Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27476 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 28/10/2019), n.27476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7038-2014 proposto da:

FORNACI IMMOBILIARE s.a.s., in persona del socio accomandatario e

legale rappresentante pro tempore C.A., rappresentata

e difesa dagli Avvocati MAURIZIO ZANCHETTIN, PIERO PATELLI e MASSIMO

COLARIZI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 87;

– ricorrente –

contro

G.M.L., rappresentata e difesa dagli Avvocati NICOLO’

SARTOR e ARNALDO VERGANO, ed elettivamente domiciliate presso lo

studio di quest’ultimo, in ROMA, VIA delle FORNACI 44;

– controricorrente –

e contro

BANCA ITALEASE s.p.a., rappresentata dal procuratore speciale alle

liti Banco Popolare Società Cooperativa in persona di

Gr.An., rappresentata e difesa dall’Avvocato SALVATORE SANZO, ed

elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. Francesco

Macario, in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1;

– controricorrente e ricorrente incidentale

e contro

CLARIS LEASING s.p.a., QUALITY MANAGEMENT s.n.c., F.M.,

T.G., Z.C., ZA.AL., M.S.,

V.S. e M.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1086/2011 del TRIBUNALE di PORDENONE,

depositata il 21/12/2011 e l’ordinanza della CORTE d’APPELLO di

TRIESTE n. 11/14 depositata il 13/01/2014:

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/06/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito l’Avv. VERGANO ARNALDO per G.M.L. e SANZO SALVATORE

per Banca Italease, che hanno rispettivamente concluso come in atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 3.3.2008, G.M.L., premesso di essere proprietaria dell’immobile all’incrocio tra (OMISSIS), adibito all’attività di ristorante, conveniva davanti al locale Tribunale BANCA ITALEASE s.p.a., CLARIS LEASING s.p.a., F.M., FORNACI IMMOBILIARE s.a.s., M.O., T.G., V.S., Z.C., ZA.AL., in qualità di proprietari di distinte unità facenti parte del Condominio eretto a confine con il proprio bene, lamentando che, a partire dall’anno 2000 e fino al 2001, l’immobile confinante era stato interessato da un intervento di ristrutturazione edilizia e ampliamento che aveva comportato, in violazione delle norme sulle distanze, un significativo aumento di volumetrie e, in particolare, l’innalzamento del fabbricato con creazione nell’appartamento di proprietà degli Z.- Za. di nuove unità abitative nel sottotetto e la costruzione di terrazze sorrette da colonne in calcestruzzo armato. L’attrice chiedeva la condanna dei convenuti alla riduzione in pristino dei luoghi e al risarcimento dei danni.

I convenuti, ad eccezione di M.O. e V.S. dichiarati contumaci, si costituivano in giudizio insistendo tutti per il rigetto delle domande.

Il contraddittorio veniva esteso anche a QUALITY MANAGEMENT s.a.s., chiamata in causa da Banca Italease s.p.a., la quale – ammettendo la propria responsabilità contrattualmente sancita nei confronti di Banca Italease s.p.a. che l’aveva chiamata in giudizio, rilevando l’infondatezza delle domande attoree e chiedendo, in denegata ipotesi di accoglimento delle stesse, di essere manlevata da Fornaci Immobiliare s.a.s.

Espletata CTU, con sentenza n. 1086/2011, depositata in data 21.12.2011, il Tribunale di Pordenone condannava tutti i convenuti all’arretramento di mt. 5,69 del sottotetto, con le parti comuni comprese in detta porzione di edificio da arretrare, nonchè all’arretramento di cm. 40 della colonna in calcestruzzo emergente dal solaio del primo piano; condannava tutti i convenuti al risarcimento in favore dell’attrice del danno quantificato in Euro 10.000,00 per la parte di sottotetto da arretrare e in Euro 15.000,00 per la colonna in calcestruzzo da arretrare, oltre interessi e rivalutazione monetaria; condannava Fornaci Immobiliare s.a.s. a manlevare Claris Leasing s.p.a., F.M., T.G. e Quality Management s.a.s. dalle conseguenze pregiudizievoli ad esse derivanti dall’accoglimento delle domande demolitoria e risarcitoria; dichiarava risolto il contratto di compravendita del 22.12.2003 intercorso tra Fornaci Immobiliare s.a.s. e Z.- Za., con condanna della venditrice Fornaci Immobiliare alla restituzione del prezzo pagato oltre agli interessi legali dal di del pagamento al saldo; condannava Fornaci Immobiliare a risarcire a Z.- Za. i danni equitativamente liquidati nell’importo di Euro 100,000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo; rigettava le domande proposte dai convenuti Banca Italease, F., T. e Quality Management contro Fornaci Immobiliare; compensava le spese di lite e poneva a carico di Fornaci Immobiliare le spese di CTU.

