Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27490 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

G.E., elettivamente domiciliata in Roma, p.zza Adriana n. 5,

presso lo studio dell’Avv. Roberto MASIANI che la rappresenta e

difende unitamente all’Avv. Riccardo Vianello per procura a margine

del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD S.p.A.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 31/1/13 della Commissione

tributaria di secondo grado di Bolzano, depositata in data 11 luglio

2013.

al quale è stato riunito il ricorso r.g.n. 3859/2017 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliata in Roma, via di Villa

Sacchetti n. 9, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Marini che la

rappresenta e difende unitamente all’Avv. Riccardo Vianello per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

e contro

EQUITALIA Servizi di Riscossione S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura a

margine del controricorso dall’Avv. Marco Ferretti;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 71/1/2016 della Commissione di

secondo grado di Bolzano, depositata il 27 giugno 2016.

Udita la relazione delle cause svolta nella camera di consiglio del

23 settembre 2020 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

G.E. impugnò, innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, la cartella, notificatale da Equitalia s.p.a., con la quale si chiedeva, su richiesta dell’Autorità fiscale tedesca e sulla base di titolo esecutivo dell’Ufficio finanziario di (OMISSIS), il pagamento della somma di Euro 354.341,17.

A fondamento del ricorso G.E. deduceva di non conoscere la pretesa del fisco tedesco in quanto nessun atto presupposto le era mai stato notificato e di essere stata residente in Spagna dal 2001 al 2007.

La Commissione di prima istanza accoglieva il ricorso dichiarando che l’Amministrazione era incorsa nella decadenza di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, applicabile alla fattispecie in virtù di quanto disposto dalla Direttiva comunitaria, art. 6.

La Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e rigettato l’appello incidentale della parte privata, riformava integralmente la sentenza di primo grado.

In particolare, il Giudice di appello, ricostruito il dato normativo, quale emergente dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69, ed accertato che il titolo esecutivo tedesco era stato notificato alla G. in data 2 luglio 2008, rigettava nel merito tutti i diversi motivi del ricorso introduttivo (riproposti con appello incidentale), mentre, con specifico riferimento al motivo accolto dal primo Giudice, riteneva che la norma speciale, costituita dal citato D.Lgs., art. 8 (che prevede la riscossione di crediti tributari esteri purchè richiesta entro cinque anni dalla loro definitività), non lasciasse spazio per l’applicazione della disposizione nazionale di decadenza dal diritto di riscossione.

Avverso la sentenza G.E. ha proposto, affidandosi a unico motivo, ricorso cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Equitalia Nord s.p.a. non ha svolto attività difensiva.

Nelle more, a seguito della sentenza di primo grado, favorevole alla contribuente, a quanto risulta dalla sentenza poi impugnata, l’Agenzia delle entrate in data 21 giugno 2011 aveva eseguito lo sgravio della cartella per emettere, dopo la pronuncia di secondo grado, una nuova cartella di pagamento, comprensiva degli interessi maturati medio tempore.

G.E. impugnava anche tale cartella con ricorso che veniva rigettato dalla Commissione tributaria di primo grado.

La Commissione tributaria di secondo grado, con sentenza n. 71/2016, depositata il 27 giugno 2016, respingeva l’appello principale proposto dalla contribuente ed accoglieva l’appello incidentale svolto dall’Agenzia delle entrate avverso il capo della sentenza che aveva compensato tra le parti le spese processuali.

In particolare, il Giudice di appello ribadiva che non sussisteva l’eccepita doppia imposizione In quanto la prima cartella era stata pacificamente annullata e, a seguito della favorevole sentenza di secondo grado, sostituita da quella oggetto di causa.

Aggiungeva che non vi era obbligo di instaurazione del contraddittorio in quanto la contestazione del titolo esecutivo emesso nell’altro Stato membro andava rivolta all’organo competente dello Stato membro, restando attribuita alla giurisdizione italiana la sola contestazione degli atti della procedura esecutiva e che la cartella era sufficientemente motivata; ribadiva, quanto ai termini di decadenza dalla potestà di riscossione le argomentazioni in diritto già svolte con la sentenza n. 3171/2013.

Per la cassazione della sentenza G.E. propone ricorso affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso Equitalia Servizi di riscossione S.p.a., già Equitalia Nord s.p.a..

L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Appare opportuno, per la pregiudizialità delle questioni trattate con il ricorso iscritto al n. r.g. 3859/2017 rispetto a quelle del ricorso iscritto al n. r.g. 6010/2014, disporre la riunione dei procedimenti.

