Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27479 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 28/10/2019), n.27479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22103-2015 proposto da:

P.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato ALBERTO CASSINI

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. FRANCESCA

INFASCELLI in ROMA, VIALE delle MILIZIE 76;

– ricorrente –

contro

EDILNAONIS s.r.l. e MATTEA s.r.l. in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore;

– intimate –

avverso la sentenza n. 92/2015 della CORTE d’APPELLO di TRIESTE,

depositata in data 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 19.5.2004 EDILNAONIS s.r.l. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Pordenone P.M. e MATTEA s.r.l. chiedendo l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c. esponendo: che era subentrata, ai sensi dell’art. 1406 c.c., alla promissaria acquirente Mattea s.r.l. nel contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso con P.M. in data (OMISSIS), avente a oggetto un lotto di terreno, sito nel territorio del Comune di (OMISSIS) e ricadente, per effetto dell’approvazione da parte del Comune della variante n. (OMISSIS), in zona industriale (OMISSIS); che il prezzo stabilito per l’acquisto era di Lire 533.170.000, di cui Lire 50.000.000, già versate a titolo di caparra dalla Mattea s.r.l., contestualmente alla stipula del preliminare; che il contratto preliminare era stato sottoposto a condizione sospensiva, rappresentata dal perfezionamento del passaggio urbanistico del lotto a zona industriale (OMISSIS) e all’approvazione del planivolumetrico globale dell’intero comparto; che il definitivo avrebbe dovuto essere stipulato entro il (OMISSIS): tuttavia, se a tale data non fosse stato ancora approvato “il piano esecutivo comunale dell’intero comparto”, la data del rogito sarebbe stata differita sulla base di proroghe che sarebbero state concordate dalle parti; che in data (OMISSIS), in esecuzione della suddetta clausola, le parti, con accordo sottoscritto in calce al preliminare, prorogavano il termine per il rogito, stabilendo che, nel caso in cui il Comune di Pordenone non avesse “approvato con piano esecutivo l’area (OMISSIS) oggetto di compravendita in questo preliminare” entro il 31.12.2000, la promissaria acquirente Mattea s.r.l. avrebbe dovuto corrispondere, a partire dall’1.1.2001, fino all’approvazione di detto piano, un interesse sul prezzo di acquisto pari al prime rate ABI bancario; che, sempre in data (OMISSIS), il P. aveva dato il proprio assenso alla cessione del preliminare da parte della Mattea s.r.l. alla Edilnaonis s.rl.; che, con atto di cessione del (OMISSIS), la Mattea s.r.l. aveva ceduto alla Edilnaonis s.r.l. il preliminare, e a fronte della cessione la cessionaria aveva rimborsato alla cedente la caparra di Lire 50.000.000 e corrisposto alla medesima Lire 100.000.000, a titolo di corrispettivo per la cessione; nel medesimo atto Mattea s.r.l. si era impegnata a restituire tali somme nel caso in cui la destinazione urbanistica del terreno fosse stata modificata da industriale a P.I.P.; che, in data 28.2.2003, la Edilnaonis manifestava l’intenzione di stipulare il rogito: che il P. in un primo momento aveva aderito per iscritto alla proposta, ma successivamente aveva cambiato idea e non si era presentato davanti al Notaio per la stipula.

Si costituiva in giudizio P.M. chiedendo il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. ed eccependo: l’inefficacia e comunque l’inopponibilità della cessione del preliminare in quanto asseritamente parziale, per avere la cedente e la cessionaria, in una postilla apposta all’atto di cessione, concordato che gli interessi al prime rate ABI bancario sarebbero rimasti a carico della cedente; la nullità del vincolo in quanto sottoposto a condizione inattuabile, impossibile, indeterminata e indeterminabile, rilevando che la condizione non si era verificata nè si sarebbe più potuta verificare in quanto, da un lato, era ormai decaduto il P.R.P.C. d’iniziativa pubblica alla cui attuazione le parti avevano condizionato il contratto e, dall’altro, era stato promosso un P.R.P.C. d’iniziativa privata. In via subordinata, chiedeva la condanna della Edilnaonis s.r.l. o della Mattea s.r.l. a corrispondere gli interessi accessori al tasso bancario prime rate.

