Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2751 del 06/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2751 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 16643-2009 proposto da:
MARINO PAOLO C.F. MRNPLA62A24F839V, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 7, presso lo studio
degli avvocati SOLFANELLI ANDREA e D’ONOFRIO SARA, che
lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
3255

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.;

intimata

Nonché da:
RAI

RADIOTELEVISIONE

ITALIANA

S.P.A.

C.F.

Data pubblicazione: 06/02/2014

06382641006, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli
avvocati SCOGNAMIGLIO RENATO e SCOGNAMIGLIO CLAUDIO,
che la rappresentano e difendono giusta delega in

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

MARINO PAOLO C.F. MRNPLA62A24F839V, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 7, presso lo studio
degli avvocati SOLFANELLI ANDREA e D’ONOFRIO SARA, che
lo rappresentano e difendono giusta delega077-a79

íve. Zr .47

c

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1606/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 02/07/2008 r.g.n. 8250/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato SOLFANELLI ANDREA;
udito l’Avvocato SAMGERMANO FRANCESCO per delega
SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’accoglimento del principale e rigetto
dell’incidentale.

atti;

SVOLGIMENTO DEL FATTO
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1606/2009, accoglieva
l’appello proposto dalla società RAI spa, nei confronti di Marino Paolo, in ordine alla
sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 17-20 dicembre 2004, e respingeva la
domanda proposta da quest’ultimo nel giudizio di primo grado.
2. Marino Paolo aveva adito il Tribunale esponendo quanto segue.
Assumeva di aver lavorato alle dipendenze della società RAI in forza di dieci
successivi contratti a termine stipulati tra il 1991 ed il 2002, con mansioni e qualifica
di assistente alla regia, e deduceva che i suddetti contratti erano stati stipulati in
violazione dell’art. 1, comma 2, lettera e), della legge n. 230 del 1962, come mod. dalla
legge n. 266 del 1977, e dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987. Deduceva, quindi,
l’illegittimità del termine e la conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a
tempo indeterminato.
3. Il Tribunale accoglieva il ricorso.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il Marino
prospettando quattro motivi di ricorso, assistiti dai prescritti quesiti di diritto.
5. Resiste la società RAI con controricorso e ricorso incidentale condizionato,
articolato in tre motivi, assistiti dai prescritti quesiti di diritto, al quale ha resistito il
Marino con controricorso.
6. La società RAI ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre premettere che la Corte d’Appello riteneva che le dimissioni per
esigenze personali rassegnate dal Marino prima della conclusione del contratto 15
settembre 2000 – 15 giugno 2001, ed accettate dalla controparte, avevano interrotto il
rapporto che lo legava alla RAI.
In relazione ai contratti successivi al giugno 2001, il giudice di secondo grado
rilevava che gli stessi erano regolati dall’Accordo stipulato in data 5 aprile 1997 tra la
RAI e le 00.SS., come integrato nel dicembre 1997, e dal CCNL RAI dell’8 giugno
2000, entrambi stipulati ai sensi dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987.
Pertanto, a partire dal 1997, le parti sociali avevano voluto introdurre una
nuova ipotesi di valida stipulazione di contratto a termine, costituita dalla mera
individuazione “nominata” del singolo programma o spettacolo per il quale veniva
stipulato il contratto e tale volontà era stata successivamente confermata nel giugno
2000 e per tutta la vigenza del relativo contratto collettivo di lavoro.
Osservava che anche i contratti collettivi RAI, sebbene aziendali, dovevano
ritenersi inclusi nel livello di contrattazione al quale rinviava la legge n. 56 del 1987, sia
perché non è ravvisabile un livello di contrattazione superiore sia perché il CCL Rai è
fonte diretta sostanzialmente a regolare un intero “settore”. In merito al profilo di vizio
costituito dall’intento elusivo della legge n. 230 del 1962 escludeva che fosse
sufficiente ai fini della relativa configurazione la mera reiterazione nel tempo dei
contratti a termine o l’utilizzo stabile in funzione suppletiva; in questa prospettiva
riteneva non assolto da parte attrice l’onere di allegazione e prova del ricorrere della
frode alla legge con riferimento alla singola assunzione. Evidenziava che, comunque,
non risultava che la parte avesse chiesto in modo espresso l’accertamento dell’intento
fraudolento. Né a fondare la illegittimità dell’apposizione del termine potevano valere le
dedotte anomalie nell’utilizzazione della prestazione lavorativa del Marino attesa la
genericità di allegazione sul punto e considerato che in ogni caso, anche ove provata
una diversa utilizzazione rispetto a quanto dedotto in contratto, se marginale ed
episodica, non poteva costituire violazione della causa tipica del contratto.

