Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27499 del 10/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 27499 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenzo con motivarione
senIplificata

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,
tempore,

in persona del Ministro

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente contro
BELLINI Bianca;
– intimata avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato
il 5 ottobre 2011.

Data pubblicazione: 10/12/2013

Udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto

che, con ricorso depositato il 14 luglio 2008

presso la Corte d’appello di Roma, Bellini Bianca ha
chiesto la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un
giudizio di separazione personale iniziato dinnanzi al
Tribunale di Napoli con ricorso del 12 luglio 2001 e
conclusosi con ordinanza di cancellazione della causa dal
ruolo del 29 maggio 2007;
che l’adita Corte d’appello, stimata la durata
ragionevole del giudizio presupposto in quattro anni,
accertava un ritardo di due anni per il quale riconosceva
alla istante un indennizzo di 2.000,00 euro, oltre agli
interessi dalla domanda e alle spese processuali;
che il Ministero della giustizia ha proposto ricorso
per la cassazione di questo decreto, affidato a cinque
motivi;
che l’intimata non ha svolto difese.

Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per

Considerato

che il collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso il Ministero

dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001, dolendosi del fatto
che la Corte non abbia considerato tardiva la domanda di
equa riparazione proposta nel luglio del 2008, atteso che
il primo giudizio si era concluso con ordinanza di
cancellazione della causa dal ruolo del 29 maggio 2007;
giorno questo, dal quale doveva ritenersi decorresse il
termine semestrale per la proposizione della domanda di
equa riparazione;
che con il secondo motivo il Ministero deduce vizio di
motivazione dolendosi del fatto che la Corte d’appello
abbia ritenuto plausibile che tra le parti del giudizio
presupposto fosse intervenuto un accordo transattivo una
settimana prima della adozione del provvedimento di
cancellazione, sostenendo che si sarebbe dovuto assumere
come dies a quo ai fini dell’art. 4 della legge n. 89 del
2001 la data della precedente udienza del 22 maggio 2007;
che con il terzo motivo il ministero deduce ulteriore
vizio di motivazione, dolendosi del fatto che la Corte
d’appello non abbia addebitato alle parti l’ultimo semestre
del giudizio presupposto, nel quale le parti avevano

ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione

verosimilmente già raggiunto un accordo transattivo anche
per l’abbandono della lite,

nonché alcuni rinvii

conseguenti a richieste delle parti o a loro inattività;
che con il quarto motivo il Ministero deduce ulteriore

apprezzato e valutato la unitarietà del giudizio
presupposto, e adottato l’ordinario criterio di
liquidazione, parametrato su 750,00 euro per i primi tre
anni di ritardo e di 1.000,00 euro per ciascuno degli anni
successivi;
con il quinto motivo il Ministero denuncia violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, dolendosi del fatto
che la Corte d’appello abbia riconosciuto gli interessi
dalla domanda pur in mancanza di esplicita domanda in tal
senso;
che i primi tre motivi, all’esame dei quali può
procedersi congiuntamente per la connessione delle proposte
censure, sono infondati;
che invero questa Corte ha avuto modo di affermare che
«nel caso in cui la causa sia stata cancellata dal ruolo
per mancata comparizione delle parti, il termine di sei
mesi per proporre la domanda di equa riparazione per
violazione del termine di ragionevole durata del processo
decorre dal giorno della cancellazione della causa dal

vizio di motivazione, per non avere la Corte d’appello

ruolo, anche se la definizione della lite dipenda da una
transazione stragiudiziale, non potendosi fare riferimento,
ai fini della predetta decorrenza, al momento di
conclusione dell’accordo, i cui effetti vengono in evidenza

così cessare il dovere del giudice di provvedere sulla
domanda, mentre il tempo lasciato trascorrere per
abbandonare il processo, o chiederne la chiusura, rileva ai
soli fini dell’imputazione, alle parti e non allo Stato,
della responsabilità per l’ulteriore durata del processo
(Cass. n. 6185 del 2010);
che, in motivazione, si è precisato che, in sede di
applicazione dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89,
siccome la domanda di giustizia attiva giudizi diversamente
strutturati a seconda della situazione soggettiva fatta
valere e della tutela giurisdizionale che vi è invocata,
per decisione che lo conclude si deve intendere non solo la
sentenza, ma quel provvedimento che esaurisce il dovere del
giudice di pronunciarsi sulla situazione giuridica oggetto
del giudizio;
che, così perfezionatasi la vicenda in cui di fronte
allo Stato si pone il diritto di una parte di vedere
risolta la controversia che la contrappone all’altra, nasce
anche il loro onere di lamentare la durata del tempo

