Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2747 del 08/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 08/02/2010), n.2747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

Chiara, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato NIGRO SAVERIO, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8406/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/02/2006 R.G.N. 5653/02;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. LA TERZA Maura;

udito l’Avvocato SAVERIO NIGRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe indicata del primo febbraio 2006 la Corte d’appello di Roma, confermava l’accoglimento della domanda proposta da B.M. nei confronti del Istituto Poligrafico, concernente il diritto alla inclusione dei compensi percepiti fino al 1992 per lavoro straordinario, nella base di calcolo sia dell’indennita’ di anzianita’ e del TFR, sia delle mensilita’ aggiuntive e delle ferie, e condannava l’Istituto Poligrafico al pagamento della somma di Euro 11.469,96.

La Corte territoriale, escludeva preliminarmente che il diritto al ricalcolo del TFR fosse prescritto, essendo peraltro il rapporto di lavoro ancora in corso alla data del ricorso introduttivo, e rigettava altresi’ la eccezione di compensazione proposta dal Poligrafico in relazione all’accordo aziendale del 1974, con cui era stato erogato un miglioramento retributivo pari a 60 minuti della retribuzione dell’operaio litografo di primo livello, precisandosi che detto compenso era “assorbibile in caso di vertenze comunque proposte dal personale dipendente che possano ricollegarvisi”, sul rilievo tra. l’altro, che la normativa sul TFR non era derogabile dalla contrattazione collettiva, cui era consentito solo di fissare una base di calcolo diversa da quella prefigurata dalla legge. Nel merito la Corte affermava che il compenso per lavoro straordinario, reso come nella specie con periodicita’ ed abitualita’, deve essere computato nella indennita’ di anzianita’ maturata fino al 31 maggio 1982 e nel TFR, nonche’ nelle mensilita’ aggiuntive e nella retribuzione feriale.

Avverso detta sentenza propone ricorso l’Istituto Poligrafico, con tre motivi, mentre resiste con controricorso il lavoratore. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo e’ dedotta carenza di motivazione e violazione della L. n. 297 del 1982, dell’art. 2120 c.c. e degli artt. 2934 e 2935 c.c., in quanto il giudice di appello ha rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario ai fini della quantificazione degli istituti di fine rapporto. In costanza di rapporto di lavoro, invece, si prescriverebbe non il diritto all’esigibilita’ del t.f.r., ma (nel sistema normativo introdotto dalla L. n. 297 del 1982) il diritto di vedere computate le voci di calcolo indicate che, anno per anno, debbono essere inserite nella base di calcolo.

Il motivo e’ infondato, in quanto la giurisprudenza di questa Corte ha gia’ chiarito che la scadenza delle annualita’ idonee al calcolo delle quote di accantonamento degli istituti di fine rapporto e la ricezione delle comunicazioni datoriali in punto di accantonamenti utili sono inidonee ad eliminare la situazione di incertezza circa la quantificazione dell’importo spettante, che – continuando a sussistere – legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del diritto. Perche’ possa decorrere il termine di prescrizione e’ necessario che il diritto sia incontroverso e, dato che la maturazione del t.f.r. non e’ istantanea, non e’ dato identificare un unico momento destinato a costituire il dies a quo della prescrizione dell’azione di accertamento. Ne consegue che la relazione ravvisabile fra azione di mero accertamento del diritto ed azione diretta alla sua concreta attuazione opera in senso esattamente inverso a quello preteso da parte ricorrente, perche’, mentre la mancata sperimentazione della prima, non soggetta a termini di prescrizione, risulta del tutto irrilevante ai fini della persistente sperimentabilita’ della seconda, e’ la possibile prescrizione di questa che puo’ precludere l’azione di mero accertamento, per difetto di interesse, in quanto, una volta estinto il diritto, con conseguente impossibilita’ di realizzazione pratica del suo contenuto, viene meno, di norma, ogni utilita’ dell’accertamento della sua mera esistenza, cosi’ difettando il ricordato presupposto dell’invocazione dell’officium judicis (cfr.

Cass. 9.4.03 n. 9575 e da ultimo, proprio in relazione a fattispecie analoga Cass. n. 2781 del 06/02/2008).

Con il secondo motivo e’ dedotta carenza di motivazione a proposito della reiezione della domanda riconvenzionale (o eccezione di compensazione) e violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonche’ dell’art. 2120 c.c., testo vigente.

