Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27493 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 55/2015 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

P.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Vincenzo

Taranto, con studio in Catania, domiciliato presso la Cancelleria

della Corte Suprema di Cassazione, giusta procura in margine al

controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Palermo – Sezione Staccata di Catania il 7 novembre 2013 n.

357/17/2013, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30 settembre 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo – Sezione Staccata di Catania il 7 novembre 2013 n. 357/17/2013, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione di imposta di registro (con relative sanzioni) in relazione ad una compravendita avente ad oggetto un fabbricato privo di rendita catastale, per il quale il contribuente aveva chiesto l’applicazione della valutazione automatica (dopo l’attribuzione della rendita catastale), in seguito a cassazione con rinvio della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo – Sezione Staccata di Catania il 21 marzo 2006 n. 47/34/2005, ha dichiarato l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, a seguito di definizione agevolata della lite pendente D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ex art. 39, comma 12, convertito dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111, con compensazione delle spese di lite. La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che la definizione agevolata fosse consentita anche con riguardo all’attribuzione della rendita catastale, sul presupposto della sua impugnazione con l’avviso di liquidazione. P.D. si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, lett. a, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18 e art. 19, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che la definizione agevolata fosse consentita nonostante la mancanza dell’impugnazione contestuale e/o separata dell’attribuzione della rendita.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver tenuto conto delle prove fornite dall’amministrazione finanziaria.

RITENUTO CHE:

1. I motivi – la cui stretta ed intima connessione suggerisce la trattazione congiunta – sono infondati.

1.1 Inizialmente, questa Corte ha affermato il principio, secondo cui, in tema di condono fiscale, la controversia nata dal ricorso del contribuente avverso un avviso di liquidazione di imposta, a seguito dell’attribuzione della rendita ad un immobile non accatastato, per il quale le parti hanno dichiarato, in sede di compravendita, di volersi avvalere del criterio di valutazione automatica di cui al D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12, convertito dalla L. 13 maggio 1988, n. 154, nel caso in cui il ricorso investa anche il provvedimento di classamento, conosciuto solo con la notifica del predetto avviso, ha un duplice oggetto: uno derivante dall’impugnazione dell’atto impositivo, in relazione al quale si verifica la situazione di “lite fiscale pendente”, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, definibile, quindi, in base a tale disposizione, ed un altro, che deriva dalla contestazione del classamento e dei criteri di attribuzione della rendita catastale e che, non avendo ad oggetto una pretesa fiscale, non può essere definito in base alla citata disposizione agevolativa (Cass., Sez. Un., 5 marzo 2010, n. 5289; Cass., Sez. 5, 10 agosto 2010, n. 18526; Cass., Sez. 5″, 7 giugno 2013, n. 14383).

Il richiamato indirizzo – che fa propria l’impostazione secondo cui la condonabilità della lite va ravvisata in funzione dei termini sostanziali della controversia e non della mera qualificazione dell’atto impugnato – è intervenuto in relazione ad impugnazione di maggior liquidazione d’imposta di registro, promossa, sul presupposto dell’erronea attribuzione della rendita, con instaurazione del contraddittorio sia nei confronti dell’Agenzia delle Entrate sia nei confronti dell’Agenzia del Territorio.

1.2 In seguito, si è ritenuto che il principio affermato sia, non di meno, valido con riguardo all’ipotesi, di cui anche alla fattispecie in rassegna, dell’impugnazione di avviso di liquidazione, che, pur fondata sull’errata determinazione della rendita assegnata dall’ufficio stimatore, sia stata promossa nei soli confronti dell’Agenzia delle Entrate (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 643).