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2. Tanto premesso, può passarsi ad esaminare i motivi del ricorso principale,
previa riunione dei giudizi, in quanto le impugnazioni sono proposte avverso la
medesima sentenza d’appello.
3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli
artt. 112, 132 cpc, artt. 118 disp. att. cpc, artt. 1362, 1366 e 2697 cc, in relazione all’art.
360, n. 3, cpc. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5, cpc.
Il Marino censura la statuizione della sentenza d’appello relativa alle intervenute
dimissioni. Assume che non vi era alcuna volontà di risolvere, attraverso le dimissioni il
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui natura ed esistenza non erano state
ancora giudizialmente accertate e rispetto al quale, dunque, le dimissioni non potevano
spiegare effetti.
Peraltro, la Corte d’Appello aveva omesso di provvedere su un’istanza istruttoria
circa il fatto che le dimissioni erano state chieste dal datore di lavoro in corso del
rapporto a tempo determinato al fine di pervenire alla stipulazione di un altro contratto a
tempo determinato, effettivamente seguito a quello fatto cessare dal lavoratore.
4. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
Il ricorrente prospetta che le dimissioni, pur intervenute ed operanti rispetto al
contratto a termine, non potrebbero assumere rilievo rispetto alla sussistenza di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, poiché si sarebbero inserite nella dinamica
contrattuale di stipulazione di successivi contratti a termine, come sarebbe emersa
dall’istruttoria testimoniale chiesta.
Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, la dichiarazione di recesso
del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea “ex se” a produrre
l’effetto della estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere
dai motivi che abbiano determinato le dimissioni (a meno che queste ultime non siano
inficiate dalla minaccia di licenziamento e risultino perciò viziate come atto di volontà,
circostanza non dedotta nella fattispecie in esame) e dalla eventuale esistenza di una
giusta causa, posto che, anche in tal caso, l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a
differenza di quanto avviene per il licenziamento illegittimo o ingiustificato, ad un atto
negoziale del lavoratore, che è preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del
medesimo rapporto (Cass., n. 6342 del 2012).
Inoltre, su un piano più generale, va considerato che, secondo il costante
orientamento di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di
motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito
della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del
vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova
valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza, il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione,
insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel
ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento
logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i
vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o
illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni dei giudice del merito e
non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa
da quella operata nella sentenza impugnata.
4

