Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27469 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27469 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: VALLE CRISTIANO

ORDINANZA

sul ricorso 22694-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3212

CURTI SABINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO
VACIRCA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato CLAUDIO LALLI, giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 20/11/2017

avverso la sentenza n. 944/2012 della CORTE D’APPELLO

di FIRENZE, depositata il 15/10/2012 R.G.N. 919/2011.

Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non
partecipata del 12 luglio 2017, dal consigliere relatore Cristiano Valle
Rilevato che:
la Corte di appello di Firenze, sezione lavoro, con sentenza, pubblicata il
15 ottobre 2012, pronunciando su rinvio della Corte di Cassazione (Cass.

avevano statuito in ordine ad un secondo contratto a tempo determinato
(dopo che un primo contratto era stato ritenuto
o

(

n.

61.:

dal Tribunale
10~.

di Grosseto, con sentenza confermata – d51Ta Corte territoriale)), ha
dichiarato che tra Sabrina Curti e Poste italiane s.p.a. sussiste rapporto
di lavoro subordinato dal 3 febbraio 2002, con condanna della società a
corrispondere alla lavoratrice sei mensilità di retribuzione, oltre alle
retribuzioni dalla data della sentenza;
avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste italiane
s.p.a., censurandola con plurimi motivi di cui all’art. 360, comma 1, n.
3, c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c., 245 7. 421 e 437 c.p.c., nonché
in relazione all’art. 8 della I. n. 604 del 1966 richiamato dall’art. 32 della
I. n. 183 del 2010;
Sabrina Curti resiste con controricorso;
la difesa della controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art.
378 c.p.c.;
il primo motivo di ricorso è basato sull’avere la sentenza impugnata
ritenuto la genericità della causale apposta al contratto a tempo
determinato, affermando che le esigenze di cui alla causale contrattuale
(“… tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario
conseguenti a processi di riorganizzazione ivi ricomprendendo un più
funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche… nonché all’attuazione degli accordi del 17, 18
e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile

ord. n. 13568 del 2011), che aveva rilevato che i giudici di merito nulla

LA&
2002”) fossero del tutto genera e non rapportate all’assunzione della
Curti nel luogo specifico di impiego con mansioni di portalettere;
il motivo è infondato, posto che esso non tiene conto del richiamo
effettuato dalla sentenza gravata al disposto dell’art. 1 del d.lgs. n. 368
del 2001, in punto di specificità dei motivi che devono sorreggere
l’assunzione a tempo determinato, atteso che come da costante

discostarsi, (si veda sul punto Cass. n. 10033 del 2010, pure richiamata
dalla,motivazione della sentenza gravata e più di recente Cass. 4906 del
2017): “…contrariamente a quanto asserito dalla società ricorrente, la
Corte di merito ha correttamente applicato il suddetto principio
allorquando ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da
rilievi di ordine logico-giuridico, l’illegittimità della clausola di
apposizione del termine al contratto di lavoro, avendo affermato che
nella fattispecie non risultava essere stato assolto l’obbligo
motivazionale di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, posto che la
lettura del contratto di assunzione consentiva di rilevare che la causale
in esso indicata riproduceva in modo ripetitivo la lettera della legge, nulla
dicendo in ordine al nesso causale con le mansioni per il cui
espletamento la lavoratrice era stata assunta.”;
il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato;
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ilirmotivo di ricorso relativOrall’art. 32 della I. n. 183 del 2010 gin parte

infondat, in quanto (si veda per tutte Cass. n. 6122 del 2014) la
determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità
prevista dall’art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010 – che richiama i
criteri indicati dall’art. 8 della I. n. 604 del 1966 – spetta al giudice di
merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione
assente, illogica o contraddittoria, il che, nel caso di specie, non è dato
riscontrare, e in parte è inammissibile laddove si appunta sulla
decorrenza degli accessori sull’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della

4

giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non si ravvisano ragioni per

I. n. 183 del 2010, stante la mancata statuizione sul punto da parte della
sentenza impugnata;
in conclusione, deve, quindi, rigettarsi integralmente il ricorso;
le spese di lite seguono la soccombenza di Poste italiane s.p.a. e,
liquidate come da dispositivo, vanno distratte in favore dei difensori
antistatari,
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d. P.R. n. 115 del 2002, deve
darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
rigetta il ricorso; condanna Poste Italiane s.p.a. al pagamento delle
spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 200,00
per esborsi, da distrarsi in favore dei difensori antistatari;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione,

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