Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27504 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 02/12/2020), n.27504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25493/2015 proposto da:

S.D. e C.A., rappresentati e difesi

dall’Avv. Antonella Santacroce ed elettivamente domiciliati presso

lo studio dell’Avv. Stefania Stemperini in Roma, Via A. Bargoni n.

78;

– ricorrenti –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato (C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei

Portoghesi 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2073/14/15 della Commissione tributaria

Regionale del Lazio, sezione di Roma, depositata il 08/04/2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2020

dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Con atto di compravendita del (OMISSIS), registrato l'(OMISSIS), i contribuenti, coniugi in regime di separazione dei beni, acquistavano, pro quota, un immobile sito nel Comune di (OMISSIS) usufruendo dei benefici della prima casa.

2. L’Agenzia delle Entrate con distinti avvisi di liquidazione revocava i suddetti benefici con conseguente nuova determinazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale sul presupposto che il bene oggetto di compravendita aveva le caratteristiche “di lusso” ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, ex artt. 5 e 6.

3. Avverso i suddetti avvisi i contribuenti proponevano autonomi ricorsi, successivamente riuniti, con i quali contestavano, tra l’altro, la natura di “lusso” attribuita all’immobile dall’Agenzia.

3. La CTR con la sentenza 2073/14/15, depositata il 08/04/2015, riformava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, rigettava i ricorsi dei contribuenti.

4. Avverso tale sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

5. L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.

6. In prossimità della camera di consiglio i contribuenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i contribuenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e dell’art. 342 c.p.c., non avendo la CTR dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate in quanto rivolto ad una sola delle rationes dedicendi utilizzata dalla CTP per accogliere il ricorso proposto dai contribuenti.

In particolare, a parere dei ricorrenti, la sentenza della CTP si fondava sul fatto che l’immobile oggetto di compravendita non poteva essere qualificato come di lusso per come provato dai contribuenti e sull’ulteriore argomento, questo non oggetto di specifica impugnazione e, dunque, coperto da giudicato, che l’Agenzia non aveva notificato ai contribuenti gli atti presupposti dell’avviso e sui quali si fondava l’attribuzione della qualifica suddetta.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza della CTR, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine al mancato esame della mancata notifica ai contribuenti degli accertamenti e informative sulle quali gli avvisi di liquidazione si fondavano; circostanza valutata dalla CTP come idonea per ritenere fondata l’impugnazione di quest’ultimi.

3. Con il terzo motivo i contribuenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33, avendo eccepito, sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’illogicità manifesta del D.M. 2 agosto 1969 per come applicato dall’Agenzia delle entrate nella fattispecie al fine di individuare come di lusso l’immobile dei ricorrenti; individuazione compiuta sul solo presupposto che esso aveva metratura superiore ai 240 mq senza tener conto della ubicazione dello stesso. A conforto di tale tesi i contribuenti rilevano che per effetto del D.Lgs. n. 175 del 2014 sono stati modificati i requisiti per godere dei benefici per la prima casa, assumendo rilievo esclusivamente la Categoria castale, assumendo all’uopo rilievo la circostanza che l’immobile oggetto di accertamento è inserito in quella A/7 per la quale, ai sensi del cennato D.Lgs., sarebbero applicabili i suddetti benefici.

4. Con il quarto motivo la sentenza della CTR è censurata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione circa l’eccezione relativa alla mancata indicazione relativa al criterio con il quale l’Agenzia delle entrate ha quantificato gli interessi di mora applicati.

5. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.

La sentenza della CTP ha accolto i ricorsi proposti dai contribuenti sul rilievo che l’Agenzia dell’Entrate aveva “omesso di allegare gli accertamenti e le informative in base ai quali aveva concluso che l’immobile in questione era “abitazione di lusso”, e per avere, all’inverso i contribuenti prodotto perizia di parte e planimetria catastale dalle quale emerge la sussistenza dei presupposti per la concessione delle agevolazioni sulla prima casa” (cfr. sentenza della CTR), concludendo che “gli avvisi impugnati vanno, pertanto, annullati, considerato che l’Agenzia delle Entrate non ha assolto all’onere probatorio posto a suo carico” (cfr. ricorso pag. 3).

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto un unico motivo di appello deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, Tariffa parte prima allegata, art. 1, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. rilevando, tra l’altro, che la CTP aveva “errato nel non riscontrare per tabulas, sulla mera scorta degli elementi desumibili dalla medesima documentazione prodotta dai contribuenti, che nel caso di specie ci si trova in presenza di un fabbricato di lusso” (cfr. pag. 11 del ricorso) allegando, a “riprova della correttezza del proprio operato, l’accertamento prot. 3885/11 dell’Ufficio Provinciale del Territorio di Roma, dal quale risultava che l’immobile in questione aveva una superficie utile di mq 288,41 e superficie residua mq. 93,00, per cui andava sicuramente qualificato “di lusso”” (cfr. sentenza della CTR).

