Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27486 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 05/07/2019, dep. 28/10/2019), n.27486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20693-2015 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 63

(FAX 0364535069), presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GARATTI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO

CARATTONI;

– ricorrente –

contro

D.F.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO BERTELLI

LEONESIO;

– controricorrente –

e contro

P.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 128/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2019 dal Consigliere ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO che ha concluso per accoglimento 1-2-3-4-5 motivo, rigetto

6-7-8 motivo, assorbito il 9 motivo del ricorso;

udito l’Avvocato BERTELLI LEONESIO Enrico, difensore del resistente

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.M., quale comproprietario di abitazione in (OMISSIS) conveniva nel novembre del 2006 D.F.B., proprietario di fabbricato rurale confinante, innanzi al Tribunale di Brescia – Sezione Distaccata di Salò.

L’attore lamentava il fatto che il confinante convenuto aveva chiuso l’accesso – da sempre, a suo dire, goduto – alla via pubblica “(OMISSIS)”, che avveniva attraverso un portone che si apriva sulla corte comune ai fabbricati, corte a sua volta collegata alla detta via.

La domanda era resistita dal D.F..

Questi, eccepito preliminarmente la sussistenza di litisconsorzio necessario fra il T. e P.E., comproprietari paritari del bene a tutela de quale si agiva in confessoria servitutis, svolgeva deduzioni a sostegno della infondatezza, nel merito, dell’avversa domanda attorea.

In particolare deduceva che esso ed i suoi danti causa avevano da sempre goduto in via esclusiva della corte de qua, che il T. non vantava alcun diritto e che il portone che si affaccia sull’area cortilizia era stato realizzato per bonaria e tollerante concessione al solo fine di consentire l’accesso ad un deposito di fieno, ferma lo sbarramento fra la corte e la pubblica via (OMISSIS) di oltre trenta anni.

In relazione a tale ultima esposta situazione il convenuto chiedeva, quindi, in via riconvenzionale e previa integrazione del contraddittorio, la declaratoria di esclusiva proprietà del mappale 496 ovvero della corte, nonchè la disposizione di riduzione di una luce del T. secondo la previsione di cui all’art. 901 c.c..

Integrato il contraddittorio, il P. contestava quanto dedotto dal convenuto e chiedeva anch’esso il riconoscimento a favore del fabbricato di cui era comproprietario della servitù di passaggio sulla corte per accedere alla succitata pubblica via.

L’adito Tribunale di prima istanza, con sentenza n. 53/2011 rigettava le domande dell’attore e del terzo chiamato ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava l’esclusiva proprietà in favore del D.F. della particella n. 496, accertava la natura di luce irregolare dell’apertura sul cortile con condanna del T. alla riduzione di detta luce secondo le caratteristiche ex art. 901 c.c., condannando l’attore ed il terzo alla refusione delle spese.

Il T. interponeva appello avverso la suddetta decisione del Giudice di prime cure, della quale chiedeva la riforma, con atto fondato su tre motivi (due attinenti al passaggio ed uno relativo all’accertata proprietà del mappale n. 496).

L’appello era resistito dal D.F., che – a sua volta – proponeva appello incidentale.

Il P. rimaneva contumace nel giudizio di secondo grado.

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 128/2015, ritenuto l’appello incidentale relativo a questione di correzione per errore materiale del dispositivo della sentenza del Tribunale (ove era ripetuto per due volte la stessa disposizione relativa all’unica luce esistente), respingeva il gravame interposto dal T., condannato all’ulteriore refusione delle spese.

Ricorre per la cassazione della succitata decisione della Corte distrettuale il T. con atto affidato a nove motivi di ricorso e resistito con controricorso dal D.F.. Non ha svolto attività difensiva l’intimato P.. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

Ragioni della Decisione

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1141,2728 e 2697 c.c..

Parte ricorrente lamenta, in sostanza, l’erroneità della affermazione della sentenza secondo cui la “presenza della porta nell’edifico non significa nulla”;

lamenta, quindi e per conseguenza, la pretesa mancata prova – da parte del D.F. – della prova egli atti di tolleranza e, quindi, il mancato assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c..

Orbene, al di là della impropria utilizzazione della suddetta frase estrapolata dal complessivo contesto della motivazione, deve evidenziarsi quanto segue.

Nella concreta fattispecie in esame – contrassegnata decisivamente da aspetti di valutazione in fatto prima ancora che in tema di applicazione di norme di diritto – il passaggio attraverso la corte de qua poteva avvenire sia verso l’interno della medesima corte (per raggiungere un locale) che verso l’esterno ovvero in direzione della pubblica via.