Al riguardo è decisivo il rilievo che, per consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di questa Corte (Cas., sez. 5, 2 ottobre 2013, n. 22502; Cass., Sez. 5, 18 ottobre 2014, n. 21161), in tema di condono, il presupposto della lite pendente ricorre in presenza dell’iniziativa giudiziaria del contribuente (non dichiarata inammissibile con sentenza definitiva: L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3), che sia potenzialmente idonea ad aprire il sindacato sul provvedimento impositivo, indipendentemente dal preventivo riscontro della ritualità e della fondatezza del ricorso che vi ha dato vita (salva la ricorrenza, non ipotizzabile nella fattispecie, dell’abuso di processo consistente nell’impugnazione, al solo scopo di conseguire vantaggi di sopravvenuta, o preannunciata, normativa condonistica, di atto impositivo da tempo divenuto definitivo per mancata tempestiva impugnazione: Cass., Sez. 5^, 2 ottobre 2013, n. 22502; Cass., Sez. 5^, 9 gennaio 2014, n. 210; Cass., Sez. 5^, 22 gennaio 2014, n. 1271; Cass., Sez. 6^, 17 giugno 2016, n. 12619; Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2019, n. 2859),

1.3 Il criterio comporta che coerentemente, del resto, alla circostanza che, sul piano logico e su quello giuridico, la pendenza della lite costituisce un prius rispetto all’esito della stessa – il giudice è, di principio, tenuto a valutare la sussistenza del presupposto del condono (pendenza di lite condonabile) ex ante, in base a quanto prospettato in giudizio, senza preventiva delibazione dell’ammissibilità e della fondatezza del ricorso che vi ha dato luogo.

1.4 Dagli esposti rilievi consegue che l’impugnazione di avviso di liquidazione di imposta di registro D.L. 14 marzo 1988, n. 70 ex art. 12, convertito dalla L. 13 maggio 1988, n. 154, ove basata sull’erroneità della determinazione di rendita solo contestualmente comunicata, dà vita a lite pendente suscettibile di definizione agevolata ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, indipendentemente dalla ritualità e fondatezza dell’impugnazione medesima, e, pertanto, a prescindere da ogni valutazione in merito alla mancata contestazione del prodromico atto di attribuzione di rendita nei diretti confronti dell’Agenzia del Territorio, quale soggetto all’uopo passivamente legittimato. E tanto, alla stregua di criteri affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di condono e senza alcuna necessità di postulare la sussistenza di un sindacato incidentale, del giudice chiamato a conoscere dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, sul prodromico atto di classamento (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 643).

1.5 D’altro canto, alla configurabilità di un siffatto sindacato incidentale ostano, ineludibilmente, le stesse caratteristiche fondamentali del giudizio. Invero, per esigenze sistematiche e disciplina positiva, tale giudizio contempla una cognizione incidentale, che, a parte quella vertente su atti generali o normativi, è circoscritta (ed in limiti definiti), alle sole questioni elettivamente appartenenti alla giurisdizione di altro giudice (Cass., Sez. 5″, 21 aprile 2011, n. 9183; Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, nn. 643 e 644). Il contenzioso tributario è, infatti, concepito quale processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi (e, in particolare, di quelli enumerati al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, che scandiscono le varie fasi del rapporto d’imposta). Da tale strutturazione (che risponde al più tipico schema della giurisdizione amministrativa), discende quale naturale corollario, che l’oggetto del giudizio tributario è rigorosamente circoscritto agli elementi della sequenza procedimentale propria del provvedimento impugnato, con preclusione di qualsiasi contestazione coinvolgente fasi precedenti già definite e deriva, conseguentemente, che, nell’ambito di detto giudizio, la legittimità di un atto a contenuto concreto ed autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario, non reso oggetto di diretta ed idonea impugnazione, è insuscettibile di delibazione in base a cognizione meramente incidentale a fine di semplice disapplicazione. Ciò perchè, nella giurisdizione di annullamento, attribuire al giudice il potere di disapplicazione (e, quindi, di cognizione meramente incidentale) di atti e provvedimenti che non siano di carattere normativo o generale e, in particolare, di quelli che siano comunque autonomamente impugnabili davanti al giudice adito comporterebbe lo scardinamento dello stesso sistema d’impugnazione degli atti autoritativi e del correlativo regime di decadenza. Le richiamate esigenze sistematiche trovano del resto, nella disciplina del contenzioso tributario, specifiche insuperabili rispondenze normative. Al riguardo, assume, in primo luogo, rilievo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3. Tale disposizione, infatti, sancisce che “ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri” e, precisando ulteriormente che “la mancata impugnazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”, attribuisce al contribuente la scelta tra l’impugnare l’atto presupposto non notificato unitamente a quello consequenziale (al fine della caducazione di entrambi) e l’impugnare solo l’atto consequenziale (al fine della sola relativa caducazione); restando il thema decidendum circoscritto, in tale secondo caso, ai vizi dell’atto consequenziale (nel cui novero va ascritta anche l’omessa notifica dell’atto presupposto), senza alcuna possibilità di sindacato incidentale sui vizi dell’atto presupposto anche qualora possano dar luogo ad ipotesi di invalidità derivata (Cass., Sez. Un., 4 marzo 2008, n. 5791; Cass., Sez. 5, 15 luglio 2009, n. 16444; Cass., Sez. 5, 5 settembre 2012, n. 14861; Cass., Sez. 5, 18 gennaio 2018, n. 1144).