2. Con il primo motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 3859/17 G.E. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, laddove la Commissione tributaria di secondo grado aveva ritenuto legittima l’emissione da parte dell’Ufficio di una seconda cartella, fondata sul medesimo titolo esecutivo, in difformità dei principi enunciati da questa Corte nelle stesse sentenze citate a supporto delle decisione.

3. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla mancata emissione dello sgravio della prima cartella. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, il provvedimento di sgravio non solo non era mai stato notificato alla contribuente ma non era mai stato allegato in atti, essendosi la Commissione di secondo grado limitata ad asseverare la circostanza sulla base della sola dichiarazione resa in udienza dall’Agenzia.

4. I motivi, vertenti sulla medesima questione, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

4.1. La Commissione tributaria di secondo grado, nel passo motivazionale oggetto di censura, ha escluso che, nella specie, fosse stato violato il divieto della doppia imposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, in quanto ha dato per accertato e pacifico che la prima cartella e il relativo ruolo fosse stato sgravato dall’Ufficio, a seguito della sentenza di primo grado favorevole alla contribuente, in data 21 giugno 2011.

Trattasi di accertamento in fatto non idoneamente censurato con i due mezzi e che, peraltro, pare trovare ulteriore riscontro nella circostanza, pacifica in atti e tra le parti, che la cartella recasse, nella motivazione, un’espresso riferimento alla sentenza della Commissione tributaria di secondo grado, impugnata con il ricorso iscritto al n.r.g. 6010/2014.

4.2 Ciò posto, la sentenza impugnata, sul punto, rimane esente da censura. Premesso che nessuna norma impone la notificazione al contribuente del provvedimento di sgravio, è indubbio che il divieto di doppia imposizione di cui all’invocato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, riguarda la reiterazione dell’applicazione della stessa imposta mentre, nel caso in esame, non vi è contestazione che il debito di imposta, fondato sul titolo esecutivo tedesco, portato dalle due cartelle sia il medesimo, con la mera aggiunta, nella cartella emessa a seguito della sentenza della Commissione di secondo grado, dopo lo sgravio conseguente alla decisione di primo grado favorevole alla contribuente, degli interessi medio tempore maturati.

4.3 Va, infatti, al proposito, ribadita la giurisprudenza di questa Corte, citata anche nella sentenza impugnata, secondo cui lo sgravio, disposto in via provvisoria in ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente, non produce alcun effetto sull’avviso di liquidazione, nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in autotutela. Tal principio è stato ribadito, di recente, da Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18976 del 16/07/2019: “Nel processo tributario l’integrale sgravio del ruolo disposto dopo la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva quindi dell’impugnazione, trattandosi di un comportamento che può essere fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione, senza che assuma rilievo l’esistenza o meno di atti prodromici all’atto impugnato nè che tale condotta evidenzi la cessazione della materia del contendere.”.

4.4 Nel caso in esame, l’atto prodromico è costituito dal titolo esecutivo tedesco e la cartella è stata emessa dall’Amministrazione italiana, in adempimento alla richiesta di assistenza tributaria avanzata da quello Stato, ai meri fini della riscossione, con l’ulteriore conseguenza che, in detta particolare ipotesi, la cartella assolve esclusivamente alla funzione equivalente a quella del precetto ed ha carattere necessario, consistente nell’accertare il mancato pagamento del debito tributario e nell’intimare al contribuente l’effettuazione del versamento dovuto. Con l’ulteriore conseguenza della piena legittimità dell’emissione, a tali fini, anche di due cartelle, l’una successiva (ovvero sostitutiva) dell’altra e senza che da ciò alcun danno possa derivare all’intimato.

5. Anche il terzo motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 3859/2017 -con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’obbligo di assicurare l’indispensabile contraddittorio endoprocedimentale tra fisco e contribuente e la violazione degli artt. 24,97 e 111 Cost. e della Carta di Nizza, art. 41 – non può trovare accoglimento.

5.1. La censura incorre, infatti, nella sanzione di inammissibilità in quanto, limitata com’è al generico richiamo al principio di obbligatorietà del contraddittorio, non attinge la ratio decidendi sulla quale è fondata la sentenza impugnata ovvero che, nella particolare fattispecie (di emissione di cartella a seguito di istanza di assistenza da parte di altro Stato membro), ogni contestazione del prodromico titolo esecutivo, ivi compresa quella relativa alla mancata attivazione del contraddittorio preventivo, andava rivolta all’Organo competente dello Stato membro restando attribuita alla giurisdizione italiana la contestazione degli atti della procedura esecutiva.