Si costituiva in giudizio la Mattea s.r.l., la quale aderiva alla domanda dell’attrice e, in subordine, per il caso di rigetto della domanda, chiedeva la condanna del P. a restituire la somma di Euro 25.822,84 (già vecchie Lire 50.000.000), ricevuta a titolo di caparra e la somma di Euro 15.235,48 (già vecchie Lire 29.500.000) dallo stesso percepita a titolo di interessi sul prezzo di acquisto pari al prime rate ABI bancario.

Istruita la causa mediante prova per testi e CTU, con sentenza n. 178/2011, depositata in data 4.3.2011, il Tribunale di Pordenone accoglieva la domanda proposta dalla Edilnaonis s.r.l. trasferendo l’immobile alla promissaria acquirente contro il pagamento da parte di quest’ultima della somma di Euro 249.540,00 (pari al saldo del prezzo convenuto in contratto), oltre interessi da calcolare al saggio del prime rate bancario maturati tra il 1.1.2001 e il 28.5.2004 (notifica atto citazione).

Contro tale sentenza proponeva appello il P. e si costituivano entrambe le appellate.

Con sentenza n. 92/2015, depositata il 13.2.2015, la Corte d’Appello di Trieste rigettava l’appello confermando la sentenza impugnata, condannando appellante alle spese di lite del grado.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione P.M. sulla base di tre motivi; le intimate società Edilnaonis e Mattea non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ex “Art. 360 c.p.c., n. 3: (la) violazione o falsa applicazione dell’art. 1406 c.c. (cessione del contratto e necessità del consenso); (Ia)violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c.)”. Il ricorrente osserva che la Mattea s.r.l. aveva ceduto il preliminare alla Edilnaonis s.r.l., che aveva accettato tutte le condizioni contenute nell’atto; e che tale accordo veniva però modificato dagli stessi contraenti con un’appendice manoscritta in calce alla cessione, in base alla quale gli eventuali interessi per la proroga fino al momento dell’approvazione del piano esecutivo sarebbero stati a carico esclusivamente della Mattea s.r.l.. Tale clausola aggiuntiva sovvertiva quanto previsto nella clausola n. 3 dell’atto di cessione, che cioè la Edilnaonis avrebbe dovuto liberare la cedente dalle obbligazioni assunte verso il P.. Il ricorrente, dunque, ritiene che in capo alla Mattea s.r.l. rimaneva l’obbligo di corrispondere l’adeguamento del prezzo (che costituiva elemento essenziale del contratto), mentre il resto passava in capo alla Edilnaonis. Inoltre, nelle conclusioni dei giudizi di merito, la cedente chiedeva, in via subordinata, la restituzione dell’importo percepito dal P. a titolo di interessi sul prezzo; tutto ciò in contrasto con l’interpretazione dei Giudici di merito per i quali, con la cessione del preliminare, la Edilnaonis si era assunta l’onere del pagamento anche di quegli accessori e che la cedente era solo tenuta a tenerla indenne.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – In sintesi, secondo la Corte di merito la clausola dell’appendice integrava una semplice manleva, in forza della quale la cedente avrebbe dovuto tenere indenne di quanto avesse pagato a titolo di prime rate Edilnaonis. Al contrario, per il ricorrente tale interpretazione striderebbe con il testuale contenuto della pattuizione e con la volontà espressa dalle parti (in violazione del disposto di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c.); giacchè le stesse non avevano previsto alcuna manleva, bensì che gli interessi fossero – a carico del cedente. La Corte di merito avrebbe quindi richiamato erroneamente i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1366 e 1367 c.c., che non possono valere ove il senso letterale del contratto riveli con chiarezza e univocità la comune volontà delle parti. I contraenti, nella fattispecie, non avevano stabilito che la Edilnaonis assumesse l’onere di corrispondere al P. gli interessi e che la cedente glieli avrebbe rimborsati, bensì che essi restavano esclusivamente a carico di quest’ultima.

1.2. – Orbene, va premesso che è consolidato il generale principio ermeneutico secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

Parimenti, per venire più specificamente al thema decidendum, va rilevato che, quanto alla interpretazione del contratto (specificamente riferibile alle censure mosse con il primo motivo), l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto dei negozi inter partes (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è anch’esso censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10466 del 2017; Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003). Essendo altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile (cosa che nella specie non è dato ravvisare) solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).