Al contempo, va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di
merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda
in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti,
ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi
in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente
incompatibili con esse.
Nel caso all’esame, la sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze
rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, immune da
contraddizioni e vizi logici.
Il ricorrente, lungi dal dimostrare l’esistenza di vizi logici nelle argomentazioni
della Corte territoriale, si limita nella sostanza a prospettare una diversa interpretazione
dei fatti, corroborata dall’istruttoria chiesta, ma che non inficia la corretta ricostruzione
giuridica effettuata dal giudice di appello circa gli effetti delle intervenute dimissioni, in
ragione della richiamata giurisprudenza di legittimità.
5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
(art. 360, n. 3, cpc) dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1 e 12 delle disp.
sulla legge in generale, degli artt. 1 e 3 della legge n. 230 del 1962, degli artt. 1362,
1364 e 2697 cc. Omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 132,
112e 118 cpc.
Le questioni poste sono diverse e già oggetto di esame di questa Corte con la
sentenza n. 15455 del 2012.
Se la delega prevista dall’art. 23 cit., possa essere esercitata con un accordo di
rango aziendale. Se, premesso che la specificazione del concetto di programma sarebbe
stata compiuta solo con la lettera aggiuntiva all’accordo del 16 dicembre 1997, ig sia
conforme all’art. 23 ed agli artt. 1362 e 1364 cc, che le disposizioni contenute in un
accordo di diritto privato siano applicate dal giudice a fattispecie regolamentate da altro
accordo precedente in materia non identica a quella successiva e con efficacia
retroattiva ove ciò non sia previsto dalla parti stesse.
Se sia conforme alla legge che ad un accordo collettivo privatistico possa
considerarsi attribuito il potere di interpretare e/o modificare i requisiti previsti dalla
legge medesima per la legittima stipulabilità di uno o più contratti a termine nel settore
spettacolo; se il requisito della specificità coincida con la mera indicazione nel contratto
a tempo indeterminato del titolo dello spettacolo, che le caratteristiche di un accordo
collettivo siano estese ad uno precedente in assenza di espressa previsione delle parti.
Se vi sia vizio di motivazione e violazione dell’art. 132 cpc, laddove si omette
di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero si indichino tali
elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo
impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
6. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
L’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 consente l’apposizione del termine
a contratti di lavoro subordinato, oltre che nelle ipotesi previste dalla legge n. 230 del
1962, art. 1 e successive modifiche, anche “nelle ipotesi individuate nei contratti
collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
Il primo punto, in ordine logico, consiste nello stabilire se sia conforme alla
legge che ad un accordo collettivo privatistico possa considerarsi attribuito il potere di
interpretare e/o modificare i requisiti previsti dalla legge per la legittima stipulabilità di
uno o più contratti a termine.
La questione è stata da tempo risolta in senso positivo e le Sezioni unite hanno
fissato il seguente principio di diritto, costantemente seguito dalla giurisprudenza
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successiva della sezione lavoro, anche in sede di sesta sezione: “la legge 28 febbraio
1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di
individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla legge 18 aprile 1962, n.
230, art. 1 e successive modifiche nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis,
convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di
apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e
propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere
vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a
quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine
per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a
livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo
(vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di
lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo
caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea
garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti” (Cass.,
S.U., 2 marzo 2006, n. 4588).
Altro punto, concerne l’idoneità dei contratti collettivi applicabili al caso in
esame a svolgere tale funzione, in quanto, secondo la difesa della ricorrente, non
avrebbero “rango nazionale”.
Deve precisarsi sul punto che l’art. 23 cit. non richiede che il contratto collettivo
debba essere nazionale, ma richiede qualcosa di diverso e cioè che “i contratti collettivi
di lavoro” (non qualificati quanto al loro livello) siano “stipulati con i sindacati
nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale”.
La norma non compie alcuna selezione con riferimento alla parte datoriale, che
può essere pertanto anche una singola azienda, il che qualifica il contratto aziendale, ma
si limita a richiedere che sia stato stipulato con un’organizzazione sindacale che presenti
i requisiti su indicati, idonei, secondo il legislatore, a garantire che la delicata funzione
sia svolta da contratti collettivi stipulati tra imprese, associate o singole, con sindacati
dotati di particolare forza e rappresentatività.
Nel caso in esame, l’accordo collettivo 5 aprile 1997 è stato stipulato tra
l’associazione sindacale Intersind e la RAI, dal lato datoriale, e dalle associazioni
sindacali SLC-CGIL, FIS-CISL e UILSIC- UIL, dal lato sindacale. Non sorgono dubbi
sul fatto che le associazioni sindacali siano “sindacati nazionali o locali aderenti alle
confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
Il contratto collettivo 8 giugno 2000 è stato stipulato dai seguenti soggetti. Parte
datoriale: RAI spa, RAI SAT spa, RAI Way spa e RAI Cinema spa, assistite dall’Unione
industriali di Roma. Parte sindacale: SLC-CGIL, FIS-CISL e UILSIC-UIL assistite
dalle rispettive strutture territoriali e dal coordinamento nazionale RAI. Anche in questo
caso non sorgono dubbi sul fatto che le associazioni sindacali siano “sindacati nazionali
o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
Ulteriore punto concerne la disciplina del contratto a tempo determinato nel
settore dello spettacolo
Come è noto, la legge che introdusse le limitazioni alla possibilità di apporre un
termine al contratto di lavoro subordinato (legge 18 aprile 1962, n. 230) previde una
serie di eccezioni e, fra l’altro, con la lettera e), art. 1. consentiva di apporre il termine
“nelle scritture del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli”.
La norma fu modificata dalla legge 23 maggio 1977, n. 266, che sostituì la
dizione, prevedendo la possibilità della apposizione del termine “nelle assunzioni di
personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o
televisivi”.
6

