Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27467 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. II, 28/10/2019, (ud. 29/03/2019, dep. 28/10/2019), n.27467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28761-2015 proposto da:

S.S., S.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA F. NARDINI, 1C, presso lo studio dell’avvocato GIULIA

CERATTI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA CLAUDIA

GIORDANO;

– ricorrenti –

contro

B.M., B.G., B.E.R., B.R.,

BO.GI., B.C., elettivamente domiciliati in ROMA, V. DEL

GESU’ 57, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PAGLIUCA,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIANNA BARBARO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 594/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/03/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- A. e S.S., unitamente ad altri coeredi dei propri nonni S.P. e M.G., promossero un giudizio di divisione nei confronti della zia, S.B., altra coerede, che si trovava nel possesso dell’unico cespite ereditario, costituito da un appartamento in (OMISSIS). Alla morte di costei, avvenuta il (OMISSIS), i coeredi si immisero nel possesso del bene. Quindi, dopo quattro mesi, il legale di B.S. comunicò loro, con raccomandata del 18 febbraio 2003, che quest’ultimo era erede universale della defunta in virtù di un testamento olografo del 30 novembre 2001, pubblicato il 26 novembre 2002, registrato e trascritto presso l’Agenzia del Territorio il 3 marzo 2003, con riferimento alla quota di tre dodicesimi indivisa dell’immobile citato ed all’intera proprietà di altro appartamento.

A. e S.S. si rivolsero al Tribunale di Messina disconoscendo detto testamento ai sensi dell’art. 214 c.p.c., comma 2, e chiedendone la declaratoria di nullità, con cancellazione della trascrizione. Il convenuto dedusse la autografia dell’atto redatto dalla donna, sua compagna di vita per oltre quaranta anni.

Il g.i., disattesa la richiesta di c.t.u., rimise la causa al collegio, che, con sentenza del 14 novembre 2005 – premesso che l’onere di proporre istanza di verificazione del documento contestato incombeva al convenuto e rilevato che costui non aveva adempiuto tale onere, in quanto la mancata produzione dell’originale della scheda testamentaria impediva che si potesse procedere ad alcun accertamento tecnico, in assenza di una tempestiva richiesta di ordine di esibizione del documento originale al notaio ai sensi dell’art. 210 c.p.c. – dichiarò nullo il testamento olografo.

2- Il soccombente impugnò la sentenza, deducendo di avere ritualmente formulato istanza di verificazione e richiesto c.t.u. e di aver prodotto copia autenticata del testamento, che un consulente tecnico avrebbe potuto esaminare in originale presso il notaio.

La Corte d’appello adita, con ordinanza del 16 gennaio 2009, dichiarò ammissibile la c.t.u. richiesta per l’accertamento dell’autenticità del testamento in questione, ritenendo possibile autorizzare il consulente a visionare l’originale dell’atto presso l’archivio notarile, alla stregua del rilievo che il testamento non deve necessariamente essere acquisito al processo in originale ove risulti prodotto in copia conforme. Rilevò inoltre la Corte che la c.t.u. non è mezzo di prova in senso tecnico, bensì mezzo istruttorio di integrazione della prova.

Depositata la relazione del c.t.u., che concludeva per l’attribuibilità dell’atto alla nominale testatrice, e costituitisi nelle more, a seguito del decesso di B.S., i figli ed eredi dello stesso, C., R., Gi., M., E.R. e B.G., la Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 20 ottobre 2015, accolse il gravame.

3.-Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di tre motivi, A. e S.S.. Resistono con controricorso C., R., Gi., M., E.R. e B.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 184 e dell’art. 216 c.p.c. nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte di merito nel confermare, con la sentenza impugnata, la legittimità della ordinanza con la quale era stata disposta c.t.u. per la verificazione dell’autografia del testamento olografo nonostante il B. non avesse prodotto il documento in originale nè avesse tempestivamente formulato richiesta di ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. Nella specie, rileva il ricorrente, la consulenza richiesta dal B. non costituiva un mezzo di integrazione della prova, rappresentando, invece, l’unico mezzo di prova atto a conferire veridicità ed efficacia alla scheda testamentaria, sicchè il richiedente era onerato della produzione del documento ovvero della formulazione tempestiva della richiesta di esibizione dello stesso ai sensi dell’art. 210 c.p.c.: adempimenti entrambi cui si era sottratto.

2. -Il motivo non coglie nel segno.

2.1. – Con riguardo alla dedotta omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, va richiamato l’orientamento delle S.U. di questa Corte, che hanno chiarito che, seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., S.U., sent. n. 8053 del 2014).