solo quando siano fatti rifluire nel processo e facciano

impiegato dallo Stato per rendere il servizio della
giustizia;
che la circostanza che in pendenza della controversia
le parti raggiungano un accordo tra loro per la

parallela, diversa e che del resto presenta caratteri di
stabilità non eguali, giacché la transazione si presta ad
essere impugnata per vari motivi, potendo così tornare ad
essere attivo l’interesse delle parti alla decisione sul
fondo della pretesa originaria;
che dunque è solo quando, a seguito della transazione,
gli effetti che sul piano giuridico scaturiscono tra le
parti sono fatti rifluire nel processo, che emerge il dato,
d’essere cessato il dovere del giudice di provvedere sulla
domanda: ciò trova cristallizzazione nel pertinente
provvedimento, che può assumere contenuto diverso, perché
le parti possono chiedere al giudice che prenda atto del
loro sopravvenuto difetto di interesse alla decisione o
perché le parti tacitamente abbandonano il processo;
che tale conclusione, del resto, appare anche
consentanea alla esigenza che le disposizioni nelle quali è
configurata una decadenza non conducano a restringere
l’ambito di esercizio del diritto oltre i limiti che
risultano dalla sola interpretazione letterale e logica
delle espressioni usate;

composizione della lite dà luogo ad una vicenda se pur

che dunque, il primo e il secondo motivo sono infondati
in quanto postulano che il termine semestrale per la
proposizione della domanda di equa riparazione possa
decorrere da un momento qanteriore alla data in cui il

riassunzione, si sia estinto, ipotizzando addirittura che
possa essere attribuito rilievo alla data dell’accordo
transattivo, laddove, come detto, il termine stesso decorre
dal momento in cui il provvedimento di cancellazione della
causa dal ruolo, per effetto della mancata riassunzione
dello stesso, possa essere considerato definitivo;
che, con particolare riferimento al terzo motivo, deve
rilevarsi, da un lato, che le indicazioni offerte
dall’amministrazione ricorrente non appaiono idonee a
sostenere la conclusione secondo cui la Corte territoriale
avrebbe dovuto detrarre un semestre dal computo complessivo
della durata del processo, non essendo fornito alcun
riferimento in ordine alla data dell’accordo transattivo;
dall’altro, che la richiesta dell’amministrazione di vedere
detratti dalla durata complessiva del processo presupposto
alcuni segmenti temporali in quanto addebitabili a rinvii
richiesti dalle parti postula accertamenti di fatto che non
risulta dal decreto impugnato fossero stati sollecitati in
modo puntuale dall’amministrazione, risultando solo
l’indicazione che “l’ultimo anno di durata risaliva al

processo presupposto, per effetto della mancata

disinteresse delle parti”, ma non anche che le circostanze
indicate nel motivo di ricorso in esame avessero formato
oggetto di specifica deduzione difensiva;
che il quarto motivo è infondato, atteso che la Corte

con le indicazioni desumibili dalla giurisprudenza di
questa Corte e da quella della Corte europea, avendo
determinato l’indennizzo per il danno non patrimoniale in
euro 1.000,00 per anno di ritardo; trattasi di
apprezzamento in fatto, espressivo di una valutazione
equitativa, non suscettibile di riesame in sede di
legittimità;
che è infondato anche il quinto motivo di ricorso,
atteso che dall’esame degli atti, ai quali il Collegio può
procedere in considerazione della natura del vizio
denunciato, emerge che la ricorrente aveva fatto richiesta
degli interessi legali; trova quindi applicazione il
principio per cui «gli interessi sulla somma liquidata, ai
sensi dell’art. 2 l. 24 marzo 2001 n. 89, a titolo di equa
riparazione per superamento della ragionevole durata del
processo, vanno riconosciuti dal momento della domanda e
non già dalla data del decreto dell’adita corte d’appello,
tenuto conto della natura indennitaria e non meramente
compensativa della predetta equa riparazione» (Cass. n.
22611 del 2011);

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d’appello ha applicato un criterio di liquidazione in linea

che in conclusione il ricorso va rigettato;
che non avendo l’intimata svolto attività difensiva,
non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di
legittimità.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cessazione,
il 4 ottobre 2013.

PER QUESTI MOTIVI

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