La clausola n. 3 dell’accordo, fissato lo scopo di “conseguire una ristrutturazione dell’orario di lavoro per l’eliminazione dei tempi morti, per il pieno impiego dei mezzi d’opera, per l’eliminazione delle prestazioni straordinarie continuative e per l’incremento produttivo…”, prevede l’erogazione di vari miglioramenti retributivi, per il primo dei quali (“lett. a – importo pari a 60 minuti primi della retribuzione dell’operaio litografo di (OMISSIS) ctg….”) e’ precisato che “il compenso in parola e’ assorbibile in caso di vertenze comunque proposte dal personale che possano ricollegarvisi”. Secondo parte ricorrente la menzionata clausola di assorbibilita’ avrebbe dovuto dar luogo alla non computabilita’ dei compensi per lavoro straordinario negli istituti per cui e’ causa o, quantomeno, in caso di diversa conclusione circa la computabilita’, avrebbe dovuto far nascere il diritto alla restituzione degli importi corrisposti alla controparte in esecuzione del contratto aziendale.

Sotto un primo profilo, e’ contestata l’affermazione che la clausola di assorbibilita’ prevista dall’accordo del 1974 sia riferibile solo ai compensi previsti per aumento della produttivita’ e non anche a quelli conseguenti all’effettuazione dello straordinario, in quanto porta all’illogica conclusione che il datore avrebbe corrisposto l’aumento senza nessuna contropartita sul piano della prestazione, a fronte di una semplice disponibilita’ ad aumentare la produttivita’.

Il giudice di merito avrebbe dovuto, invece, valutare l’accordo nella sua interezza, tenendo conto che il suo obiettivo era anche quello di evitare che in futuro potessero nascere controversie in punto di inclusione nel calcolo dell’i.d.a. e del t.f.r. dello straordinario.

Si contesta quindi l’interpretazione data dal giudice di merito all’accordo sindacale del 1974.

La censura e’ inammissibile sia sotto il profilo dell’erronea interpretazione, in quanto non specifica quali sarebbero i canoni di ermeneutica negoziale che il giudice di merito avrebbe violato, sia sotto il profilo della carenza di motivazione in quanto non sono indicati vizi logici o difetti di indagine in cui sarebbe incorso il secondo giudice.

E’ altresi’ infondata al riguardo la censura in punto di violazione della normativa di legge in materia di trattamento di fine rapporto contenuta nella L. n. 297 del 1982. Deve rilevarsi che ai fini del calcolo del t.f.r. i criteri di quantificazione della retribuzione annua fissati dall’art. 2120 c.c., nuovo testo, possono essere derogati solo dalla normativa collettiva intervenuta successivamente all’entrata in vigore della norma di legge e che tale deroga non puo’ essere effettuata mediante il richiamo a norme pattizie previgenti.

Tali norme sono, infatti, nulle in quanto la disciplina fissata dalla L. n. 297 e’ di carattere legislativo, di modo che la loro nullita’ prescinde dalla difformita’ o conformita’ rispetto alla nuova disciplina legislativa. La reviviscenza di dette clausole contrattuali nulle puo’ derivare solo da una “manifestazione di volonta’ delle parti contraenti che evidenza una previsione diversa, rispetto a quella legale, circa il criterio specifico per l’individuazione della base di computo del trattamento di fine rapporto” (Cass. 24.6.95 n. 7185).

Tale reviviscenza non e’ qui prospettata per l’accordo aziendale del 1974, atteso che parte ricorrente, pur facendo riferimento ad una generica rinegoziazione, nulla ha dedotto circa uno specifico intervento successivo in tema di calcolo del t.f.r.. (nello stesso senso Cass. 2614/2008).

E’ infondato il terzo motivo, che lamenta l’omessa pronunzia in punto di estensione del ricalcolo del t.f.r. al periodo successivo al novembre 1992, mentre nel C.C.N.L. sottoscritto lo stesso anno la volonta’ delle parti era nel senso di escludere la computabilita’ dello straordinario, in ragione dell’aggiunta nel testo contrattuale (art. 21, “nomenclatura”) del 1992 delle parole “nell’orario normale”, rispetto all’identica formulazione della clausola del C.C.N.L. del 1989, che tali parole non conteneva, che manifesterebbe l’intento dei contraenti di escludere l’incidenza di quanto percepito fuori dall’orario normale nel calcolo del t.f.r..

La sentenza d’appello ha infatti confermato quella di primo grado in cui il ricalcolo del TFR era limitato ai compensi per lavoro straordinario percepiti fino al 31 ottobre 1992 (cfr. pag. 1 sentenza) onde il ricorrente non ha motivo di dolersi della omessa pronuncia sulla domanda subordinata.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le incertezze giurisprudenziali in materia giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2010

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