Questa formulazione, incentrata sul concetto di specificità dello spettacolo, ha
dato luogo ad una giurisprudenza, particolarmente rigorosa, che intende il concetto di
specificità del programma non solo come unicità dello stesso, ancorché articolato in più
puntate, ma anche come specificità dell’apporto del lavoratore, delineando una
connessione tra specificità dell’apporto e specificità del programma (il carattere
consolidato di questa giurisprudenza applicativa della legge n. 230 del 1962, art. 1, lett.
e), come modificata dalla legge n. 266 del 1977 è confermato anche nelle più recenti
decisioni su contratti di lavoro regolati da tale normativa. Da ultimo, cfr. Cass., sesta
sezione, ord. 2 marzo 2012 n. 3308).
Il rigore di questa giurisprudenza si fonda sull’utilizzazione da parte del
legislatore dell’aggettivo “specifici” riferito a programmi o a spettacoli.
L’interpretazione non è meccanicamente riproponibile dopo le modifiche
apportate dalla legge 28 febbraio 1987, n. 56 e dagli accordi sindacali che ne sono
conseguiti in ambito RAI.
I contratti a termine stipulati tra la RAI e il Marino che sono stati considerati
legittimi dalla Corte d’appello, sono tutti successivi al giugno 2001. Sono pertanto
soggetti al contratto collettivo stipulato il 5 aprile 1997.
Il contratto collettivo del 1997, nell’esercizio esplicito della delega contenuta
nell’art. 23 cit., consentiva l’apposizione del termine “anche” nella assunzione di
personale “di qualsiasi qualifica” … “per un programma od una pluralità di specifici
programmi quando l’impegno per ciascun programma non esaurisce la prestazione
giornaliera e/o settimanale”.
La previsione distingue quindi due ipotesi, quella della assunzione per un
singolo programma e quella della assunzione per “una pluralità di specifici
programmi”.
Nella prima ipotesi è richiesta solo l’unicità del programma. Nella seconda
ipotesi è richiesta la specificità, nonché l’ulteriore requisito concernente il mancato
esaurimento delle prestazione giornaliera o settimanale. Che i requisiti ulteriori siano
richiesti solo per il caso di pluralità programmi è indicato, oltre che dalla struttura
sintattica della frase, anche dal fatto che il requisito del mancato esaurimento della
prestazione è espressamente collegato all’impegno per “ciascun programma”, che
sottende la pluralità di programmi.
Quando il programma è unico, pertanto, è legittima la apposizione del termine,
senza necessità di ulteriori requisiti. In particolare non sono richiesti tutti quegli
elementi che la giurisprudenza prima richiamata desume dal concetto di specificità.
Questa interpretazione è stata ribadita dal successivo contratto collettivo dell’8
giugno 2000, il cui punto n. 4, lett. a), prevede la possibilità di apporre il termine nelle
ipotesi di assunzioni “per un programma od una pluralità di specifici programmi” (non
si menziona più la necessità del mancato esaurimento della prestazione giornaliera o
settimanale). Il chiarimento a verbale, in calce a tale articolo, spiega che: “per
programma, nonché per specifici programmi nell’ambito del punto 4, lett. a) del presente
articolo deve intendersi: una o più trasmissioni, spettacoli o produzioni (anche
nell’ambito dell’home video, di internet e della programmazioni satellitare e/o progetti
multimediali), anche a carattere continuativo, ciclico o di contenitore, purché individuati
ed indicati nel contratto a termine”.
In conclusione, tanto in base all’accordo del 1997, che in base all’accordo del
2000, bisogna distinguere due ipotesi di assunzione, a seconda che il contratto di lavoro
venga stipulato per un programma o per una pluralità di programmi.
Nel caso di assunzione per un programma non sono richiesti requisiti ulteriori rispetto a
quello della unicità del programma, che peraltro non esclude, come la giurisprudenza ha
sempre messo in evidenza, che lo stesso possa essere articolato in più puntate.
7

