Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2749 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 05/02/2020), n.2749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2015-2019 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLO SASSI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 2958/2017 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO,

depositato il 23/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 23 novembre 2018 il Tribunale di Campobasso rigettava il ricorso proposto da P.S., cittadino bengalese, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex artt. 2 e 14, e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale, una volta constatato come il richiedente asilo avesse lasciato il suo paese per provvedere al sostentamento dell’intera sua famiglia: i) rilevava che i motivi di allontanamento, di carattere puramente economico e personale, non erano riconducibili a motivi di persecuzione; ii) riteneva che il Bangladesh, dove pure erano presenti forti tensioni politiche e religiose, non fosse teatro di una situazione di violenza indiscriminata che consentisse il riconoscimento della protezione sussidiaria richiesta; iii) osservava che non erano stati allegati o provati elementi che facessero ritenere il migrante particolarmente vulnerabile; iv) rigettava, di conseguenza, le domande proposte, revocando nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia P.S. al fine di far valere tre motivi di impugnazione;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3 e 14 e art. 16, comma 1, lett. b), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla vicenda personale del richiedente asilo e dalla situazione esistente in Bangladesh: il Tribunale, senza offrire alcuna reale motivazione, avrebbe valutato non correttamente la vicenda personale del migrante, trascurando di considerare da un lato le condizioni di estrema povertà in cui questi si era venuto a trovare a causa dei cambiamenti climatici in atto, dall’altro le forti tensioni politiche e religiose esistenti nel paese e i correlati rischi che il medesimo avrebbe subito in caso di rimpatrio;

3.2 il secondo mezzo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla situazione esistente in Bangladesh: il Tribunale non avrebbe effettuato alcuna valutazione comparativa fra la situazione di integrazione in cui si trovava in Italia il migrante e l’allarmante situazione socio-politica esistente nella sua zona di provenienza; oltre a ciò, posto che i seri motivi necessari per il riconoscimento di questa forma di protezione potevano essere ricondotti a situazioni tanto soggettive quanto oggettive relative al paese di provenienza, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che le condizioni di vita del richiedente asilo nel paese di origine, dove vi era una situazione di insicurezza e instabilità tale da determinare la violazione dei diritti fondamentali della persona, erano oggettivamente del tutto inadeguate;

3.3 con il terzo motivo il ricorrente assume la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, e art. 136, comma 2: il Tribunale avrebbe disposto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a motivo dell’insussistenza originaria dei relativi presupposti, benchè l’iniziativa giudiziale non fosse stata assunta con colpa grave nè fosse possibile ritenere che le ragioni del ricorso risultassero manifestamente infondate;

4. il ricorso risulta inammissibile, per una pluralità di differenti ragioni;

4.1 in primo luogo il ricorso è privo di una compiuta esposizione dei fatti processuali, richiesta a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3;

il ricorrente, in particolare, tace completamente sugli argomenti di fatto e di diritto posti a fondamento della sua istanza di protezione e della successiva impugnazione del rigetto dinanzi al Tribunale di Campobasso;

4.2.1 oltre a ciò il primo motivo di ricorso assume che le difficoltà di carattere economico debbano essere tenute in considerazione ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato quando siano il risultato di una persecuzione o di una discriminazione così grave da potersi considerare persecutoria;

una simile critica tuttavia, focalizzandosi sulle conseguenze economiche provocate dall’asserita persecuzione piuttosto che sulle ragioni della stessa, evita di confrontarsi e censurare la ratio decidendi posta a base, sul punto, del provvedimento impugnato (allorquando il collegio di merito ha rilevato come lo stesso migrante non avesse allegato il ricorrere di alcuna delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e)) e risulta, di conseguenza, inammissibile, dato che il ricorso per cassazione deve necessariamente fondarsi su motivi aventi i caratteri, oltre che di specificità e completezza, anche di riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 6587/2017, Cass. 13066/2007);

4.2.2 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, laddove ha rappresentato che il Bangladesh non versa, stando alle fonti internazionali consultate ed espressamente indicate, in una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno;

anche sotto questo profilo la censura in realtà cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti informativi valutati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

4.2.3 entrambi i profili del primo motivo di ricorso risultano quindi inammissibili, in quanto deducono, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 8758/2017);

4.3.1 stessa sorte deve essere assegnata al secondo motivo di ricorso;

in vero la doglianza relativa alla mancanza di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza, presupponeva che il migrante allegasse e dimostrasse la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018);

la mancata indicazione del raggiungimento di una situazione di integrazione in Italia – circostanza a cui il Tribunale non fa alcun riferimento e che il ricorrente non assume di aver compiutamente dedotto in sede di merito – impediva quindi, a prescindere da ogni questione relativa all’applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, di estendere la valutazione della domanda al profilo comparativo che si assume omesso;

4.3.2 il Tribunale ha escluso la sussistenza di fattori oggettivi di vulnerabilità ricollegati alla condizione del paese quando ha rilevato che non erano state prospettate evenienze da cui desumere l’attuale sussistenza di esigenze umanitarie;

anche sotto questo profilo risulta inammissibile la prospettazione, peraltro sulla base di allegazioni di principio del tutto generiche, di una diversa lettura e interpretazione delle risultanze di causa e delle informazioni raccolte sulla situazione socio-politico-economica del paese, trattandosi di censura attinente al merito, la cui valutazione è attribuita in via esclusiva al relativo giudice;

4.4 l’ultimo motivo di ricorso si prospetta parimenti inammissibile;

il Tribunale ha proceduto alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato direttamente all’interno del decreto impugnato e in uno con la decisione sul merito della controversia piuttosto che con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2;

il che tuttavia non comporta mutamenti nel relativo regime impugnatoti, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dallo stesso D.P.R., art. 170, dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il decreto che definisce il merito, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal testo unico in parola, art. 113 (Cass. 3028/2018, Cass. 29228/2017, Cass. 32028/2018);

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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