Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2750 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 02/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17920/2014 proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A., C.F. e P.I. (OMISSIS), in persona del

suo procuratore speciale, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO,

che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli

avvocati DIEGO DIRUTIGLIANO e LUCA ROPOLO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati GIUSEPPE PELLERITO, BENEDETTO PELLERITO e SILVIO CHIODO,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 73/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

emessa il 16/01/2014 e depositata il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Torino ha accolto il ricorso proposto da P.R. ed ha condannato la Fiat Group Automobiles s.p.a. a corrispondere le somme chieste in relazione alle giornate del 3.11 e del 31.12.2008 – nelle quali l’attività dello stabilimento cui era addetta era stata sospesa.

La Corte territoriale ha rilevato che la sospensione dell’attività lavorativa nelle due giornate era stata decisa dalla società “per ragioni esclusivamente attinenti alla gestione e all’organizzazione dell’impresa” per fatti estranei al concetto di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore, unica circostanza idonea ad esonerare il medesimo dall’adempimento dell’obbligazione retributiva.

Inoltre ha ritenuto che gli accordi del 18 aprile e del 27 ottobre del 2008 raggiunti tra l’azienda e le RSU sulla “copertura retributiva” delle due giornate, attuata “attraverso lo spostamento del trattamento retributivo relativo” alle festività del 10 e del 4 novembre 2008, incidesse su prestazioni fondamentali derivanti dal rapporto di lavoro: la prestazione lavorativa e la correlativa retribuzione; ha affermato che tale “copertura”, in quanto realizzata attribuendo quanto già pacificamente dovuto ai sensi della L. n. 260 del 1949, art. 5, per le festività, si traduceva nella conseguenza “che il lavoratore aveva quattro crediti (le due giornate di sospensione dell’attività lavorativa più le due festività) e che gliene sono stati pagati soltanto due”; ha considerato che la sospensione dell’attività lavorativa e della retribuzione esulasse dai poteri esercitabili dalle RSU senza previo e specifico mandato dei lavoratori; ha valutato che la mera esecuzione da parte dei lavoratori della disposizione aziendale di sospendere l’attività lavorativa, in considerazione della chiusura dello stabilimento, “non integra affatto una ratifica dell’accordo per comportamento concludente”.

Avverso tale sentenza propone ricorso la Fiat Group Automobiles s.p.a. che articola due motivi con i quali denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in riferimento agli accordi sindacali del 18.4.2008 e del 27.10.2008 nonchè in riferimento all’art. 10 del CCNL, per gli addetti all’industria metalmeccanica privata del 20 gennaio 2008 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. e art. 1327 c.c., comma 1, in riferimento al comportamento concludente tenuto dal lavoratore in coincidenza con le giornate del 3 novembre e del 31 dicembre 2008.

Resiste con controricorso P.R..

La ricorrente ha depositato memoria insistendo nelle conclusioni già prese.

Tanto premesso e sulle censure formulate si osserva quanto segue.

Quanto alla lamentata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in riferimento agli accordi sindacali del 18.4.2008 e del 27.10.2008 ed all’art. 10 del CCNL per gli addetti all’industria metalmeccanica privata del 20 gennaio 2008 per avere la Corte territoriale, in contrasto con la comune volontà delle parti stipulanti, qualificato il contenuto degli stessi come di carattere normativo laddove invece si tratterebbe “di accordi gestionali, per tali intendendosi quelli che determinano effetti in via riflessa e non diretta sui rapporti di lavoro, sottraendo alla determinazione del datore ambiti altrimenti di suo unilaterale intervento, riconducendoli alla gestione concertata”, così commettendo “un palese errore ermeneutico, declinando la comune intenzione delle parti stipulanti in modo difforme dal tenore letterale delle intese, dall’interpretazione del contenuto complessivo del contratto attraverso l’esame delle clausole di esso e dal risultato pratico cui le intese stesse miravano” va rilevato, in adesione a quanto già ritenuto dalla Cassazione con le sentenze n. 7572 e 7573 del 2016 pronunciate su fattispecie sovrapponibili alla presente, che “la censura non coglie nel segno in quanto, al di là della qualificazione definitoria degli accordi, la Corte torinese non ha affatto interpretato gli stessi in modo difforme da quanto opina la società ricorrente, non essendo in discussione che la volontà delle parti stipulanti fosse quella di ottenere la “copertura retributiva” delle due giornate di sospensione dell’attività mediante lo “spostamento” del trattamento retributivo da erogare per le festività.

La ratio decidendi della sentenza impugnata è piuttosto quella che tale accordo ciò non poteva fare in quanto disponeva di diritti retributivi del lavoratore senza uno specifico mandato all’organizzazione sindacale.

Non è dunque controverso il significato dell’accordo ma se l’effetto di quanto voluto dalle parti potesse essere realizzato e tale aspetto non è efficacemente censurato con l’originaria illustrazione del motivo che invoca la violazione delle regole legali dell’ermeneutica contrattuale”. Ugualmente infondato è poi il secondo mezzo di gravame con il quale la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. e art. 1327 c.c., comma 1, in riferimento al comportamento concludente tenuto dai lavoratori in coincidenza con le giornate del 3 novembre e del 31 dicembre 2008, in quanto la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato che il dipendente ha “aderito implicitamente ma in modo inequivoco agli accordi poichè il suo non è stato un comportamento inerte ma di attuazione degli stessi”.

Si sostiene che “rimanendo a casa, senza nulla obiettare, dopo aver ricevuto l’informazione sul contenuto degli accordi e sul fatto che nelle giornate di chiusura collettiva vi sarebbe stata una copertura con le particolari modalità declinate dagli accordi stessi, la Sig.ra P. ha tenuto un comportamento pienamente coerente con gli accordi stipulati dalla RSU e che quindi non è idoneo a fondare il diritto alla retribuzione, in difetto di un dissenso di qualsiasi genere nei confronti del contenuto dell’accordo e a fronte di una condotta che ne costituisce esecuzione, perciò rilevante anche ai sensi dell’art. 1327 c.c., comma 1”.

Si osserva al riguardo che, come già ritenuto da questa Corte nelle sentenze nn. 7572 e 7573 del 2016 sopra richiamate, “l’accertamento di un preteso comportamento concludente di adesione all’accordo sindacale è indagine di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, non sindacabile in cassazione al di fuori dei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nella specie non se ne è neanche efficacemente prospettato il superamento. Invero i giudici d’appello hanno motivatamente espresso il convincimento che la mera esecuzione da parte del lavoratore della disposizione aziendale di sospendere l’attività lavorativa non integrasse una ratifica dell’accordo ma, appunto, esecuzione di un ordine, non essendo tenuto il dipendente a mettere in mora per il pagamento della retribuzione il datore di lavoro che non riceve la prestazione. Rispetto a tale convincimento del giudice del merito, privo di vizi logici, quello diverso espresso dalla parte ricorrente circa il significato del comportamento del lavoratore non è ovviamente sufficiente a determinare la cassazione della sentenza impugnata.”

Per tutto quanto sopra considerato il ricorso, manifestamente infondato, deve essere rigettato con ordinanza in Camera di consiglio.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate nella misura indicata in dispositivo, devono essere distratte in favore dell’avvocato Giuseppe Pellerito che se ne dichiara antistatario.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 1.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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