Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27488 del 09/12/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27488 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 22744-2011 proposto da:
COSCIA ARCANGELO CSCRNG45SO4B784L, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 14, presso lo studio
dell’avvocato GIGLIO ANTONELLA, che lo rappresenta e difende
uíiii’tafflefite alravveleatei LEONE MAURIZIO giusta p-rneurà calce

al ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 09/12/2013

avverso la sentenza n. 64/31/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 21/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;

per l’accoglimento del ricorso;
è presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE che
aderisce alla relazione.

\

Ric. 2011 n. 22744 sez. MT – ud. 13-11-2013
-2-

udito l’Avvocato Antonella Giglio difensore del ricorrente che insiste

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Milano ha respinto l’appello di Coscia Arcangelo -appello proposto
contro la sentenza n.285/23/2008 della CTP di Milano che aveva pure respinto il
ricorso della parte contribuente – ed ha così confermato gli avvisi di accertamento
relativi ad IVA-IRPEF-IRAP per gli anni 2003-2004, avvisi implicanti rettifica dei
redditi dichiarati per gli anzidetti periodi nei riguardi di esercente attività di
commercio ambulante di frutta e verdura, sulla scorta dell’applicazione del saggio di
ricarico medio (sui costi di acquisto dei beni destinati alla vendita) del 78% in vece di
quello dichiarato del 19,87%, saggio desunto da un’indagine espletata su attività
similari.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso di ritenere corretto il criterio di
determinazione del reddito, se pure in presenza di contabilità correttamente tenuta,
atteso che gli elementi gravi precisi e concordanti a fondamento di detto criterio
“sono stati forniti dallo stesso contribuente dai dati sugli acquisti che stridono con i
valori dei ricavi esposti in contabilità”, senza che potesse risultare rilevante che il
contribuente abbia compiuto la sua attività oltre che nella provincia di Milano anche
nella provincia di Pavia, così come l’asserita riduzione dei ricarichi nel periodo
tenuto in considerazione.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.

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letti gli atti depositati

Con il primo ed il secondo motivo di impugnazione (entrambi improntati a vizio di
motivazione), la parte ricorrente lamenta che il giudice del merito abbia trascurato
dati di fatto controversi e decisivi, quali: a) la “non comparabilità” con quella
soggetta ad accertamento delle cinque ditte considerate dall’Ufficio ai fini della
estrapolazione della media di ricarico applicabile al settore merceologico di cui si

oggi ricorrente); b) la contrazione del mercato ortofrutticolo nei periodi di imposta
qui in esame.
I motivi in esame appaiono per più versi inammissibilmente formulati: da un canto
(in relazione al primo motivo di censura menzionato), non avendo la parte ricorrente
in maniera idonea chiarito la decisività ai fini del giudicare del fatto indicato come
“non comparabilità”, atteso che non è stato indicato elemento alcuno utile a lasciar
supporre che vi sia decisiva discrasia tra le caratteristiche delle ditte prese a
comparazione e quella qui in esame (quale certamente non può essere la non perfetta
identità dei mercati di rispettivo utilizzo, certamente siti in contesti omogenei e
territorialmente simili); d’altro canto (in relazione al secondo motivo di censura
menzionato) non avendo la parte ricorrente delucidato in base a quali fonti probatorie
abbia comprovato la circostanza della notevole contrazione di mercato e perciò
dell’inapplicabilità del ricarico medio usuale.
Appare d’altronde manifesto che, sub specie del prospettato vizio di motivazione la
parte ricorrente non si limita a chiedere a questa Corte un controllo circa la coerenza
o la sufficienza dell’iter argomentativo utilizzato dal giudice del merito ma chiede —
invece- la rinnovazione del giudizio comparativo —già adeguatamente espletato dal
giudice di appello- in ordine al materiale probatorio dedotto in atti, con inammissibile
sovrapposizione del giudizio di questa Corte ai poteri propri ed esclusivi del giudice
del merito.
Ed infatti è ius receptum che:”Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito
dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento
decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una

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tratta (avendo queste ultime operato in zone diverse da quelle in cui operava la parte

determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in
realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in
una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento
al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio
di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo

di causa. Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione
che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di
merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse di
ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli
assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il
ricorso “sub specie” di omesso esame di un punto decisivo” (Cass. Sez. L, Sentenza
n. 3161 del 05/03/2002).
Non resta che concludere per l’inammissibilità di entrambi i motivi.
Quanto al terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del combinato
disposto degli art.39 comma 1 lettera d del DPR n.600/1973 e 54 comma 2 del DPR
n.633/1972 nonché 62/sexies comma 3 del D.L. n.331/1993), con esso la parte
ricorrente si duole che il giudice del merito abbia ritenuto la legittimità
dell’accertamento, per quanto fondato sulla sola comparazione tra i corrispettivi
dichiarati e quelli desumibili con l’applicazione della percentuale media di ricarico,
sia pure in assenza di rilievi sulla correttezza della contabilità.
Detto motivo di impugnazione appare infondato, alla luce del costante indirizzo della
Suprema Corte (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26388 del 05/12/2005) secondo il
quale:”In presenza di scritture contabili formalmente corrette, non è sufficiente, ai
fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, il solo rilievo
dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da
quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza – posto che le medie di
settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale
argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di

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giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti

una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi
inidonee, di per sé stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni -, ma
occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore – tra cui anche l’abnormità e
l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal
contribuente e la media di settore – incidente sull’attendibilità complessiva della

concordanti”.
Poiché il giudice del merito si è attenuto al predetto principio di diritto, esprimendo
una precisa qualificazione di irragionevolezza della difformità rilevata (di che si è
detto trascrivendo i passaggi salienti della decisione impugnata), siccome è coerente
con l’esercizio dei poteri di valutazione che gli sono riservati, appare conseguente
ritenere che la pronuncia impugnata non meriti cassazione.
Si propone pertanto la decisione in camera di consiglio per inammissibilità e
manifesta infondatezza del ricorso.
Roma, 20 marzo 2013

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori
delle parti;
che la memoria illustrativa depositata da parte ricorrente non induce il collegio a
rimeditare gli argomenti posti dal relatore a supporto della proposta di decisione;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in € 3.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013.

dichiarazione, ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e

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