Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2747 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 05/02/2020), n.2747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 522-2019 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORINO 7,

presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANLUCA VITALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), PUBBLICO MINISTERO – PROCURATORE

GENERALE presso la CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2805/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. K.S., agendo in riassunzione ex art. 392 c.p.c., ha sollecitato la Corte d’appello di Roma a valutare nel merito il gravame già proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 30 maggio 2016, che aveva respinto il ricorso presentato dal migrante al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex artt. 2 e 14, e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha ritenuto di non poter riconoscere la protezione sussidiaria richiesta dal migrante, accusato in patria di omicidio stradale colposo, a motivo del processo di progressiva democratizzazione del Gambia e della mancata appartenenza dell’appellante ad alcuno dei gruppi sociali ai danni dei quali erano state in passato tenute condotte persecutorie;

nel contempo la Corte di merito ha disatteso la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, stante la mancata deduzione di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare la permanenza in Italia, nel cui novero non potevano essere ricomprese problematiche di salute psicologica da ritenersi connaturali alle vicende del richiedente asilo;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso K.S. prospettando tre motivi di doglianza;

l’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3) e 5), in relazione al D.Lgs. n. 231 del 2007, artt. 2,7,8 e 14 – falsa applicazione di norme di diritto – erronea individuazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria”, assume che la Corte territoriale abbia indebitamente confuso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato con quelli previsti per la protezione sussidiaria; in particolare il collegio di merito avrebbe valorizzato aspetti (quali l’assenza di connotazioni politiche della vicenda o la mancata appartenenza a gruppi sociali antagonisti) inconferenti rispetto alla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria e rilevanti esclusivamente ai soli fini del diritto al rifugio, trascurando invece di verificare i profili di rischio denunciati, riguardanti l’azione di agenti privati, secondo il canone del grave danno proprio della forma di protezione effettivamente richiesta;

4.2 il motivo è nel suo complesso inammissibile;

4.2.1 in tesi di parte ricorrente la corte di merito avrebbe trascurato di verificare i profili di rischio denunciati, derivanti da agenti privati (e più precisamente, come si legge a pag. 3, dalla volontà ritorsiva dei parenti delle vittime a cui il sistema giudiziario e di polizia non sarebbe stato in grado di mettere argine);

questo profilo di doglianza, riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si limita a individuare il fatto storico che la corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente nonchè il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti;

il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato;

4.2.2 la corte di merito invece ha considerato, quale situazione fattuale da prendere a parametro per l’applicazione della disciplina in materia, “il danno grave derivante dall’accusa di omicidio colposo in un Paese ove non sono garantiti ai meno abbienti i diritti fondamentali della persona” e dunque in caso di eventuale carcerazione;

rispetto a un simile rischio di danno grave i giudici di merito, dopo aver dato conto del processo di democratizzazione in atto in Gambia, hanno rilevato, in termini aggiuntivi (“e comunque”), l’estraneità del migrante ai gruppi a cui erano state riservate “condotte persecutorie”;

una simile motivazione, correlata al rischio di grave danno poco prima registrato, deve essere intesa (malgrado l’improprio richiamo a condotte persecutorie anzichè pregiudizievoli) come volta a escludere, in caso di rimpatrio, la possibile violazione di diritti fondamentali della persona comportante un grave danno, stante il processo di democratizzazione in atto, con la specificazione che anche in passato tali diritti non erano stati rispettati non in generale, ma solo rispetto ad alcuni gruppi sociali, di cui il migrante non faceva parte;

la prima parte della critica risulta perciò inammissibile perchè non coglie nè critica specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata, come invece il ricorso per cassazione deve necessariamente fare (Cass. 19989/2017);

5.1 il secondo mezzo, sotto la rubrica “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, al D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 – falsa applicatone di norme di diritto – violazione dei criteri legali per l’accertamento della condizione di violenza indiscriminata nel Paese di origine del richiedente e omessa istruttoria” assume che la corte territoriale abbia approfondito la situazione esistente nel paese di origine senza dare conto in maniera specifica delle fonti consultate e della loro datazione;

5.2 il motivo è fondato;

la corte distrettuale, nell’escludere il rischio di un grave danno a causa dall’accusa di omicidio colposo, ha fatto riferimento a un progressivo avanzamento in senso democratico del Gambia, ma non ha in alcun modo spiegato da quali fonti informative aveva tratto le proprie convinzioni;

il che non è sufficiente ad assolvere l’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente;

infatti al fine di ritenere adempiuto tale onere il giudice è tenuto a indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. 11312/2019) e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. 13449/2019);

6.1 con il terzo motivo, riportante la rubrica “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 – violazione dei criteri legali per la concessione della protezione umanitaria” la sentenza impugnata è censurata a causa dell’omesso giudizio comparativo fra le prospettive di vita del richiedente asilo in Italia e in Gambia;

6.2 il motivo è manifestamente infondato;

la valutazione comparativa asseritamente omessa presupponeva l’allegazione della realizzazione di un grado adeguato di integrazione sociale in Italia e del fatto che l’eventuale rimpatrio sia in grado di determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello standard minimo costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass. 4455/2018); allegazione che competeva al richiedente asilo, in quanto la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018);

nel caso di specie il giudice del merito ha rilevato che il ricorrente non aveva dedotto “peculiari condizioni di vulnerabilità suscettibili di giustificare la permanenza in Italia”; di conseguenza, in mancanza di alcuna allegazione idonea a fondare il giudizio di comparazione di cui si lamenta l’omessa esecuzione, il Tribunale non era affatto chiamato a compiere alcuna valutazione nel senso voluto dall’odierno ricorrente, in applicazione del principio dispositivo;

7. la sentenza impugnata andrà dunque cassata rispetto al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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