Nella specie, è da escludere una totale omissione o mera apparenza della motivazione in parte qua della sentenza impugnata, la quale chiarisce, al contrario, in modo articolato l’iter logico-giuridico della propria decisione circa la non indispensabilità, al fine di ottenere una c.t.u., che la parte onerata di richiedere la verificazione dell’autografia di un testamento olografo ne produca l’originale ovvero formuli nei termini di cui all’art. 184 c.p.c. istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. Nè il ricorrente indica un “fatto storico” che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.

2.2. – Quanto alla denunciata violazione degli artt. 184 e 216 c.p.c., essa non è ravvisabile nella specie. E’ sufficiente, per giungere a siffatta conclusione, richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’onere della prova della non autenticità del testamento è a carico di chi la contesti. Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte hanno precisato che la parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa (v. Cass., S.U., sent. n. 12307 del 2015). Una soluzione, codesta, che, evita, tra l’altro, che “il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa” (cfr. Cass., S.U., sent. n. 12307 del 2015, cit.,. in motivazione).

Nella specie, dunque, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, non era il B. ad essere onerato della prova della genuinità della scheda, ma proprio gli attuali ricorrenti.

3. – Con la seconda censura si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 217 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Erroneamente la Corte di merito avrebbe considerato approfondita, diretta e confrontuale l’analisi grafica compiuta dal c.t.u. che avrebbe verificato l’autografia del testamento olografo in questione attraverso il confronto con alcuni scritti comparativi. Il c.t.u. avrebbe arbitrariamente, senza alcuna indicazione da parte del giudicante, scelto o escluso la verifica nei confronti di alcuni scritti piuttosto che di altri, omettendo di valutarne alcuni che erano stati offerti dagli attuali ricorrenti.

4.- La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità.

4.1.- Con riguardo alla dedotta omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione va ribadito quanto rilevato sub 2.1., cui ci si richiama integralmente.

4.2. – Quanto alla presunta violazione di legge, va anzitutto richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, nel procedimento di verificazione della scrittura privata, la nullità della consulenza tecnica d’ufficio derivante dal fatto che il consulente si sia avvalso di scritture di comparazione non preventivamente indicate dal giudice (in mancanza di accordo delle parti), a norma dell’art. 217 c.p.c., comma 2, resta sanata, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., se non dedotta dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al deposito della consulenza stessa (v. Cass., sentt. n. 23851 del 2011, n. 3009 del 2002).

Nella specie, i ricorrenti non hanno indicato l’atto nel quale avrebbero dedotto tale nullità. Risulta solo dalla sentenza impugnata (v. pag. 8) che essi, in sede di precisazione delle conclusioni, eccepirono l’incompatibilità del nominato consulente in relazione all’incarico dallo stesso espletato in seno ai RIS, e che detta eccezione fu ritenuta infondata dalla Corte. Risulta ancora dalla sentenza impugnata (v. pag. 10-11) che nel fascicolo di parte appellata (gli attuali ricorrenti) erano presenti un parere tecnico-grafico sulla scheda testamentaria di cui si tratta ed una relazione di consulenza grafica di parte e controdeduzioni alla c.t.u., documenti peraltro non vistati da controparte e del cui deposito non risultava data comunicazione ai sensi dell’art. 87 disp. att. c.p.c. Nella sentenza si precisa altresì che in sede di precisazione delle conclusioni il procuratore dei B. aveva fatto presente che controparte aveva ripetutamente chiesto anche con proroga il deposito di rilievi tecnici mai avvenuti. Pertanto la Corte di merito ritenne di non dover neppure esaminare le valutazioni critiche alla c.t.u. contenute nei predetti scritti, al cui contenuto gli appellati non avevano del resto fatto riferimento in comparsa conclusionale. 4.3. – Alle considerazioni sopra esposte va infine aggiunto che, posto che la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze (v., ex multis, Cass., ord. n. 30218 del 2017), e che, pertanto, essa non rientra nella disponibilità delle parti, ma nei poteri discrezionali del giudice, non può non rilevarsi come, nella sostanza la censura appare volta, più ancora che alla contestazione del mancato ossequio alla norma evocata, alla valutazione che delle risultanze della c.t.u. ha operato la Corte di merito. In proposito va ribadito l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua del quale, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem (ma nella specie esso è invece esaustivo ed articolato), dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente. Diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate – che, per le ragioni dianzi illustrate, non risultano nella specie esplicitate – sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (v., tra le altre, Cass., ord. n. 15147 del 2018).

