Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27478 del 30/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 30/12/2016, (ud. 25/11/2016, dep.30/12/2016),  n. 27478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26115-2010 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PISANELLI

4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALOISIA BONSIGNORE giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAVALESE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 20/2010 della COMM. TRIBUTARIA 2^ GRADO di

TRENTO, depositata il 04/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIGLI che ha chiesto

l’accoglimento, alle ore 10,40 l’Avvocato GIGLI deposita note di

udienza;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

IN FATTO

D.R. propone ricorso, affidato ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 20/02/10, depositata il 4/6/2010, della Commissione Tributaria Regionale del centino Alto Adige che, quale Giudice di rinvio, a seguito della cassazione della sentenza n. 54/06, depositata il 21/12/2006, della medesima CTR, ha respinto il ricorso per riassunzione proposto dal contribuente e, per l’effetto, ha dichiarato la legittimità degli impugnati avvisi di accertamento ICI per gli anni 2001, 2002 e 2003, con compensazione delle spese di giudizio. La vicenda aveva visto il D. vittorioso sia in primo grado, giacchè la CTP aveva ritenuto che, malgrado l’inclusione della particella di terreno nel P.R.G. comunale, sussistesse una situazione di edificabilità subordinata alla lottizzazione riconducibile al regime proprio delle aree non edificabili, sia in secondo grado, giacchè la CTR aveva confermato appieno la decisione appellata dal Comune di Cavalese, ricorrente poi per la cassazione della pronuncia.

Osserva il Giudice di rinvio il carattere vincolante del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità, nella ordinanza n. 23347/2008, pronunciata inter partes, secondo cui “Ai fini dell’applicazione dell’ICI, un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo: in tal caso, l’imposta deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima l’utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione”.

Il Comune di Cavalese non ha svolto attività difensiva.

Il ricorrente ha depositato anche una memoria difensiva.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, violazione o falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., atteso che, sulla scorta della suindicata ordinanza n. 23347/2008, il Giudice di rinvio, che conserva tutti i poteri d’indagine e di valutazione della prova e può compiere anche ulteriori accertamenti, avrebbe dovuto verificare quanto fosse “effettiva e prossima l’utilizzabilità a scopo edificatorio dei suolo” oggetto di causa ed evidenzia che, ove non fossero stati necessari accertamenti in fatto, la Corte di legittimità, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. avrebbe altrimenti deciso nel merito la controversia. Aggiunge che l’originario ricorso, con cui il D. aveva impugnato gli avvisi di accertamento, conteneva ulteriori motivi di opposizione, richiamati anche in sede di costituzione nel giudizio di secondo grado, sui quali non era mai intervenuta una pronuncia, in quanto ritenuti assorbiti, e che non sarebbe stato ammissibile per la parte vittoriosa riproporre nei giudizio di cassazione, con ricorso incidentale, le questioni su cui il Giudice di appello non si era pronunciato, avendole ritenute assorbite dalla statuizione adottata, potendo essere dedotte davanti al giudice di rinvio, e che ciò non di meno erano rimaste prive di una risposta.

Il motivo di ricorso si appalesa inammissibile sia per inosservanza del requisito di cui all’art. (Ndr: testo originale non comprensibile) c.p.c., n. 3, relativo all’esposizione sommaria dei fatti della causa, sia di quello dell’art. 366 c.p.c., n. 6, relativo all’onere di indicazione specifica degli atti su cui il ricorso stesso si fonda.

Con riguardo al primo profilo, va osservato che la struttura del ricorso si articola, per quanto attiene alla parte che dovrebbe esprimere il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, per 2ntiquattro pagine, nelle quali è pedissequamente riportato il ricorso di primo grado, per ulteriori venti pagine, nella quali è pedissequamente riportata la memoria difensiva del contribuente nel giudizio di secondo grado, per ulteriori quattordici pagine, nella quali è pedissequamente riportato il ricorso per riassunzione proposto, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Trentino Alto Adige, a seguito della ordinanza n. 23347/2008 con cui questa Corte, in accoglimento del ricorso del Comune di Cavalese, ha cassato l’impugnata sentenza n. 54/06 della medesima CTR, che, confermando la sentenza di primo grado, aveva accolto il ricorso del D. avverso tre avvisi di accertamento ICI, per gli anni 2001, 2002 e 2003, dei quali qui si discute. Segue, per quattro pagine, l’esposizione del motivo di ricorso, articolato in plurime censure, che ruotano essenzialmente attorno alla dedotta violazione e applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, censure in forza delle quali si chiede la cassazione della impugnata sentenza del giudice di rinvio.

Il ricorso risulta, in buona sostanza, redatto secondo la tecnica dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich” che implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno dell’atto introduttivo del giudizio, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti.

Come già affermato da questa Corte, “tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente davanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso”. (Cass. n. 363/2015; n. 22792/2014; n. 10244/2013; n. 1380/2011; n. 15180/2010).

Ne varrebbe ad escludere l’inammissibilità del ricorso il richiamo a malintese esigenze di completezza dal momento che “in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità” (Cass. n. 20981/2015) di tal che è nella indicata prospettiva che il ricorrente avrebbe dovuto selezionare con cura gli elementi fattuali rilevanti della esaminata fattispecie, in quanto tali idonei ad essere riproposti e decisi nel giudizio di rinvio, alla luce del principio di diritto contenuto nella richiamata ordinanza n. 23347/2008 che, in piena continuità con la sentenza n. 25506/2006 delle Sezioni Unite aveva sollecitato, nella determinazione del valore venale del terreno, ai fini dell’applicazione dell’ICI, di tenere conto “della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio” considerato che “l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare una variazione del prelievo nel periodo d’imposta” (Cass. n. 20137/2012).

Con riguardo al secondo profilo, va altresì osservato che il ricorrente non individua “le questioni oppositive ab origine proposte” sulle quali la CTR non avrebbe pronunciato, nè gli elementi fattuali, ricavabili dalle risultanze istruttorie, che sarebbero stati trascurati, e neppure ne ha evidenziato il rapporto di causalità con la soluzione giuridica della controversia adottata del giudice di rinvio, perchè se, viceversa, correttamente considerati, avrebbe comportato una decisione diversa, quanto all’accertamento del valore del terreno, sicchè il motivo in esame si traduce in una generica critica delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, che si muove nell’ottica di una invocata revisione delle valutazioni meritali estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso proposto e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2016

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