Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27484 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 28/10/2019), n.27484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19140/2015 proposto da:

B.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentata e difesa dall’avvocato

GUIDO CHESSA MIGLIOR in virtù di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PINEROLO, 22,

presso lo studio dell’avvocato MARCO ROSSI, rappresentato e difeso

dagli avvocati CARLO ATZORI, MONICA MARRAS, CARLO MASSACCI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 175/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 11/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. B.M.P., premettendo di essere titolare della quota di 7/12 di un appartamento sito in (OMISSIS), meglio descritto in citazione, conveniva in giudizio la sorella B.M., titolare della restante quota, al fine di procedere allo scioglimento della comunione, con attribuzione della piena proprietà in suo favore, in caso di accertata indivisibilità.

Si costituiva la convenuta che non si opponeva alla divisione, avanzando a sua volta richiesta di attribuzione dell’intero.

Nel corso del giudizio di primo grado la convenuta cedeva la sua quota sull’immobile a C.B. che interveniva nel giudizio, chiedendo a sua volta l’assegnazione dell’intero.

All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale con la sentenza n. 1628/2012, ritenuto il bene non comodamente divisibile, lo attribuiva per l’intero all’attrice, obbligandola al pagamento dell’eccedenza in favore del C..

Avverso tale sentenza proponeva appello C.B. e la Corte d’Appello di Cagliari con la sentenza n. 175 dell’11 marzo 2015, in riforma della decisione gravata, attribuiva la piena proprietà dell’appartamento all’appellante, previo obbligo di versamento dell’eccedenza.

Disattesa la contestazione circa l’ammissibilità dell’appello per essere stato proposto dal C. quale titolare dell’omonima ditta individuale, e non in proprio (stante l’identificazione dell’impresa individuale con la persona dell’imprenditore) e disattesa altresì l’eccezione di tardività dell’istanza di attribuzione avanzata dall’appellante (essendo tale richiesta stata avanzata anche dalla cessionaria della quota acquistata dal C., e ciò in disparte la non assoggettabilità di tale richiesta al regime delle preclusioni), nel merito riteneva che dovesse essere data preferenza alla richiesta in tal senso avanzata dall’appellante.

Infatti, sebbene l’attrice fosse titolare della maggiore quota, richiamava i principi espressi dalla più recente giurisprudenza di legittimità che aveva ritenuto che anche i criteri preferenziali dettati dall’art. 720 c.c., fossero in concreto derogabili ove assistiti da adeguata motivazione, anche tenuto conto degli interessi individuali vantati da ognuno dei condividenti.

In vista della valutazione delle contrapposte richieste di attribuzione, la Corte distrettuale rilevava che nella fattispecie non si verteva in materia di comunione ereditaria, in quanto il bene era stato acquistato in regime di comunione ordinaria, non potendo quindi avere seguito la deduzione dell’appellata secondo cui occorreva favorire la permanenza del bene nell’ambito dell’originario nucleo familiare.

Sebbene B.M.P. fosse titolare della quota maggiore, era altrettanto vero che il pur dichiarato legame affettivo che la avvinceva al bene non trovava riscontro in un concreto interesse per l’immobile che versava in uno stato di completo abbandono, essendo in una complessiva condizione di fatiscenza.

Viceversa il C. aveva investito significative risorse finanziarie per rendersi acquirente della quota, essendo altresì proprietario esclusivo dell’appartamento posto al piano terra nello stesso stabile, essendo quindi anche titolare della maggior quota delle parti condominiali.

Inoltre, aveva predisposto un progetto di abbattimento dell’edificio esistente con la successiva edificazione di una palazzina a sei piani sull’area di sedime.

In tale prospettiva, occorrendo valorizzare l’interesse alla libertà di iniziativa economica e tenuto conto della difficoltà di utilizzo del bene nelle sue condizioni attuali, andava data preferenza alla richiesta di attribuzione dell’appellante, senza peraltro la necessità di dover anche verificare in concreto le potenzialità edificatorie del bene.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso B.M.P. sulla base di un motivo.

C.B. ha resistito con controricorso.

B.M. non ha svolto difese in questa fase.

2. Con il motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 720 e 2697 c.c., nonchè la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

Infatti, è stata impugnata una sentenza che la stessa ricorrente riferisce essere stata notifica il 17 aprile 2015. Come si rivela dalla produzione della ricorrente la notifica della decisione gravata è stata effettuata a mezzo pec, ma mentre risulta attestata la conformità della sentenza notificata (peraltro in maniera non autografa e da parte del difensore del C. che aveva provveduto a curare la notifica), è stata prodotta la sola stampe del messaggio di avvenuta spedizione della sentenza ma non anche quello di avvenuta consegna all’indirizzo pec del destinatario.

Rileva, ai fini dell’improcedibilità, il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte che nella sentenza n. 8312/2019 ha affermato che per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformità del difensore della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, sino all’udienza di discussione o all’adunanza in Camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all’originale della copia analogica non autenticata delle ricevute.

Nella fattispecie, atteso che B.M. è rimasta intimata in questa fase, la ricorrente avrebbe dovuto attestare la conformità all’originale, secondo le dette modalità, del messaggio pec relativo alla notifica della sentenza gravata, e tale omissione determina quindi l’improcedibilità del ricorso.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti del controricorrente.

Nulla a disporre quanto all’intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato improcedibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso improcedibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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