Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27483 del 30/12/2016

Cassazione civile, sez. trib., 30/12/2016, (ud. 16/12/2016, dep.30/12/2016),  n. 27483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15783-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA in persona del legale rappresentante pro tempero,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELL’ELETTRONICA 20, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE PIERO SIVIGLIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE SAMMARTINO giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 2520/2011 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 06/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato SAMMARTINO che si riporta

agli scritti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 10/2/1977 alla Commissione tributaria di primo grado di Roma, il Credito Italiano s.p.a., oggi UNICREDIT s.p.a., impugnò l’avviso di liquidazione notificato dall’Ufficio assumendo non dovuto il richiesto pagamento della somma di Lire 157.710.000, a titolo di INVIM straordinaria, relativamente ad alcuni immobili siti in Roma, stante la prospettata incostituzionalità di alcune delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 643 del 1972, e chiese l’accertamento del diritto al rimborso di quanto indebitamente pagato.

Nel contraddittorio con l’Ufficio, la Commissione adita, con sentenza n. 206 del 10/1/1976, respinse il ricorso della contribuente, che impugnò la decisione innanzi alla Commissione tributaria di secondo grado, la quale, con sentenza n. 5551, depositata il 14/6/1983, accolse il ricorso e dispose la rideterminazione dell’imposta dovuta sulla scorta di quanto nelle more statuito dal Giudice delle Leggi.

La Banca, a seguito della sentenza n. 126/1979 della Corte Costituzionale, il 16/4/1980 chiese, inoltre, all’Ufficio il ricalcolo dell’imposta, stante l’intervenuto D.L. n. 571 del 1979, convertito con L. n. 2 del 1980, ed impugnò il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, con ricorso del 13/8/1980, innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Roma, che lo respinse sul rilievo che non risultava dimostrata la pendenza dell’impugnazione avverso la suindicata sentenza della Commissione tributaria di secondo grado.

La Commissione tributaria di secondo grado, adita dalla contribuente, affermò, invece, che al momento della pronuncia della Corte Costituzionale, il giudizio avente ad oggetto l’avviso di liquidazione dell’INVIM era ancora pendente.

Tale decisione fu impugnata dall’Ufficio innanzi alla Commissione tributaria centrale, la quale, con la sentenza n. 2520/2011, depositata il 6/5/2011, respinse il ricorso, sul rilievo che il rapporto tributario è ancora vivente fintanto che non siano scaduti i termini per proporre l’istanza di rimborso, per cui, nel caso di specie, alla data (16/4/1980) di presentazione della domanda di rimborso della contribuente, non erano trascorsi 90 giorni dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione della sentenza, affidato a due motivi di censura, cui resiste UNICREDIT s.p.a., con controricorso e memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 571 del 1979, art. 3 come convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 1980, e sostiene che il rapporto tributario, sorto anteriormente alla data di entrata in vigore della disciplina “de qua” (14 novembre 1979), ai fini dell’applicazione della nuova disciplina INVIM, non può ritenersi “non definito” come affermato dalla CTC. Evidenzia la ricorrente che, al momento di instaurazione del presente giudizio, il rapporto tributario doveva invece ritenersi già definito, posto che la contribuente aveva provveduto al pagamento “senza riserva” della somma richiesta con l’avviso di liquidazione notificato dall’Ufficio, e che quest’ultimo atto era stato precedentemente impugnato, per stessa ammissione della contribuente, sulla base di una “mera e generica incostituzionalità” della normativa allora applicabile.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, giacchè la CTC non ha considerato che, alla data (14 novembre 1979) di entrata in vigore della disciplina INVIM più favorevole, il rapporto tributario era definitivamente esaurito, e ciò sulla scorta delle vicende processuali narrate dalla contribuente, aventi ad oggetto l’avviso di liquidazione dell’imposta ed il silenzio-rifiuto della amministrazione sulla domanda di rimborso.

I due motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente in quanto contenenti censure tra loro strettamente connesse, sono infondati e non meritano accoglimento.