Avverso detta sentenza proponeva appello la Fornaci Immobiliare s.a.s. chiedendo di respingersi tutte le domande proposte in primo grado dalla G., nonchè ogni altra domanda proposta dalle altre parti in causa. In caso di eventuale conferma della sentenza appellata relativamente ai capi concernenti la rimessa in pristino, rigettarsi ogni ulteriore domanda, anche di risarcimento danni.

Si costituivano G.M.L. e Banca Italease s.p.a. proponendo entrambe appello incidentale, mentre rimanevano contumaci tutte le altre parti.

Con ordinanza n. 11/2014, depositata in data 13.1.2014, la Corte d’Appello di Trieste dichiarava l’inammissibilità di tutti gli appelli proposti, “non avendo ragionevole probabilità di accoglimento”, con statuizione sulle spese.

Fornaci Immobiliare s.a.s propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone n. 1086/2011, sulla base di 4 motivi, e, contestualmente, ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 e dell’art. 360 c.p.c., u.c., avverso l’ordinanza n. 11/2014 della Corte d’Appello di Trieste, resa ex art. 348 ter c.p.c., sulla base di due motivi; resiste Banca Italease con controricorso e ricorso incidentale sulla base di 3 motivi; resiste altresì G.M.L. con controricorso, illustrato da memoria. La causa proviene dall’adunanza camerale del 5.6.2018 e dalla pubblica udienza del 26.10.2018, all’esito della quale veniva ordinato il rinnovo della notifica a Quality Management, tempestivamente eseguito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso principale, Fornaci Immobiliare lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 873 c.c., della normativa regolamentare integrativa del PRG del Comune di Pordenone vigente all’epoca dei fatti, nonchè della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 52 del 1991, artt. 41 e 68”, avendo il giudice di primo grado erroneamente ritenuto la sussistenza di una “sopraelevazione” in senso tecnico-giuridico, rilevante ai fini del rispetto delle maggiori distanze tra fabbricati (10 m.) previste dall’art. 34 NTA del PRG, alla stregua dei principi di ordine generale espressi dalla Suprema Corte in merito all’applicazione dell’art. 873 c.c. in materia di sopraelevazione. Secondo la ricorrente il Tribunale avrebbe trascurato l’esistenza della citata L.R. 52/1991 (in particolare dell’art. 68, comma 3, lett. d e art. 41, comma 3, secondo i quali, rispettivamente “nella sostituzione di solai di copertura con cambiamento di tipo di materiale, sagoma e quota, dovuta quest’ultima a esigenze tecniche, senza che ciò comporti la modifica del numero dei piani”; e “il patrimonio edilizio esistente non conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (…), può comunque essere interessato da interventi purchè gli stessi siano compresi fra quelli soggetti ad autorizzazione o denuncia”) vigente all’epoca della presentazione della DIA, nel marzo 2000, relativa ad un primo intervento avente ad oggetto la modifica del tetto, in modo da rendere la precedente copertura da due falde disuguali a due falde uguali, cambiando sagoma e quota della copertura, senza però aumento di piani, in quanto non era modificato l’ultimo piano abitabile (il secondo) e il sottotetto già esisteva e, anzi di questo era ridotto addirittura il volume accessibile, rispetto alla preesistente soffitta. Tali fatti, evidenziati nella CTU (pag. 22), avrebbero dovuto far rientrare i lavori eseguiti nella richiamata prescrizione normativa, e farli considerare conformi agli strumenti urbanistici, stante il diritto di realizzare opere di manutenzione straordinaria (come tali definite dalla CTU) anche in deroga a norme regolamentari più restrittive. Irrilevante essendo, per la ricorrente, che con un secondo intervento, realizzato con concessione edilizia del 3.12.2001, la essa avesse recuperato, ai fini abitativi, una modesta parte (mc. 36) della volumetria del sottotetto, che era rimasta inaccessibile a seguito del precedente intervento eseguito con la citata DIA del marzo 2000, in quanto l’incremento volumetrico abitativo aveva avuto luogo solo a seguito degli interventi edilizi realizzati usufruendo di nuova normativa regolamentare comunale entrata in vigore dopo la DIA del 2000.