Da quanto sopra risulta evidente, da un lato, che la CTP ha accolto i ricorsi dei contribuenti sul presupposto che l’Ufficio non aveva fornito la prova circa la sussistenza del requisito di “lusso” relativamente all’immobile oggetto di compravendita e, dall’altro, che, diversamente, i contribuenti ne avevano provato l’insussistenza.

Con il motivo di appello riportato, l’Agenzia dell’Entrate dà conto di aver colto l’iter logico motivazionale della sentenza di primo grado risultando lo stesso pienamente conforme al disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, come interpretato da questa Corte secondo cui “Nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. E’ pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purchè in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass. n. 30341 del 2019).

In conclusione, dal decisum della CTP appare evidente l’erroneo presupposto interpretativo da cui muovono i contribuenti secondo cui la sentenza di primo grado si fonderebbe su due rationes decidendi. In particolare, l’indicazione della mancata allegazione degli accertamenti e delle informative contenuta nel provvedimento emesso dal giudice di prime cure attiene all’unica ratione decidendi della mancata prova, da parte dell’Ufficio, circa la sussistenza del requisito di lusso dell’immobile; mancata prova che si sostanzia nella omessa allegazione sopra indicata sulla quale, peraltro, non ricorre neanche il lamentato vizio di omessa pronuncia, avendo la CTR ritenuto superata tale omissione con il deposito, unitamente all’atto di appello, dell’accertamento prot. 3885/11 dell’Ufficio Provinciale del Territorio di Roma sopra indicato.

6. Il terzo motivo non è fondato.

Con esso i contribuenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione da parte della CTR del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33, avendo essa omesso di esaminare l’eccepita “applicazione asettica del decreto ministeriale datato 1969”.

In sostanza i ricorrenti si dolgono del fatto che il D.M. 2 agosto 1969 comporterebbe l’illogica individuazione di un bene come di lusso e, pertanto, escluso dai benefici “prima casa” sul solo presupposto che esso ha una metratura superiore ai 240 mq. Tale elemento non terrebbe, infatti, conto della ubicazione del bene così da risultare illogico; illogicità che emergerebbe dalla novella introdotta con il D.Lgs. n. 175 del 2014 che, modificando i requisiti per godere dei suddetti benefici, ha collegato essi esclusivamente alla Categoria castale del bene, appartenendo quello oggetto di accertamento alla Categoria A/7 per la quale sono riconosciute le agevolazioni in esame.

Il motivo in esame, per come formulato, va ricondotto al vizio di omessa pronuncia circa l’eccepita “illogicità manifesta” del D.M. 2 agosto 1969; eccezione che non sarebbe stata esaminata dalla CTR.

Così correttamente qualificato il motivo di doglianza va osservato che, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, in ragione dell’accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, la questione sopra indicata è stata ritenuta assorbita in senso improprio dal giudice di merito, assumendo rilievo il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 28995 del 2018) secondo cui ricorre “la figura dell’assorbimento in senso proprio quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa”.

E’, dunque, nella pronuncia con la quale la CTR ha ritenuto sussistere nel caso di specie i presupposti indicati dal legislatore per il riconoscimento del requisito dell’abitazione di lusso che si rinviene l’implicito rigetto dell’eccezione proposta dai ricorrenti circa la presunta illogicità della normativa che definisce tali presupposti.

7. Il quarto motivo non è fondato.

Anche con riferimento a tale censura valgono le motivazioni riportate nel motivo che precede non essendo incorsa la CTR in alcun vizio di omessa motivazione circa l’eccezione relativa alla mancata indicazione del criterio con il quale l’Agenzia delle entrate ha quantificato gli interessi di mora applicati.

L’avviso di liquidazione, infatti, riporta la quota interessi dovuta indicandone l’importo in modo autonomo e distinto dalla maggiore imposta determinata e, dunque, calcolati sulla base di essa, nonchè il periodo (dal 11 dicembre 2010 al 15 marzo 2011) preso a riferimento per il loro calcolo. Tali elementi risultano pienamente sufficienti a porre il contribuente in condizione di conoscere, mediante l’applicazione di semplici calcoli matematici, l’aliquota e il criterio di calcolo seguito dall’Amministrazione al fine di determinare la quota interessi facente parte dell’avviso di liquidazione. In sostanza, deve ritenersi che anche con riferimento a tale specifica doglianza, la CTR con l’accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e il conseguente riconoscimento della legittimità dell’atto impositivo impugnato, ha inteso respingere implicitamente la censura relativa alla presunta omessa indicazione del criterio di calcolo degli interessi richiesti ai contribuenti.

8. Il ricorso va pertanto rigettato.

9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte soccombente al pagamento a favore dell’Agenzia dell’entrate al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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