottratta dall’ammontare del trattamento previdenziale INPS, mentre è noto che, nell’attuale sistema, la valutazione della menomazione della capacità lavorativa, ai fini dell’accertamento del diritto alle prestazioni di invalidità o di inabilità a carico dell’INPS, è un giudizio sintetico, per esprimere il quale le varie patologie non possono essere considerate singolarmente e l’una indipendentemente dalle altre, dovendo invece compiersene una valutazione complessiva con riferimento alla loro incidenza sull’attività svolta in precedenza dall’assicurato e su ogni altra confacente (così espressamente Cass. n. 10810 del 2003, già debitamente valorizzata dalla sentenza impugnata);

che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza e si distraggono in favore del difensore di parte controricorrente, antistatario;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, debbono ritenersi sussistenti i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, e si distraggono in favore del difensore di parte controricorrente, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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