Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2748 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. I, 04/02/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 04/02/2011), n.2748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9969/2007 proposto da:

C.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, V. G. DI COLLOREDO 46-48, presso l’avvocato DE

PAOLA GABRIELE, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LEONE IV 38, presso l’avvocato LIVI VITTORIA

ANGELA, rappresentato e difeso dall’avvocato FERI Ugo, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1136/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 13 giugno 2001 P.M. ha chiesto al Tribunale di Firenze di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con C.C. il (OMISSIS) alle condizioni concordate all’udienza del 9.11.1998 del giudizio di separazione personale, pronunciata l’8.3.199, ma escludendo il contributo di mantenimento della moglie, perchè economicamente autosufficiente.

Radicatosi il contraddittorio, la convenuta ha contestato la domanda solo in relazione ai rapporti patrimoniali, chiedendo l’attribuzione di assegno divorzile maggiorato rispetto a quello concordato in sede di separazione.

Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 2950 del 27.10.2003, ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e quindi, con successiva sentenza n. 688/2005, ha attribuito alla C. assegno divorzile in Euro 200,00 mensili.

La decisione è stata impugnata dal P. innanzi alla Corte d’appello di Firenze che, con sentenza n. 1136 depositata il 23.5.2006, l’ha integralmente riformata escludendo il diritto della C. alla percezione dell’assegno.

Quest’ultima decisione è stata infine impugnata innanzi a questa Corte da quest’ultima con ricorso articolato in quattro motivi. Ha resistito il P. con controricorso. La ricorrente ha infine depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo prospetta vizio di motivazione, denunciandone omissione in relazione alla dichiarata insussistenza dei requisiti per l’assegno di divorzio, nonchè in ordine al rigetto dei mezzi di prova articolati su fatti decisivi, e contraddittorietà laddove si assume l’espletamento da parte di essa ricorrente di duplice attività lavorativa retribuita, ritenendo per un verso veritieri i fatti esposti dai quali, per altro verso, il giudicante si è discostato omettendo altresì l’esame delle allegazioni difensive circa l’iscrizione alle liste di collocamento e l’assenza di denuncia dei redditi. Deduce ancora omessa motivazione in ordine all’insussistenza della prova dell’inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi del P., seppur smentite dagli allegati ma indimostrati indizi di crescita economica, di cui era indice il finanziamento ottenuto da istituto bancario ed il numero dei dipendenti.

Il resistente replica deducendo l’inammissibilità del motivo in quanto teso a sollecitare nuovo apprezzamento nel merito dei fatti valutati in sede di gravame.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale, poste a confronto le rispettive risorse patrimoniali, ha rilevato che la C., di 34 anni, svolge da circa dieci anni attività retribuita d’assistenza continuativa di tipo familiare in favore di tale signora R., affetta da disturbo di salute fisico, presso la quale ha fissato la sua abitazione, godendo di vitto ed alloggio, nonchè da tre anni attività retribuita di tipo familiare presso il figlio della R.. Il P. esercita attività commerciale che ha registrato perdite di esercizio negli anni 2002 e 2003 ed un utile di soli Euro 860,00 nel 2004; è titolare di un conto corrente passivo per Euro 3.56, sopporta spese di un mutuo ipotecario di Euro 26.244,00 e di un secondo mutuo ipotecario. E’ titolare di quota di immobile, pervenutagli in eredità, soggetta ad esecuzione immobiliare e già ipotecata dal de cuius.

La ricorrente, premessa una diffusa e confusa esposizione di circostanze fattuali asseritamente idonee ad evidenziare la carenza del tessuto motivazionale di questa decisione, di contro palesemente chiaro, esaustivo e logico, indugia in enunciazioni tese a ribadire il vizio denunciato, che però non si concretizzano affatto nella prescritta sintesi conclusiva che deve contenere, a conclusione del motivo di censura, l’esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza e contraddittorietà rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, secondo quanto disposto dall’art. 366 bis c.p.c. – per tutte Cass. n. 4556/2009.

2.- Il secondo motivo ascrive alla Corte di merito violazione dell’art. 155 c.c., u.c., e lamenta omessa assunzione di accertamenti contabili o tributari volti ad accertare la reale consistenza economica e patrimoniale del P..

Anche in relazione a questo mezzo il controricorrente eccepisce l’inammissibilità delle censure esposte. Anche questo motivo è inammissibile.

Laddove prospetta il vizio di motivazione difetta della sintesi conclusiva di cui si è detto con riguardo al precedente mezzo.

Laddove deduce error juris, non espone il quesito di diritto che, sulla base della sua sola lettura, intesa come sintesi logico- giuridica della questione controversa, consenta d’individuare la regola da applicare idonea a determinare una decisione di segno diverso. La censura si risolve nella sola istanza d’accertamento della denunciata violazione di legge, senza chiedere l’enunciazione di principio di diritto diverso da quello posto a fondamento della sentenza impugnata, di cui si auspica l’adozione da parte di questa Corte.

3.- Il terzo motivo denuncia ancora vizio di motivazione e violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 ed esordisce con apparente formulazione di un quesito di diritto, con cui si chiede a questa Corte se influisca sulla decisione la prova dell’esistenza di proprietà immobiliari e finanziamenti del coniuge lavoratore autonomo laddove il coniuge richiedente sia impossidente e precario.

Tale preambolo, che per sua natura rappresenta il contrario della sintesi, è assolutamente inidoneo a concretare il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., non solo perchè non è ex se conclusivo, ma perchè difetta dei requisiti esposti in relazione ai precedenti mezzi. In conclusione, il motivo rappresenta mera doglianza circa la fondatezza della scelta decisionale del giudice d’appello, per le ragioni esposte assolutamente inammissibile.

4.- Col quarto motivo si deduce ancora difetto di motivazione in ordine al governo delle spese del doppio grado di giudizio poste a carico della ricorrente. Il motivo, che espone diffusamente le censure mosse in parte qua, difetta ancora una volta della sintesi conclusiva. Tutto ciò premesso, il ricorso devesi dichiarare inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in complessivi Euro 1.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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