5. -Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 87 disp. att. c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. I ricorrenti contestano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrituale il deposito di un “parere tecnico grafico sulla scheda testamentaria de qua del Dott. C.M.” e di una “relazione di consulenza grafica di parte e controdeduzioni alla c.t.u. redatta dal Dott. Ma.Vi.” a firma della dottoressa G.A.M., già nominata c.t.p. dai germani S.. La Corte di merito avrebbe errato nel rilevare che i documenti in questione non erano vistati da controparte, e che del deposito degli stessi non risultava data comunicazione ai sensi dell’art. 87 disp. att. c.p.c., traendone la conclusione della irritualità del deposito, laddove in realtà le perizie risultavano tempestivamente e ritualmente depositate, come da timbro della cancelleria, che avrebbe escluso la esigenza di adempimento di ulteriori oneri.

6. – La censura non merita accoglimento. Essa muove da una erronea interpretazione dell’art. 87 disp. att. c.p.c. L’invocata diposizione prevede che i documenti offerti in comunicazione dalle parti dopo la costituzione siano prodotti mediante deposito in cancelleria, e che il relativo elenco sia comunicato alle altre parti nelle forme stabilite dall’art. 170, u.c. codice di rito (La medesima disposizione contempla poi la possibilità che essi siano prodotti all’udienza, prevedendo, in tal caso, che dei documenti prodotti si faccia menzione nel verbale).

E’ pur vero che l’art. 170 c.p.c., u.c., richiamato nella citata disposizione di attuazione del codice di rito, stabilisce – peraltro con riguardo alle sole comparse ed alle memorie consentite dal giudice – che esse si comunicano mediante deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante scambio documentato con l’apposizione sull’originale, in calce o in margine, del visto della parte o del procuratore, prevedendo, pertanto, la possibilità alternativa di comunicazione mediante deposito o notificazione. Tuttavia, il richiamo, contenuto nell’art. 87 disp. att. c.p.c., a tale disposizione riguarda evidentemente proprio ed esclusivamente la forma della necessaria ostensione alla controparte dei documenti depositati. Ed infatti la consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il deposito di atti e documenti prodotti dopo la costituzione in giudizio non rende superflua la comunicazione del relativo elenco alle altre parti (salvo che essi siano esibiti in udienza, ipotesi nella quale – come dianzi precisato – gli stessi devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto dal cancelliere), con la conseguenza che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al giudice di merito di esaminarli, semprechè la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione (cfr., ex aliis, Cass., ord. n. 14661 del 2019; sent. n. 5671 del 2010; sent. n. 4822 del 1997).

Risulta, pertanto, del tutto superato il risalente, ed isolato, indirizzo secondo il quale il deposito in cancelleria di un documento, prodotto in causa dopo la costituzione in giudizio delle parti, varrebbe come comunicazione alla controparte (v. Cass., sent. n. 2087 del 1970).

Del resto, le predette norme sono dirette ad assicurare che la produzione di documenti in giudizio da parte di un contendente avvenga in forme ed in tempi idonei a rendere possibile e certa la conoscenza alle altre parti, in tal modo salvaguardandosi il rispetto del principio del contraddittorio.

7. – Con il quarto motivo si lamenta ancora violazione e/o falsa applicazione dell’art. 87 disp. att. c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si deduce la omessa valutazione da parte della Corte di merito dell’esposto alla Procura della Repubblica di Civitavecchia in data 5 aprile 2012, relativo a fatti sopravvenuti che, ove opportunamente apprezzati, avrebbero determinato, ad avviso dei ricorrenti, una sostanziale revisione delle risultanze della consulenza. Il fatto sopravvenuto era rappresentato dal rinvenimento, nell’immobile in cui aveva alloggiato B.S., di vari documenti dai quali emergeva una serie di firme della defunta S.B., ciò che rendeva ipotizzabile che il primo stesse allenandosi a riprodurne la firma. Su tale documento la Corte non si sarebbe mai pronunciata, nonostante si fosse riservata, al momento di rinviare, dopo la produzione dello stesso avvenuta in udienza, ad una successiva udienza per la precisazione delle conclusioni, ogni valutazione sull’esposto.

8. – Anche tale doglianza è destituita di fondamento. Ed infatti la sentenza impugnata non oblitera il contenuto di detto esposto e dei relativi allegati, rilevando però che “i tempi e le modalità della presentazione dello stesso rendono irrilevanti i meri sospetti dello S. e della moglie, comunque non accompagnati da alcuna valutazione tecnica circa la probabile riferibilità degli scritti alla S.B. ovvero a mano apocrifa”.

Alla stregua di tali considerazioni la Corte di merito ha concluso per la insussistenza di elementi tali da indurla a contestare la valutazione del c.t.u. o a richiedere un rinnovo della consulenza, come chiesto dagli appellati.

Resta, pertanto, escluso ogni addebito al giudice di secondo grado di mancata valutazione del documento di cui si tratta.

9. – Conclusivamente, il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati in solido tra loro al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 29 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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