Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27467 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27467 Anno 2017
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: PERINU RENATO

ORDINANZA

sul ricorso 23883-2012 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
20078750587, in persona del Pre5idente e legale

rappresentante pro tempore, el*ttivmente demiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
Avvocati VINCENZO TRIOLO, EMANUELE DE ROSE,
ANTONIETTA CORETTI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
3106

contro

CALVO MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO GUADAGNO, rappresentato e

Data pubblicazione: 20/11/2017

difeso dall’avvocato VINCENZO MARINO, giusta delega
in atti;
– contrari corrente –

avverso la sentenza n. 561/2012 della CORTE D’APPELLO

di GENOVA, depositata il 25/05/2012 R.G.N. 10/2012.

RILEVATO IN FATTO
che, il ricorrente istituto previdenziale impugna la sentenza n. 561
depositata il 23/5/2012, con la quale la Corte d’appello di Genova
aveva riformato la pronuncia del giudice di primo grado, che, a sua
volta, aveva rigettato la domanda presentata da Calvo Massimo,
domanda, tendente ad ottenere dall’INPS, quale gestore del Fondo di
garanzia ex lege n. 297/1982, il TFR maturato dal proprio datore di
lavoro;
che, la Corte territoriale, per quanto qui rileva, ha fondato la
pronuncia di riforma della decisione di prime cure sul presupposto che,
il requisito dell’insolvenza del datore di lavoro, soggetto alla legge
fallimentare, debba essere dimostrato, di regola mediante l’apertura di
una procedura concorsuale, fatta salva l’ipotesi in cui, però, il datore
abbia cessato l’attività di impresa da oltre un anno, nel qual caso, il
lavoratore potrà ottenere dal Fondo di garanzia il pagamento del
proprio credito senza dover previamente chiedere il fallimento del
datore di lavoro;
che, avverso tale pronuncia ricorre per
affidandosi tre motivi;

cassazione l’INPS

che, Calvo Massimo difende con controricorso; ed entrambe le
parti hanno presentato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, articolato su un duplice profilo di
censure, il ricorrente istituto denuncia in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c., la violazione dell’art. 2, I. n. 297/1982, per avere il giudice di
secondo grado ritenuto che la cessazione dell’attività di impresa e la
i

Udienza del 5 luglio 2017 – Aula B
n. 30 del ruolo – RG n. 23883/12
Presidente:D’Antonio – Relatore:Perinu

morte dell’imprenditore intervenuta ad un anno dalla stessa,
costituissero condizioni ostative all’espletamento, della procedura
concorsuale necessaria per l’ammissione alle prestazioni del Fondo di
garanzia, e la violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per vizio di
motivazione circa l’omessa valutazione , da parte della Corte di merito,
di un fatto decisivo e controverso per il giudizio;

che, sul tema oggetto della presente impugnazione, concernente la
sussistenza dei presupposti necessari per conseguire l’accesso al
Fondo di garanzia, questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi
(sent. n. 17227 del 2010) affermando che “ai fini della tutela prevista
dalla I. n.297/1982, in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r.
in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo se é
assoggettabile a fallimento ma in concreto non può essere dichiarato
fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre un anno, va
considerato “non soggetto al fallimento”, e pertanto opera la
disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il
lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia
costituito presso l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso,
essendo sufficiente, in particolare che abbia esperito infruttuosamente
una procedura di esecuzione”;
che; nella specie, come risulta dalla pronuncia della Corte
territoriale, ricorrono le condizioni (cessazione da un anno dell’attività
di impresa ed esperimento infruttuoso di una procedura di esecuzione)
richiamate “ut supra” dalla citata sentenza n. 17227 del 2010 di
questa Corte;
confermare
dover
di
pertanto,
il
Collegio
ritiene
che,
l’orientamento di questa Corte formatosi sulle condizioni richieste
dall’art. 2, comma 5, I. n. 297/1982, per ottenere l’intervento del
Fondo di garanzia nel caso di insolvenza del datore di lavoro, avuto
conto che, tale orientamento risulta coerente con la finalità perseguita
dal legislatore del 1982, che mediante l’istituzione di un Fondo di
garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare
la peculiarità della disciplina del t.f.r., nella quale il sistema degli
accantonamenti fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano
trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro, con la previsione di una
tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e
non soggetta a limitazioni e difficoltà procedurali;

2

che) il primo profilo di censura s’appalesa infondato;

che, parimenti, deve essere rigettato l’altro profilo di censura
concernente la dedotta violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c.;

che, secondo giurisprudenza unanime di questa Corte, il motivo di
ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga
censurata per vizio di motivazione, non può essere finalizzato a far
valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata in sede di
merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare
non può essere proposto con esso un preteso migliore e più appagante
coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del
giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli
elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo
di tale convincimento, rilevanti ai sensi della disposizione di cui
all’art. 360, primo comma , n. 5, c.p.c.;
che,
ricorso si
diversamente opinando siffatti motivi di
risolverebbero in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e di conseguenza,
in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di
cassazione ( cfr. Cass. 6064/2008);
che, il secondo ed il terzo motivo di ricorso appaiono inammissibili,
in quanto investono questioni (riconoscimento dell’accesso al Fondo
di garanzia anche in relazione alle ferie non godute ed ai permessi non
lavorati, e termine di decorrenza del pagamento degli interessi e della
rivalutazione monetaria) che non hanno formato oggetto di gravame
con l’atto di appello e non risultano, quindi, comprese nel tema del
decidere del giudizio di secondo grado, quale fissato dalle
impugnazioni e dalle richieste delle parti (cfr. Cass.n.13443/2004);
che, alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve
essere respinto, e le spese del presente giudizio di cassazione liquidate
a favore del difensore antistatario del controricorrente, come da
dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
3

che, infatti, il suddetto motivo, al di là della rispettiva intestazione
formale, nella sostanza esprime un dissenso valutativo dalle risultanze
di causa ed invoca, quindi, un diverso apprezzamento di merito delle
stesse;

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2500,00, per
compensi professionali,oltre esborsi per euro 200,00 e spese generali
al 15%, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 5.7.2017.

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