Solo il chiarimento a verbale inserito nel contratto del 2000 ha richiesto che il
programma deve essere individuato e indicato nel contratto a termine. Ma il chiarimento
ha valore meramente interpretativo e non aggiunge nulla al contenuto della previsione:
non poteva ragionevolmente non ritenersi, anche in assenza di questa chiarificazione
sindacale, che il programma dovesse essere indicato nel contratto.
Deve infine sottolinearsi che il contratto collettivo di lavoro del 2000 aveva
come data di scadenza il 31 dicembre 2003 per la parte normativa e ha conservato
vigore sino a tale data, in forza del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 11.
Questa ricostruzione della disciplina dei contratti a tempo determinato della
RAI, già delineata da Cass. 23 novembre 2010 n. 23686, deve essere pienamente
confermata.
Di conseguenza, non può che convenirsi con il giudizio della Corte d’appello,
che ha ritenuto sufficiente, ai fini della legittimità della apposizione del termine,
l’indicazione, in ciascun contratto di lavoro a termine, del singolo programma per il
quale l’assunzione del ricorrente è avvenuta.
Va, altresì, osservato che la motivazione della sentenza non viola i canoni
previsti dall’art. 132 c.p.c., in quanto la sentenza della Corte d’appello contiene la
concisa” esposizione delle ragioni della motivazione.
7. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione (art.
360, n. 3, cpc) degli artt. 112, 132, 434, 414 cpc, artt. 118 cpc, art. 2697 cc, e, in via
subordinata, artt. 23 della legge n. 56 del 1987 e 1362 e ssg. cc . Omessa e insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, cpc).
Il ricorrente intende censurare il capo della sentenza relativo al dedotto
espletamento di mansioni estranee ai contratti individuali, facendo riferimento ai
contratti a termine stipulati sino al 30 gennaio 2000. Prospetta una serie di anomalie
nell’utilizzazione della propria prestazione professionale in relazione alle mansioni
svolte e alle trasmissioni per cui aveva lavorato.
8. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato atteso che i contratti a termine
in questione, richiamati nel motivo di ricorso, rientrano nel periodo anteriore alle
dimissioni (intervenute prima della conclusione del contratto 15 settembre 2000-15
giugno 2001)
9. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione (art.
360, n. 3, cpc) degli artt. 112, 132 cpc e 118 disp. att. cpc, art. 2, comma 2, della legge
n. 230 del 1962, art. 1362 e ssg. cc . Omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, cpc).
Il motivo verte sulla statuizione della Corte d’Appello relativa all’esclusione
dell’intento elusivo, atteso che in tal senso deporrebbe l’utilizzo in funzione suppletiva
di personale a tempo indeterminato cronicamente insufficiente, ed essendo stata
formulata tale domanda.
10. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
La sentenza della Corte d’Appello afferma che la mera reiterazione nel tempo
dei contratti a termine o dell’utilizzo stabile, in funzione suppletiva di personale a
tempo indeterminato cronicamente insufficiente, non può costituire di per sé elemento
sufficiente a fare ritenere tale elusione, occorrendo la presenza di particolari circostanze
che facciano apparire come l’utilizzazione delle prestazioni lavorative sia avvenuta allo
scopo di eludere fraudolentemente la legge. Tale onere nella specie non veniva assolto
con specifico riguardo alla posizione in esame. Né assume il giudice di secondo grado
risulta che parte ricorrente abbia mai chiesto, in modo espresso, l’accertamento
dell’intento fraudolento ed elusivo, tenuto conto, altresì, della sufficienza
dell’indicazione nominativa del o dei programmi in funzione del quale il lavoratore
veniva assunto.

8

Le argomentazioni del ricorrente, che sono prospettate in modo unitario e
dunque generico rispetto ai diversi contratti intervenuti prima e dopo le dimissioni, non
inficiano la correttezza e congruità della motivazione della Corte d’Appello, atteso,
altresì, che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’intento elusivo deve
essere provato, caso per caso, dal lavoratore (Cass., n. 11921 del 2003), risultando
assorbite anche le censure attinenti alle omessa considerazione delle istanze istruttorie.
11. Il ricorso deve essere rigettato.
12. Al rigetto del rigetto principale segue l’assorbimento dei motivi del ricorso
incidentale condizionato e, dunque, del ricorso stesso.
13. La complessità delle questioni trattate induce a ritenere sussistenti gravi ed
eccezionali ragioni per compensare le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 92,
comma 2, cpc.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Assorbito il ricorso
incidentale. Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Roma il 14 novembre 2013.

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