Il D.F. ha riconosciuto il passaggio attraverso la corte concesso per tolleranza al fine di consentire l’accesso al fienile; all’odierno ricorrente spettava la prova dell’esercizio della servitù anche verso la pubblica via.

La Corte territoriale ha, quindi, distinto fra passaggio all’interno della corte per accedere al locale-deposito ed il differente, ma non provato, passaggio verso l’esterno ovvero in direzione della via (OMISSIS).

Motivo e ratio determinante del logico convincimento della Corte è stato, quindi, l’accertato fatto che l’unico tracciato rilevato e calpestato conduceva solo verso la porta del fienile.

Si tratta, a ben vedere, di una valutazione eminentemente fattuale propria del Giudice del merito e che travalica in modo dirimente ogni pretesa costruita violazione di norme di diritto.

Non vi è stata, pertanto ed in virtù della detta dirimente rilevazione congruamente fatta propria dalla sentenza gravata, violazione alcuna delle norme pretesamente allegate col motivo qui in esame.

Lo stesso è, quindi, infondato e va conseguentemente rigettato.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione dell’art. 116 c.p.c..

Col motivo si pone la questione della valutazione, invero propria dei Giudici del merito, delle deposizioni dei testi e fra loro asseritamente contrastanti.

La questione non è ammissibile.

Va evidenziato che, quanto al preteso cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice del merito, “in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” di guisa che “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 10 giugno 2016, n. 11892).

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la mancata valutazione del requisito dell’apparenza.

Non vi è stata omessa o errata valutazione, comunque attinente al fatto ed al merito, del detto requisito.

Deve, ancora, rimarcarsi che la decisiva ratio – non intaccata col motivo di ricorso qui in esame, nè più rivalutabile sotto il profilo meritale – della sentenza gravata è chiara e dirimente nella sua semplicità.

Il Giudice del merito ha rilevato che l’unico tracciato calpestato era verso la porta del fienile e non verso l’esterno ovvero in direzione della via (OMISSIS).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di omessa valutazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura attiene, nella sostanza, alla valutazione delle risultanze istruttorie, specie di quelle evincibili dalla deposizione del teste C..

Trattandosi di censura di carattere meritale ed eminentemente relativa alla valutazione, propria dei Giudici del merito, il motivo non può che essere dichiarato inammissibile.

5.- Con il quinto motivo del ricorso si censura il vizio di omessa valutazione.

Viene, in sostanza, ripresa la già sviscerata questione del portone e del tracciato calpestabile ritenuto dai Giudici del merito come orientato solo verso di esso.

Al riguardo non può – evitando ripetizioni – che rinviarsi a quanto già innanzi esposto.

Il motivo è inammissibile.

6.- Con il sesto motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione art. 1061 c.c..

Viene riproposta la questione della valutazione del requisito dell’apparenza della servitù per cui è controversia.

In ordine a tale requisito non vi è stata, in effetti, una omessa o, per quanto in questa sede apprezzabile, erronea valutazione dei Giudici del merito, ma solo una valutazione difforme rispetto a quella dell’aspettativa dell’odierno ricorrente.

Ciò comporta l’insussistenza della pretesa prospettata violazione della norma di legge, invocata strumentalmente al fine di una revisione meritale del medesimo requisito. Il motivo non è, quindi, ammissibile.

7.- Con il settimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Si sostiene, da parte ricorrente, la violazione dell’anzidetta norma a opera della decisione gravata in quanto la parte avversa avrebbe dovuto provare prima ancora di richiederne l’affermazione proprio diritto proprietà.

I Giudici del merito hanno, tuttavia, accertato che la particella 496 apparteneva al controricorrente.

Il motivo è, quindi, infondato e va respinto.

8.- Con l’ottavo motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione dell’art. 117 c.c..

Viene posta la questione delle prove inerenti la proprietà dei beni in ordine ai quali si controverte, nonchè la valutazione dell’aspetto della “fruibilità della porta”.

Il motivo è duplicemente inammissibile in quanto relativo a questione meritale e, per il detto aspetto della fruibilità sostanziando questione nuova non risultante come già prospettata.

9.- Con il nono ed ultimo motivo del ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il motivo è infondato in quanto la pronuncia di cui si lamenta l’omissione era in ogni caso preclusa per rigetto implicito conseguente all’accoglimento della domanda riconvenzionale dell’originario convenuto.

10.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

11.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

12.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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