La questione posta dalla ricorrente Agenzia delle Entrate può essere risolta alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui “i nuovi criteri di liquidazione dell’INVIM – stabiliti dalla disciplina introdotta dal D.L. n. 571 del 1979 e dalla legge di conversione L. n. 2 del 1980 ed adottata anche in conseguenza della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale di quella previgente (D.P.R. n. 643 del 1972, art. 14 e L. n. 804 del 1977, art. 8), avvenuta con sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 1979 – possono applicarsi ai rapporti di imposta “anteriori” (art. 3 del D.L. come sostituito dall’art. 1 della legge di conversione), in quanto: a) si tratti di rapporti sorti in data anteriore al 14 novembre 1979 (data di entrata in vigore del D.L. n. 571 del 1979 e, comunque, di efficacia delle modificazioni apportate dalla legge di conversione); b) si tratti di rapporti non ancora definiti alla data stessa; c) l’applicazione dei nuovi criteri di liquidazione determini un’entità di tributo (eguale o) inferiore a quella risultante dall’applicazione della previgente disciplina, dettata dal D.P.R. n. 643 del 1972, artt. 14 e 15 e successivamente modificazioni ed integrazioni. La nozione di rapporto anteriore non ancora definito alla data di entrata in vigore delle nuove norme postula non soltanto che prima di tale data si sia verificato il fatto generatore del tributo, ancorchè non sia intervenuto il relativo accertamento, ma anche che, prima della data stessa, il rapporto sia stato rimesso in discussione ad iniziativa dell’Amministrazione o del contribuente, pur se successivamente al pagamento dell’imposta principale (rapporto d’imposta inteso in senso sostanziale ed unitario), in modo tale da comportare, in applicazione dei nuovi criteri, una riliquidazione dell’imposta ed un (eventuale) credito restitutorio per il contribuente” (Cass. n. 12165/1995; n. 7140/1995; n. 7052/1995).

Quindi, come efficacemente precisato in altra pronuncia, va esclusa la fondatezza dell’ipotesi interpretativa secondo cui il contribuente può richiedere la nuova liquidazione dell’imposta sulla base dei nuovi criteri ed eventualmente il rimborso “in base alla sola pendenza del termine per ottenere il rimborso dell’imposta principale già corrisposta (termine triennale ex art. 75 della Legge di Registro in allora vigente, richiamabile in base al D.P.R. n. 643 del 1972, art. 31), e senza che prima del 14/11/1979 il rimborso sia stato richiesto in base o in opposizione alla disciplina precedentemente vigente”, in quanto “il fine agevolativo della L. n. 2 del 1980, in mancanza di espressa e chiara volontà in tale senso, non può infatti avere un’estensione tale da rendere automaticamente riliquidabili, a semplice richiesta, tutte le ipotesi di INVIM i cui presupposti si siano verificati nel precedente triennio” (Cass. n 9825/1990).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene di dovere rigettare il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, non già perchè la contribuente aveva presentato il 16/4/1980 domanda di rimborso dell’imposta, sulla base dei nuovi criteri, prima del decorso del termine di “giorni 90 di legge”, come si legge nella motivazione della sentenza impugnata – che sul punto merita di essere corretta – ma perchè prima del 14 novembre 1979 la Banca, con il ricorso del 10/2/1977, aveva impugnato l’avviso di liquidazione, assumendo come non dovuto il pagamento dell’imposta determinata sulla base della disciplina al tempo vigente, in tesi incostituzionale, chiedendo nel contempo l’accertamento del diritto al rimborso di quanto indebitamente pagato, ed aveva, altresì, appellato la sfavorevole decisione della Commissione di primo grado, innanzi alla Commissione tributaria di secondo grado, che, con sentenza n. 5551, depositata il 14/6/1983, ha poi accolto il ricorso e disposto la rideterminazione dell’imposta dovuta dalla contribuente.

Le spese del giudizio di legittimità, attesa la particolarità della fattispecie, sono compensate tra le parti.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2016

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