1.1. – Il motivo va rigettato.

1.2. – Il giudice di primo grado, applicando i principi pronunciati in materaia da questa Corte, ha espressamente rilevato (sulla base delle risultanze peritali) che le opere caratterizzanti l’intervento edilizio in questione (relativo ad un ampliamento dell’edificio condominiale e delle colonne in calcestruzzo realizzate a sostegno delle terrazze di nuova costruzione) risultano in effetti poste in essere sulla base di un non scindibile (nè parcellizzato) collegamento dei lavori, peraltro succedutisi a non lunga distanza di tempo, realizzati sulla base dei due progetti presentati dalla ricorrente (la DIA del 14 marzo 2000 e la concessione edilizia del 3 dicembre 2001, n. 33131) i quali, correttamente considerati nel loro complesso, sono venuti a realizzare “una sopraelevazione, concretizzandosi in una nuova costruzione in quanto tale soggetta alla normativa vigente al momento della sua realizzazione” (sentenza impugnata, pag. 17).

Il Tribunale ha infatti adeguatamente osservato come gli interventi realizzati con la DIA avessero determinato un innalzamento del colmo del tetto ed un ampliamento di volumetria, sia pure inizialmente inaccessibile; ritenendo il giudice di primo grado operante in tale caso il principio secondo cui, in materia di distanze legali tra edifici, la modificazione del tetto di un fabbricato integra “sopraelevazione” e, come tale, una “nuova costruzione”, quando essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti (Cass. n. 20786 del 2006; conf. Cass. n. 14932 del 2008; Cass. n. 12582 del 1995; Cass. n. 7384 del 1986), ovvero comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato (Cass. n. 1498 del 1998).

Sicchè – spettando al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l’opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali (Cass. n. 20786 del 2006, cit.) – il Tribunale ha affermato che “l’innalzamento del colmo del tetto che si (era) avuto con le modifiche apportate rappresenta(va), infatti, una struttura destinata a durevole esistenza e realizzante in concreto un nuovo volume edilizio”; come tale dunque (qualificata l’opera come “sopraelevazione” e quindi “nuova costruzione”) realizzata in spregio della distanza tra pareti finestrate di 10 metri prevsita dall’art. 34 delle N. T.A. del P.R.G. vigente all’epoca dei lavori (cfr. Cass. n. 15732 del 2018; Cass. n. 9646 del 2016).

1.3. – Non è dato pertanto dato riscontrare gli asseriti profili di violazionee o di falsa applicazione di legge; laddove viceversa, le censure svolte dalla ricorrente riguardano specificamente la valutazione condotta dal giudicante del quadro probatorio acquisito. Ma relativamente a ciò, è tuttavia consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Così come articolate, le censure portate dal motivo si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in specie dell’art. 873 e della normativa regolamentare integrativa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, osservando che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, la ratio ispiratrice delle norme sul distacco tra fabbricati, è quella di garantire a ogni edificio adeguata dotazione di aria e di luce, altrimenti frustrata dalla presenza delle c.d. intercapedini. Tale ratio è condivisibile solo ove le due costruzioni si fronteggino non solo quanto a sagoma, ma anche quanto ad altezza. Nella fattispecie, non vi sarebbe dubbio che il fabbricato della G. e quello di Fornaci Immobiliare si fronteggiano ad altezze diverse tra loro e che la porzione modificata del nuovo tetto e del sottotetto (che deve essere arretrata) si trova al di sotto della quota dell’ultimo piano del fabbricato della ricorrente. Pertanto, non può parlarsi di intercapedini dannose in ragione del fatto che la quota dell’edificio della G. risulta completamente al di sotto della quota del sottotetto dell’edificio per cui è causa.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Quanto alle eccezioni sollevate in merito alla idoneità della unica colonna interessata alla violazione delle distanze legali, a rappresentare una intercapedine pericolosa e pregiudizievole, con conseguenziale asserita inapplicabilità ad essa della disciplina di cui all’art. 873 c.c., il giudice di primo grado ha fatto proprio il “condivisivile” orientamento di legittimità secondo cui, ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, è qualificabile come costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dall’uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione purchè determini un incremento del volume, della superficie e della funzionalità dell’immobile e non abbia una funzione meramente decorativa (Cass. n. 20574 del 2006; cfr. Cass. n. 859 del 2016; Cass. n. 6926 del 2001; Cass. n. 12045 del 2000).

