Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27498 del 10/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 27498 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLO Giuseppe (FLL GPP 30B24 G377D),

rappresentato e

difeso, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Fabrizio Mobilia, domiciliato in Roma, Piazza
Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema di
cassazione;
ricorrente
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro

tempore,

rappresentato

e

difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –

1-506
)3

Data pubblicazione: 10/12/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Messina
depositato in data 1° marzo 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Fabrizio Mobilia;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto che, con ricorso in riassunzione depositato il

28 giugno 2010 presso la Corte d’appello di Messina,
Giuseppe Fallo ha chiesto la condanna del Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennizzo
per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo
da lui instaurato dinnanzi al TAR di Catania, con ricorso
depositato il 13 luglio 1990 e ancora pendente alla data di
proposizione della domanda di equa riparazione;
che l’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio
presupposto avesse superato la durata ragionevole di
diciotto anni e sette mesi, risultando il giudizio stesso
ancora pendente alla data di decisione, e, tenuto conto
della esiguità della posta in gioco nonché della ritardata
presentazione della istanza di prelievo, liquidava in
favore del ricorrente l’indennizzo di 9.291,66, ritenendo

Stefano Petitti;

congruo il criterio di computo ragguagliato a 500,00 euro
per ciascuno degli anni di ritardo;
che per la cassazione di questo decreto Giuseppe Fallo
ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo,

che l’amministrazione intimata ha resistito con
controricorso.
Considerato che deve essere preliminarmente esaminata
l’eccezione di inammissibilità del controricorso, formulata
dalla difesa del ricorrente in sede di discussione orale
sul rilievo che la notificazione dell’atto è stata
effettuata presso la Cancelleria di questa Corte, e ciò
nonostante che nel ricorso fosse indicato l’indirizzo di
posta elettronica certificata;
che l’eccezione è fondata;
che, ai sensi dell’art. 370 cod. proc. civ., «la parte
contro la quale il ricorso è diretto, se intende
contraddire, deve farlo mediante controricorso da
notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti
giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito
del ricorso» (primo comma) e «al controricorso si applicano
le norme degli artt. 365 e 366, in quanto è possibile»
(secondo comma);
che, ai sensi dell’art. 366, secondo comma, cod. proc.
civ. (nel testo introdotto dalla legge n. 183 del 2011,

3

illustrato da memoria;

applicabile

ratione temporis

trattandosi di ricorso

notificato il 18 ottobre 2012), «se il ricorrente non ha
eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l’indirizzo
di posta elettronica certificata comunicato al proprio

cancelleria della Corte di cassazione»;
che in relazione a tale disposizione deve evidenziarsi
come la possibilità della notificazione di atti presso la
cancelleria della Corte di cassazione sia subordinata alla
duplice condizione della mancata elezione di domicilio in
Roma da parte del ricorrente e della mancata indicazione,
sempre da parte del ricorrente, dell’indirizzo di posta
elettronica certificata;
che, ove questo secondo requisito sussista, si deve
ritenere che invece il destinatario della notificazione del
ricorso che intenda a sua volta notificare il controricorso
non possa avvalersi della notificazione presso la
Cancelleria della Corte, essendo egli tenuto ad eseguire la
notificazione in forma telematica;
che del resto, le Sezioni Unite di questa Corte, nel
ribadire la perdurante operatività dell’art. 82 del r.d. n.
37 del 1934 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano
il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della
circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati,
devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso,

ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la

eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità
giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso,
intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto
onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità

dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt.
125 e 366 cod. proc. civ., apportate dall’art. 25 della
legge 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza
sistematica e d’interpretazione costituzionalmente
orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto
normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria
dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il
giudizio, ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934,
consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo
all’obbligo prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ. per
gli atti di parte e dall’art. 366 cod. proc. civ.
specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia
indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata
comunicato al proprio ordine» (Cass., S.U., n. 10143 del
2012);
che, dunque, il controricorso, notificato presso la
Cancelleria di questa Corte sull’erroneo presupposto della
sussistenza dei concorrenti requisiti della mancanza di
elezione di domicilio e della omessa indicazione della

giudiziaria adita – hanno tuttavia precisato che «a partire

posta elettronica certificata da parte del ricorrente, va
dichiarato inammissibile;
che, venendo al merito, con l’unico motivo di ricorso
il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2, commi 1 e 3,

CEDU e degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.,nonché vizio di
motivazione con riferimento alla liquidazione contenuta
dalla Corte d’appello in euro 500,00 per anno di ritardo,
immotivatamente discostandosi dagli ordinari criteri di
liquidazione del danno non patrimoniale da irragionevole
durata del processo;
che il ricorso è fondato;
che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi

6

della legge n. 89 del 2001, dell’art. 6, paragrafo 1, della

concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo

dell’indennizzo facendo riferimento alla esiguità della
posta in gioco e alla ritardata presentazione dell’istanza
di prelievo;
che tuttavia dallo stesso decreto impugnato emerge, da
un lato, che il ricorrente ebbe, nel giudizio
amministrativo presupposto, a presentare nel 1996 una prima
istanza di prelievo; dall’altro, che la pretesa azionata
nel detto giudizio amministrativo concerneva la
riliquidazione del trattamento supplementare di fine
servizio del ricorrente, che era stato quantificato nel
2000 in circa trenta milioni di lire;
che in presenza di tali elementi di fatto, la Corte
d’appello avrebbe dovuto illustrare le ragioni per le quali
il detto importo poteva essere considerato esiguo, nonché
le ragioni per le quali poteva essere configurato in capo
alla parte del giudizio amministrativo un onere di
reiterazione dell’istanza di prelievo già presentata;
che invece la Corte d’appello si è limitata a motivare
la riduzione dell’indennizzo solo con riferimento a tali

scostamento dagli ordinari criteri di determinazione

aspetti, senza nulla aggiungere quanto ai profili ora
indicati;
che dunque il ricorso va accolto e il decreto impugnato
va cassato, con rinvio alla Corte d’appello di

emendare le rilevate lacune motivazionali;
che al giudice del rinvio è demandata altresì la
regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie

il ricorso,

cassa

il decreto

impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Messina in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

Caltanissetta perché, in diversa composizione, provveda ad

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