6. Con il quarto motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 3859/2017, sostanzialmente coincidente, nel contenuto, con l’unico motivo del ricorso iscritto al n. r.g. 6010/2014, la parte privata deduce l’erroneità delle due sentenze per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, lett. c.), e del D.Lgs. n. 69 del 2003, art. 8, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

In particolare, si censurano le due decisioni, laddove hanno ritenuto che la norma di cui al D.Lgs. n. 69 del 2003, art. 8, fosse norma speciale, in materia di termini per la riscossione, rispetto a quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25.

6.1. Le censure sono infondate.

La normativa italiana che legittima l’attività di reciproca assistenza nella riscossione trova riferimento principalmente nel D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69, che ha recepito la Dir. 2001/44/CE del Consiglio di Europa; in base a tale normativa le contestazioni rilevabili, collegate alle irregolarità formali del procedimento di riscossione di un credito estero possono essere soltanto quelle relative all’attività amministrativa finanziaria che procede (in questo caso italiana) e non quelle riconducibili alle sequenze procedimentali compiute all’estero. Le contestazioni inerenti l’esistenza o l’ammontare del credito tributario devono invece essere risolte dal giudice nazionale dello Stato ove è sorta l’obbligazione tributaria.

In tale senso risulta, costantemente, orientata la giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 760 del 17/01/2006) la quale aveva avuto modo di affermare che “in tema di rapporti tra la giurisdizione italiana e quella tedesca in materia tributaria, la Convenzione tra Italia e Germania sull’assistenza giudiziaria in materia tributaria, approvata con R.D.L. 9 settembre 1938, n. 1676, – dettando un criterio successivamente recepito dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69, art. 6, di attuazione della Dir. comunitaria 2001/44/CE, relativa tra l’altro al recupero di crediti connessi ai dazi doganali, all’IVA ed a talune accise – riserva alle autorità tedesche il compito di accertare la sussistenza dei crediti per imposte dovute in Germania, e quindi anche quello di pronunciarsi in ordine all’eventuale prescrizione del debito stesso; qualora peraltro, ai sensi dell’art. 10 della Convenzione, l’autorità tedesca si avvalga della facoltà di rivolgersi a quella italiana per la riscossione dell’imposta, l’autorità italiana deve procedere in conformità alla legge italiana, e quindi mediante la notificazione della cartella esattoriale, la cui impugnazione, trattandosi di un atto emesso da un’autorità italiana e regolato dalla legge italiana, deve aver luogo dinanzi al giudice italiano; poichè in tal caso, pur essendo sorta all’estero, l’obbligazione è riconosciuta e recepita dalla nostra legge come obbligo tributario, e come tale è gestita dall’autorità italiana, la relativa controversia è devoluta al giudice ordinario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, come sostituito dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, soltanto ove abbia ad oggetto gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento, restando altrimenti attribuita alla giurisdizione tributaria.

Detto orientamento è a tutt’oggi seguito. Cass. n. 19283 del 12 settembre 2014 ha, così, ribadito che “In materia di crediti per tributi sorti negli Stati membri della Comunità Europea, le condizioni previste dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 346 bis, comma 2, lett. b), (ratione temporis applicabile) non vanno accertate dall’Amministrazione italiana prima di procedere ad esecuzione forzata, ma devono essere solo attestate nella richiesta di assistenza reciproca avanzata dalla Amministrazione finanziaria dello Stato che ha emesso il titolo esecutivo, sicchè, ove la richiesta contenga l’indicazione della data di esigibilità del credito, la dichiarazione di non contestazione del credito e del titolo esecutivo nello Stato emittente, nonchè quella del mancato integrale recupero del credito in quello Stato malgrado l’azione esecutiva in esso intrapresa, l’Amministrazione italiana può dare corso all’azione di recupero, fermo restando che le contestazioni concernenti il merito dei suddetti elementi vanno indirizzate all’organo competente dello Stato creditore, poichè riguardano il titolo esecutivo estero e non la procedura di riscossione del credito in Italia” (cfr. in senso conforme, di recente, Cass. n. 8931 del 11.04.2018).

6.2. Così delineato il quadro normativo di riferimento, alla luce della interpretazione fornitane da questa Corte, giova premettere, che, ai fini della fattispecie oggi in esame, rilevano il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69, art. 8, il quale prevede che “l’assistenza per il recupero dei crediti non ha luogo se il periodo intercorrente tra la formazione del titolo esecutivo nello stato richiedente e la richiesta di recupero per il credito è superiore a cinque anni” e il successivo art. 9, secondo cui “la prescrizione dei crediti è regolata dalle disposizioni vigenti nello stato in cui sono sorti e i documenti e le informazioni ricevuti dall’autorità richiedente sono comunicati… alla persona cui si fa riferimento nella domanda di assistenza”.