Riaffermando dunque che spetta al giudice di merito verificare, in concreto, se l’opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali (Cass. n. 20786 del 2006, cit.; Cass. n. 3199 del 2002), il Tribunale ha coerentemente ed adeguatamente concluso nel senso che tale colonna (con le suddette caratteristiche) debba essere arretrata, giacchè costruita in spregio della normativa sulle distanze legali per la misura di 40 cm sia pure nella sola parte che emerge dal solaio del primo piano fino alla terrazza del secondo piano.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente principale lamenta la “Nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c. (carenza e/o abnormità della motivazione), nonchè violazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. L’attrice, oltre alla restituzione in pristino delle opere costruite in ritenuta violazione delle distanze legali, aveva chiesto il risarcimento dei danni pari a Euro 28.600,00 per la porzione del sottotetto e a Euro 35.000,00 per la colonna in calcestruzzo; ed il primo Giudice, ritenuto che il risarcimento dei danni fosse in re ipsa, ha liquidato i relativi importi in via equitativa, senza che vi fosse stata alcuna attività probatoria da parte dell’attrice.

3.1. – Il motivo è fondato.

3.2. – E’ principio consolidato che, “in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria; ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria” (Cass. n. 25475 del 2010; conf. Cass. n. 11382 del 2011 e Cass. n. 16916 del 2015).

Questa Corte ha, peraltro, precisato che “in tema di violazione delle norme sulle distanze, una volta che venga disposta la demolizione delle opere realizzate in violazione delle norme sulle distanze legali, il risarcimento del danno deve essere computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate e non già avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo il relativo pregiudizio suscettibile di essere eliminato” (Cass. n. 19132 del 2013).

3.3. – Ciò che la ricorrente (correttamente) contesta è, relativamente alla liquidazione dei danni, la assoluta carenza di motivazione del Tribunale sulla valutazione e la palese illogicità/abnormità dei criteri/parametri utilizzati, tramite mero rinvio alla CTU. Il giudice di merito, infatti, ha motivato la liquidazione in via equitativa del danno a favore della attrice, senza operare alcun riferimento ai suddetti parametri, ed avendo genericamente, “tenuto conto dei condivisibili criteri formulati dall’Ing. L.”, che non ha riportato in alcun modo.

Orbene, costituisce principio altrettanto fermo quello secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla (come nella specie) perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 604 del 2019; Cass. n. 22598 del 2018), non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Cass. sez. un. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 8742 del 2018).

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce la “Ulteriore violazione di norme di diritto, in specie dell’art. 2697 c.c., dei principi in materia di onere della prova e dell’art. 1223 c.c., nonchè falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Nullità per violazione dell’art. 112 c.p.c. (ultrapetizione), dell’art. 115 c.p.c. e del principio dispositivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, giacchè il giudice di primo grado, avendo accolto la domanda demolitoria relativamente al sottotetto dell’edificio, ha accolto anche la domanda dei convenuti Z.- Za. di risoluzione del contratto di compravendita con restituzione del prezzo pagato, oltre alla domanda di risarcimento dei danni.

4.1. – Il motivo è fondato.

4.2. – Con riguardo alla domanda dei convenuti Z. e Za. di risoluzione del contratto di compravendita da essi stipulato con la Fornaci Immobiliare, con conseguente condanna di quest’ultima alla restituzione del prezzo versato, oltre al risarcimento del danno cagionato, la ricorrente contesta il quantum del risarcimento, liquidato in maniera ritenuta eccessiva e senza prova, che il Tribunale ha calcolato tenendo conto del fatto che i suddetti convenuti si trovassero ad avere un appartamento (dagli stessi sottoposto a interventi di ristrutturazione) completamente stravolto in virtù degli adattamenti ai quali sarebbe stato soggetto (sentenza impugnata, pagg. 23 e 24).

