Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27470 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27470 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: VALLE CRISTIANO

ORDINANZA

sul ricorso 24430-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103220585, in persona
del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017

CACCHIONE ANDREA;
– intimato –

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avverso la sentenza n. 276/2012 della CORTE D’APPELLO
di CAMPOBASSO, depositata il 09/11/2012 R.G.N.
278/2008.

Data pubblicazione: 20/11/2017

Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non
partecipata del 12 luglio 2017, dal consigliere relatore Cristiano Valle
Rilevato che:
la Corte di appello di Campobasso, giudice del lavoro, con sentenza
pubblicata il 9 novembre 2012, ha dato atto della rinuncia di Andrea

esecuzione della sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato
l’illegittimità del termine apposto a contratto di lavoro subordinato a
tempo determinato tra il Cacchione e le Poste ed ha condannato la detta
società a corrispondere al lavoratore, ai sensi dell’art. 32 della I. n. 183
del 2010, sei mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi
e rivalutazione dal,….-la maturazione del diritto al soddisfo;
avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste italiane
s.p.a., censurandola con tre motivi di cui all’art. 360, comma 1, n. 3,
c.p.c. in relazione agli artt. 1428, 1429 e 1431 c.c. nonché in relazione
agli artt. 115 e 116 c.p.c. e 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 e da ultimo in
relazione all’art. 32 della I. n. 183 del 2010;
Andrea Cacchione è rimasto intimato;
Poste italiane s.p.a. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
con allegata documentazione;
il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che la circostanza che il
Cacchione abbia rinunciato alla rimessione in servizio non comporta
venire meno del controllo giudiziale sulla legittimità dell’apposizione del
termine al contratto di lavoro a termine, come esattamente rilevato dalla
sentenza della Corte territoriale;
il secondo motivo lo è parimenti in quanto, tenuto conto che il contratto
a tempo determinato sottoscritto tra Poste italiane s.p.a ed Andrea
Cacchione per il periodo dal 10 luglio al 30 settembre 2003 reca causale
“per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di
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Cacchione alla rimessione in servizio presso Poste italiane s.p.a., in

provvedere alla sostituzione di personale inquadrato nell’area operativa
e addetto al servizio di recapito con diritto alla conservazione del posto
di lavoro” il mezzo di gravame non tiene conto del richiamo effettuato
dalla sentenza impugnata al disposto dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del
2001, in punto di specificità dei motivi che devono sorreggere
l’assunzione a tempo determinato, atteso che come da costante

discostarsi, (si veda sul punto Cass. n. 10033 del 2010, pure richiamata
dalla motivazione della sentenza gravata e più di recente Cass. 4906 del
2017): “…contrariamente a quanto ‘asserito dalla società ricorrente, la
Corte di merito ha correttamente applicato il suddetto principio
allorquando ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da
rilievi di ordine logico-giuridico, l’illegittimità della clausola di
apposizione del termine al contratto di lavoro, avendo affermato che
nella fattispecie non risultava essere stato assolto l’obbligo
motivazionale di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, posto che la
lettura del contratto di assunzione consentiva di rilevare che la causale
in esso indicata riproduceva in modo ripetitivo la lettera della legge, nulla
dicendo in ordine al nesso causale con le mansioni per il cui
espletamento la lavoratrice era stata assunta.”;
il terzo mezzo di ricorso è parzialmente infondato in quanto (si veda per
tutte Cass. n. 6122 del 2014) la determinazione, tra il minimo e il
massimo, della misura dell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5,
della I. n. 183 del 2010 – che richiama i criteri indicati dall’art. 8 della I.
n. 604 del 1966 – spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di
legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria, il che,
nel caso di specie, non è dato riscontrare, avendo la sentenza impugnata
provveduto a valutare i criteri di cui all’art. 8 della I. n. 604 del 1966,
richiamato dall’art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, prendendo in
esame sia la durata del periodo lavorativo prestato alle dipendenze di
Poste italiane s.p.a. sia le rilevanti dimensioni dell’impresa; deve, inoltre,

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e

giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non si ravvisano ragioni per

rilevarsi la preclusione all’applicabilità dell’art. 32, comma 6, I. cit. in
quanto nelle fasi di merito non risultavano depositati accordi che
prevedevano l’assunzione di lavoratori già occupati con contratti a
tempo determinato nell’ambito di specifiche graduatorie, né la
produzione di documentazione effettuata in questo grado di legittimità
(in una con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c.) dà conto della specifica

è, viceversa, fondato il terzo motivo del ricorso laddove è incentrato sulla
decorrenza degli accessori sull’indennità, cui all’art. 32, comma 5, della
I. n. 183 del 2010, fatti decorrere dalla sentenza impugnata

“dalla

maturazione del diritto”, stante l’orientamento di questa Corte che
afferma che detta indennità non ha natura retributiva e pertanto su di
essa non competono gli accessori di cui all’art. 429, comma 3, c.p.c., se
non dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità
della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato
(Cass. n. 7458 del 2014), cosicché, nel caso di specie, deve cassarsi
senza rinvio – non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto – la
sentenza di appello in relazione a detto motivo e statuirsi che gli
accessori di cui all’art. 429, comma 3, c.p.c. sull’indennità di cui all’art.
32 della I. n. 183 del 2010 sono dovuti dalla data della sentenza di primo
grado;
in conclusione, deve, quindi, accogliersi il motivo di ricorso relativo alla
decorrenza degli accessori di cui all’art. 429, comma 3, c.p.c. e disattesi
i restanti, la sentenza va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 384,
comma 2, c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto,
con decorrenza di interessi e rivalutazione, sull’indennità pari a sei
mensilità della retribuzione di fatto percepita, dalla data della sentenza
di primo grado;
tenuto conto dell’esito della lite si ritiene conforme a diritto confermare
le statuizioni dei giudici di merito in tema di spese processuali e stante

riferibilità di detti accordi al caso di specie;

l’assenza di attività processuale da parte del Cacchione di nulla disporre
per le spese di questo giudizio di legittimità;
stante il parziale accoglimento del ricorso deve darsi atto
dell’insussistenza dei presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
del d. P.R. n. 115 del 2002, per il versamento da parte del ricorrente,

per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
accoglie il terzo motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza
impugnata e decidendo nel merito condanna Poste italiane s.p.a. al
pagamento di interessi e rivalutazione monetaria sull’indennità ex art.
32 I. n. 183/2010 a far data della sentenza di primo grado;
conferma la statuizione sulle spese delle fasi di merito e nulla per le
spese del presente giudizio;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto
della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione,

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto

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