1.3. – A ciò si correla teleologicamente l’ulteriore principio, altrettanto consolidato, per il quale i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla stessa indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 2018; conf. Cass. n. 20694 del 2018). Il ricorrente ha, dunque, l’onere (che nella specie non risulta esser stato assolto) di indicarne nel ricorso il contenuto rilevante, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso) (Cass. n. 17168 del 2012).

Il ricorrente dunque deve indicare – mediante anche la trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e/o non valutata, o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012). Nella specie, il P. – pur facendo ripetutamente riferimento alla modificazione della clausola del contratto di cessione della Mattea alla Edilnaonis attraverso un’appendice manoscritta in calce alla cessione, che a suo dire sovvertiva quanto previsto nella clausola n. 3 dell’atto di cessione – di tali atti, rapsodicamente richiamati, non ha riportato il contenuto completo o quello necessario e sufficiente onde poterne riscontrare (nei limiti dell’apprezzamento riservato al giudice di merito) l’asserita portata negoziale e l’incidenza sullo specifico rapporto.

1.4. – Laddove, va altresì rilevato che, così come articolate, tutte le censure si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., n. 3: (la) violazione o falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale (artt. 1362,1363,1367 e 1369 c.c.); violazione o falsa applicazione dell’art. 1354 c.c. e della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 52 del 1991, artt. 42, 45, 48, 49 e 50 e L. n. 865 del 1971, art. 27”, là dove per i Giudici di merito le condizioni nel preliminare sarebbero state apposte nell’esclusivo interesse della acquirente, la quale era pertanto libera di stipulare il rogito definitivo, a prescindere dal mancato avveramento. La Corte territoriale riteneva che la condizione sospensiva rispondesse esclusivamente all’interesse della Mattea s.r.l. di procedere all’acquisto dopo avere avuto la certezza della concreta destinazione urbanistica del lotto promesso in vendita, in modo da escludere la possibilità che ricadesse in PIP o fosse sottoposto a espropri di interesse pubblico. Al contrario, il ricorrente ritiene che – in mancanza un’espressa pattuizione circa l’unilateralità della condizione – questa doveva ritenersi apposta nell’interesse di entrambi i contraenti, per cui il contratto andava interpretato secondo i canoni di ermeneutica legale, con la conseguenza che se non si fossero verificate le condizioni (approvazione del PRPC promosso dal Comune e adesione dei privati proprietari), ai proprietari si offriva l’opportunità di un PRPC d’iniziativa privata, più vantaggiosa per il P. (un piano attuativo d’iniziativa privata comporta che sono i privati a operare le scelte, salvo il rispetto dei parametri dettati dal PRG). Per il resto, il ricorrente analizza e richiama le vicende contrattuali ed urbanistiche oggetto di causa (v. ricorso da pag. 8 a pag. 24).

2.1. – Anche il secondo motivo non può essere accolto.

2.2. – Alle considerazioni sopra svolte in relazione al primo motivo, valevoli anche per la definizione di questo secondo motivo, va aggiunto il rilievo secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate (soprattutto allorquando dette norme siano numerose e riguardino aspetti eterogenei), ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Va ribadito, infatti, che il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).

2.3. – Peraltro, risulta analiticamente e congruamente motivata, da parte della Corte di merito (attraverso il riferimento ad univoca prova documentale, testimoniale e peritale), l’affermazione della unilateralità delle condizioni apposte al preliminare.

L’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., n. 3: (la) violazione o falsa applicazione dell’art. 1353 c.c. (con riguardo alla mancanza di un termine per l’avveramento)”, poichè nell’appendice in calce al preliminare del (OMISSIS) non era previsto un termine determinato per il verificarsi delle condizioni e il rogito notarile; e quindi spettava al Giudice vagliare se fosse trascorso un lasso congruo di tempo entro il quale l’avvenimento previsto dalle parti si sarebbe dovuto verificare.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Nei termini in cui è stato formulato, il motivo (oltre che meramente eventuale rispetto all’esito della valutazione della asserita congruità del termine) difetta di specificità. E’, infatti, principio largamente consolidato che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero, peraltro, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015). Così, dunque, i motivi di impugnazione che prospettino (come nella specie) un vizio di legittimità (non solo senza la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche senza specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie) sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016).

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese, in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte delle società intimate. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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