Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27489 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/12/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12344/2014 proposto da:

LA PRIMULA S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Vanni Cecchinelli e dall’Avv.

Agostino Gessini anche disgiuntamente, con domicilio eletto in Roma,

piazza della Libertà n. 13, presso lo studio dell’Avv. Gessini;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 168/17/2013 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA,

depositata l’8/11/2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/9/2020 dal consigliere Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 168/17/2013 depositata in data 8 novembre 2013 la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello principale proposto dalla società La Primula S.r.l., attiva nel settore edilizio, e accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 69/2/12 della Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara avente ad oggetto un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA 2006.

– In particolare, l’accertamento si fondava sullo scostamento dei prezzi dichiarati dalla contribuente in compravendite immobiliari nel periodo di imposta dai valori OMI e su indagini bancarie. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso ritenendo l’accertamento fondato solo in relazione ad una delle compravendite contestate, mentre il giudice d’appello confermava integralmente la legittimità delle riprese.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– In via preliminare, l’Agenzia controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto l’articolazione di entrambi i motivi sarebbe costruita sulla base della riproposizione delle tesi difensive di merito, senza alcun riferimento alle statuizioni della CTR.

– Senza indicare i pertinenti parametri dell’art. 360 c.p.c., comma 1, con due censure la contribuente denuncia in primo luogo la “violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto. Atto emesso per “relationem”” (cfr. p. 7 ricorso) e, in secondo luogo, deduce: “Nel merito. L’avviso di accertamento non merita accoglimento anche sotto questo profilo (…) l’Ufficio non solo ha usato una metodologia che è totalmente astratta che non fa riferimento alcuno a casi concreti di transazioni ma ha posto in essere un meccanismo artificioso e per nulla dimostrato per determinare i valori riportati nell’avviso di accertamento” (cfr. p. 12 ricorso).

– Le censure sono inammissibili. Va ribadito che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.” (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).

– Infatti, “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito.” (Cass. 22 settembre 2014 n. 19959).

– Lo sviluppo delle censure collide con i principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali. La ricorrente infatti, in luogo di censurare la sentenza impugnata e farlo specificamente, adduce argomenti di stretto merito attinenti alla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, mancando di calibrare il ricorso alla stregua delle caratteristiche del processo di legittimità. Sotto tale profilo le censure sono dunque inammissibili.

– Inoltre, va anche ribadito che “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. 7 aprile 2017 n. 9097).

– Le censure collidono all’evidenza anche con i principi di diritto da ultimo richiamati, posto che criticano la decisione del giudice tributario di appello contestandone le valutazioni in fatto e del quadro probatorio e, quindi, richiedendo a questa Corte una “revisione” del relativo giudizio di merito riservato alla CTR, senza addurre l’esistenza di fatti decisivi e contrari, ritualmente introdotti nel processo e non debitamente considerati dal giudice d’appello.

– Da quanto precede discende il rigetto del ricorso per inammissibilità dei motivi, e a ciò segue il regolamento delle spese di lite, liquidate in dispositivo, secondo la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi e condanna la ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, art. 1, comma 17, n. 228, (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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