4.3. – Orbene, risulta adeguata e coerente l’affermazione di parte ricorrente, secondo cui, se il contratto di compravendita è stato risolto, i convenuti Z.- Za. non sono più proprietari del bene, per cui non ha senso (ed è insanabilmente contraddittorio), dopo la risoluzione del contratto, valorizzare, al fine del risarcimento del danno, il fatto di avere un appartamento stravolto. La decisione appare, pertanto, viziata dalla violazione delle norme citate (artt. 1218 e 1223 c.c.), nonchè dalla falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., avendo equitativamente determinato un danno futuro che i convenuti non avrebbero potuto subire in quanto non più proprietari.

Gli ulteriori spiegati profili di vizio di legge risultano assorbiti in ragione dell’accoglimento in parte qua del motivo.

5. – Risulta, viceversa, inammissibile l’impugnazione da parte della ricorrente dell’ordinanza della Corte d’appello pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.

5.1. – Con il primo motivo, la ricorrente principale deduce la “Nullità per violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o comunque dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e all’art. 360 c.p.c., u.c. e art. 111 Cost., comma 7”, avendo la Corte di merito del tutto omesso di pronunciarsi sul motivo di appello proposto in via subordinata dall’odierna ricorrente in relazione all’illegittimità (in quanto resa ultra petita e in violazione del principio dispositivo) o comunque erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui, violando i principi in materia di prova, aveva arbitrariamente determinato, in via equitativa, in Euro 100.000,00 il risarcimento in favore di coniugi Z.- Za., sulla base di criteri manifestamente illogici.

5.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente principale lamenta la “Violazione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1 e art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, con riguardo al capo di ordinanza relativo alla condanna alla refusione delle spese del giudizio d’appello a favore della G..

5.3. – Le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, ove (come nella specie) si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio “prognostico” che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione (Cass. sez. un. 1914 del 2016; conf. Cass. n. 23151 del 2018).

6. – Con il primo motivo i ricorso incidentale, Banca Italease lamenta la “Violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2043 c.c.: il difetto di legittimazione passiva di Banca Italease s.p.a. nell’azione risarcitoria”, poichè il Tribunale di Pordenone, nel condannare in via solidale la resistente al risarcimento dei danni, ha, sia pure implicitamente, rigettato la sua eccezione di difetto di legittimazione passiva.

6.1. – Il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso principale di Fornaci Immobiliare.

7.1. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, Banca Italease deduce la “Violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1484 c.c.”, in quanto il Tribunale ha accolto la domanda di garanzia, ma ha poi riconosciuto la manleva in favore di tutte le parti acquirenti all’infuori della resistente, la quale viene manlevata non da Fornaci Immobiliare, ma solo da Quality Management e in virtù di altro titolo, rappresentato dal contratto di leasing. In questo modo la Banca Italease è stata privata della possibilità di rivalersi anche nei confronti della venditrice, nonostante questo diritto le spetti in forza di una norma di legge.

7.2. – Con il terzo motivo di ricorso incidentale, la Banca medesima censura la “Violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1489, 1494 e 2694 c.c.”, poichè il Tribunale ha immotivatamente rigettato la domanda estimatoria e risarcitoria avanzata da Banca Italease nei confronti di Fornaci Immobiliare, nonostante la conferma della fondatezza dell’azione proposta dalla G., sul presupposto di una mancata dimostrazione della quantificazione di entrambi i valori; laddove il Tribunale aveva ritenuto di non accogliere la richiesta della Banca di ammissione di CTU diretta a quantificare il minor valore attribuibile all’immobile di sua proprietà, in conseguenza dell’accoglimento della domanda di riduzione in pristino.

7.3. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica e della analoghe modalità (e vizi) di formulazione, i due motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

7.4. – Essi sono inammissibili.

7.5. – In tema di ricorso per cassazione, va rilevato che il vizio di violazione di legge (contestato dalla ricorrente incidentale) consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Il controllo affidato a questa Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). Sicchè, in ultima analisi, tale motivo si connota quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attingono all’apprezzamento delle risultanze istruttorie motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

8. – Rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, nonchè il secondo e terzo motivo del ricorso incidentale, vanno accolti il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, con con assorbimento del quinto motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale; va dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Trieste. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso principale, ed il secondo e terzo motivo del ricorso incidentale. Accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, con assorbimento del quinto motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale. Dichiara inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Trieste. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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