1.6 Nella medesima prospettiva, si pongono, poi, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 5, e art. 2, comma 3. Infatti – recitando “le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente” – la prima disposizione dimostra chiaramente di riferire ai soli regolamenti ed atti generali l’ordinario potere di disapplicazione degli atti amministrativi da parte del giudice tributario. Mentre la seconda disposizione, nel definire il potere di cognizione incidentale riconosciuto al giudice tributario (nel senso che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio”), appare inequivocabilmente circoscriverlo – per intrinseco contenuto letterale del precetto normativo, suo inquadramento sistematico e sua collocazione nell’articolo dedicato alla definizione della giurisdizione del giudice tributario in contrapposizione, in particolare, a quella del giudice ordinario – alle sole questioni che, connaturalmente estranee alla giurisdizione del giudice tributario, sono decisive ai fini della soluzione delle controversie devolutegli (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 643).

1.7 Su tali premesse, questa Corte ha affermato il principio per cui, in tema di condono fiscale, la controversia nata dal ricorso del contribuente avverso avviso di liquidazione d’imposta di registro emesso ai sensi del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12, convertito dalla L. 13 maggio 1988, n. 154, nel caso in cui il ricorso investa anche il provvedimento di classamento comunicato al contribuente solo con la notifica dell’avviso di liquidazione, configura lite pendente ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, ed è, quindi, suscettibile di definizione agevolata in base a detta disposizione, pur in assenza d’impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita nel diretti confronti dell’Agenzia del Territorio che l’ha adottato;

ciò nonostante che, alla luce del principi generali in tema di contenzioso tributario e della previsione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, art. 7, comma 5, e art. 2, comma 3, (l’ultimo come modificato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, comma 2), il giudice investito della legittimità dell’avviso di liquidazione sia, nelle circostanze date, privo di sindacato, anche meramente incidentale, sulla legittimità della rendita attribuita ai fini della definizione dell’imponibile (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, nn. 643 e 644).

1.8 Nella specie, in coerenza ai principi enunciati, la Commissione Tributaria Regionale ha accertato che “il contribuente a suo tempo propose ricorso alla CTP avverso l’avviso di liquidazione e, in subordine, anche avverso il classamento e, poi, avverso il provvedimento con cui l’Ufficio aveva denegato la istanza di definizione della lite”, per cui “non vi è dubbio quindi che il contribuente instauro una lite avverso l’avviso con cui veniva comunicata la imposizione della imposta di registro e il classamento catastale in base al quale sarebbe dovuta essere calcolata la detta imposta di registro che, invece, veniva espressa nell’ammontare, ma senza alcun riferimento all’atto di attribuzione della classe e della rendita poi prodotto, come detto sopra, dall’Ufficio in questa fase del giudizio, ma irrilevante ai fini del decidere”, evidenziando come “l’Ufficio, col citato provvedimento di diniego, non contestò gli estremi contabili della istanza di definizione e non contestò l’ammontare determinato dal contribuente e i versamenti effettuati e documentati”. Pertanto, la stessa ha correttamente rilevato che “si era verificata, ai fini della definibilità della lite, la condizione della impugnazione anche del classamento catastale e non vi era stata contestazione in ordine all’ammontare della somma calcolata e versata dal contribuente”.

4. In conclusione, stante l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.

5. L’andamento della causa nelle fasi di merito ed il consolidamento in corso di causa dell’orientamento giurisprudenziale sulla questione controversa giustificano la compensazione delle spese giudiziali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese giudiziali.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

 

 

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