6.3 La ricorrente muove la sua prospettazione difensiva dalla considerazione che la Dir. 76/308/CEE, art. 6, dispone che il recupero del credito debba avvenire secondo le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili per il recupero dei crediti analoghi sorti nello stato membro in cui ha sede l’autorità adita.

Questa disposizione è ribadita dal D.Lgs. n. 69 del 2003, art. 5, comma 8, il quale prevede che “Per il recupero dei crediti di cui al presente decreto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modifiche e nel D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e successive modificazioni”.

Secondo la prospettazione difensiva dal combinato disposto delle norme deriverebbe che l’Amministrazione erariale italiana, richiesta della riscossione da parte di altro Stato membro, nell’emettere la cartella dovrebbe rispettare i termini, all’uopo, fissati dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, e, in particolare, i due anni dalla data in cui l’accertamento diviene definitivo.

6.4 Tale tesi non può essere condivisa. Nel caso in esame, si legge dalla sentenza impugnata che il titolo tributario tedesco era divenuto definitivo nel 2004 ma non è dato sapere la data della richiesta allo Stato italiano. Peraltro, la ricorrente non contesta la decorrenza del termine quinquennale di cui al citato art. 8, ma ribadisce, unicamente, l’applicabilità alle cartelle impugnate dei termini di cui al citato art. 25. Così ricostruiti il quadro normativo e i termini fattuali della vicenda processuale le censure sono infondate.

6.4 Alla luce dei principi sopra esposti, è, infatti, evidente che il richiamo operato dal D.Lgs. n. 67 del 2003, al D.P.R. n. 602 del 1973, riguarda unicamente la procedura da utilizzare per la riscossione in esito ad una richiesta di assistenza pervenuta da uno Stato membro e non anche i termini ivi previsti per la riscossione dei tributi nazionali. E, infatti, a fronte della disciplina speciale che prevede un termine di non esigibilità, l’applicazione tout court, peraltro analogica e come tale inammissibile, dei termini del del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 (ovvero due anni dalla definitività dell’avviso di accertamento) alla cartella emessa dallo Stato italiano in assistenza tributaria a diverso Stato membro appare oltretutto, radicalmente incompatibile con il termine più lungo previsto, sia pure a fini diversi, dalla norma speciale di cui al D.Lgs. n. 69 del 2003, art. 8.

7. Con il quinto motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 3859/2017 la ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza nella parte in cui non si era ritenuta illegittima la cartella per difetto di motivazione, con violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In particolare, si deduce che la Commissione di secondo grado avrebbe condotto lo scrutinio, in punto di motivazione, sulla scorta di indicazioni previste dal modello ministeriale anzichè delle norme invocate e non avrebbe tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la cartella deve indicare in maniera analitica e dettagliata i conteggi operati dall’Ufficio.

7.1. La censura è infondata. Per come dato atto dalla stessa ricorrente, la cartella riportava in motivazione quale fonte la richiesta dello Stato tedesco e il titolo esecutivo nonchè l’indicazione della sentenza della Commissione di secondo grado di Bolzano, tutti atti ben conosciuti dalla G., parte costituita in quel giudizio. Riguardo, invece, alla mancata indicazione del calcolo degli interessi la doglianza rimane, nella sua assoluta genericità, inammissibile e, peraltro, ogni doglianza, per i principi su esposti, andrebbe rivolta allo Stato creditore.

8. Con il sesto motivo del medesimo ricorso si denuncia, infine, un’omessa pronuncia da parte della Commissione di secondo grado rispetto alla doglianza relativa alla dedotta omissione di notifica degli atti presupposti (richiesta di recupero, titolo esecutivo e sentenza della Commissione di secondo grado di Bolzano n. 31/1/13).

8.1. La censura è infondata. Nella specie, non vi è omissione di pronuncia, laddove il Giudice di appello ha espressamente motivato sulla questione, sia pure per relationem a quanto già pronunciato dalle Commissioni di primo e secondo grado di Bolzano nelle sentenze relative alla prima cartella (entrambe, come si è detto, conosciute dalla contribuente parte costituita in quei giudizi).

9. In conclusione, alla stregua delle complessive considerazioni che precedono, i ricorsi, riuniti, vanno rigettati.

10. La ricorrente, soccombente, va condannata alla refusione delle spese in favore delle controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo.

10. Sussistono, per entrambi i ricorsi, i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Riunito al ricorso iscritto al n.rg. 6010/2014 quello portante il n.r.g. 3859/2017, rigetta entrambi.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese processuali liquidate in favore dell’Agenzia delle entrate in complessivi Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito e in favore di Equitalia Servizi di riscossione S.p.A. in complessivi Euro 5.000,00 oltre Euro 200 per esborsi, rimborso spese forfetario nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma, dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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